OMAR SIVORI, IL GENIO ANTESIGNANO DEL CALCIO ARGENTINO

Submitted by Anonymous on Sat, 10/02/2021 - 13:38
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Redazione
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Prima di Maradona, prima di Messi, prima di qualunque altro calciatore argentino dell’era moderna, il piede sinistro aveva un cultore e un padrone senza eguali. Il suo nome era Enrique Omar Sivori e quel cognome tradiva origini certamente italiane: il nonno Giulio era partivo dalla Liguria in cerca di fortuna, la mamma Carolina a sua volta era partita dall’Abruzzo. L’Italia nel destino, ma soprattutto un talento fuori dal comune: Sivori era genio e sregolatezza, icona senza regole e senza tempo, istrionico al punto da entrare sempre dalla parte giusta e dalla parte sbagliata della storia nello stesso medesimo istante. Senza compromessi, senza mezze misure. Un giocatore che s’è fatto apprezzare e detestare nel Bel Paese dopo aver stregato il popolo del River in età giovanissima, formando con Humberto Maschio e Antonio Angelillo il trio degli “angeli dalla faccia sporca”, trascinatore della nazionale albiceleste nella Copa America 1957. Uno che a suo modo nella storia del club della banda c’è rimasto impresso a caratteri cubitali: i 160 milioni sborsati dalla Juventus per portarlo in Europa nel 1957 consentirono al River di ristrutturare e ampliare il “Monumental” di Buenos Aires.

IL LEADER DEL TRIO

Nato a San Nicolas de los Arroyos il 2 ottobre 1935, Sivori durante tutta la sua vita ha combattuto per infrangere regole e consuetudini. A partire dal modo di giocare e di allenarsi, decisamente originale per l’epoca: un carattere fumantino lo portava spesso a saltare le sedute infrasettimanali, che lui riteneva troppo “sistematiche” per uno del suo talento. “Se sono bravo non ho bisogno di allenarmi, basta arrivare pronto alla partita”, amava ripetere. Frase odiata da ogni allenatore si sia intercorso lungo la sua parabola, che pure alla Juve inizialmente è senza freni: accolto con malcelato scetticismo, con Charles e Boniperti forma un trio di ineguagliabile forza e prolificità, tale da regalare alla Vecchia Signora tre scudetti nelle prime 4 stagioni di militanza in bianconero. Se la difesa poi vince le partite, Sivori dimostra che è proprio l’attacco a vendere i biglietti: le sue giocate fanno impazzire i tifosi, nel bene e nel male, e finiscono per diventare pezzi di poesia calcistica. La sua struttura minuta gli consente di destreggiarsi con abilità e di giocare la palla a una velocità che per molti difensori è semplicemente in giocabile, date le abitudini del tempo, Dribbling, tunnel e contro tunnel diventano la regola: a Torino va in scena ogni domenica uno spettacolo nello spettacolo, e quando gli animi si scaldano il buon Sivori è il primo a gettarsi nella mischia. In 12 stagioni italiane arriverà a collezionare 33 giornate di squalifica, praticamente un campionato intero, ma di lui resteranno impresse soprattutto le gesta tecniche: non si contano le reti segnate “aspettando” il difensore di turno sulla linea di porta dopo aver scartato mezza difesa, così come sono state consegnate alle leggenda le scommesse con i compagni su quanti tunnel avrebbe fatto nel corso della partita successiva. Irridente e irriverente, Sivori era una ventata d’aria fresca in un calcio troppo legato a regole ferree e apparentemente invalicabili.

ROMPERE GLI SCHEMI, SEMPRE

Che toccasse a lui il compito di rompere gli schemi era cosa ben nota a tutti: nel 1961, primo oriundo della storia, si vide consegnare il Pallone d’Oro da France Football. E dopo aver fatto meraviglie con la nazionale argentina in giovane età, nei primi anni ’60 accettò di unirsi alla nazionale italiana in vista della spedizione ai mondiali cileni del 1962, nei quali giocò spezzoni nelle gare contro Germania Ovest e Svizzera, ma non quella decisiva contro il Cile. Alla Juve, dopo i fasti del primo quadriennio, le cose lentamente presero una brutta piega, complice anche l’arrivo di Heriberto Herrera: quando passò al Napoli nel 1965 la città partenopea esplose, giusto vent’anni prima dell’arrivo di Maradona, ma tra infortuni e colpi di testa la stella di Sivori non riuscì mai a brillare all’ombra del Vesuvio. Chiuse col calcio giocato nel 1968, annunciando il ritiro in diretta (e senza preavviso) alla Domenica Sportiva. Quella stessa trasmissione in cui anni dopo sarebbe tornato nelle vesti di opinionista, dove i suoi commenti taglienti e senza fronzoli diventeranno autentici tormentoni, spesso apprezzatissimi dal pubblico seduto sul divano di casa. Un numero 10 in tutto e per tutto, anarchico e disinvolto, geniale e scanzonato, istrionico e senza peli sulla lingua. E che sapeva prendersi anche gioco di se stesso, come quando nel 1994 accettò di fare l’opinionista in Mai Dire Gol, collegato via satellite dall’Argentina, nel programma che rivoluzionava gli schemi delle tv private dell’epoca. Non altrettanto fortunata fu la sua breve carriera da allenatore, ma la poca pazienza di cui disponeva per quel ruolo rappresentava certamente un limite. Alla fine, però, il lascito di Sivori, scomparso nel 2005, è quello di un personaggio senza il quale il calcio sarebbe stato davvero più povero. E magari i ricordi di qualche difensore di 60 anni fa meno traumatici.

(Credits: Getty Image)

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