BUON COMPLEANNO ATALANTA, IL SIMBOLO DI DUE CITTÀ UNITE DAL PALLONE

Submitted by Anonymous on Sun, 10/17/2021 - 11:34
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Redazione
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Avreste un’idea su cosa regalare alla Dea per il suo compleanno? Chiedete pure a Gian Piero Gasperini e magari vi dirà che non c’è nulla di meglio di una bella vittoria a Empoli per spegnere 114 candeline. Tante sono quelle da addobbare sulla torta dell’Atalanta, fondata il 17 ottobre del 1907 da un manipolo di studenti liceali con la passione per quel gioco importato dalla Gran Bretagna, destinato a prendere piede anche nelle valli orobiche. In realtà la loro, oltre che una passione, era una vera e propria necessità: a Bergamo esistono due aree ben distinte, vale a dire Città Alta e Borgo, cioè la parte bassa della città. Nella parte alta al Liceo Sarpi si giocava a pallone almeno dal 1901, ma per cinque studenti che abitavano e andavano a scuola a Borgo, dover andare tutti i giorni così lontano da casa e raggiungere la Città Alta con la funicolare e dopo lunghe e ripide salite rappresentava un ben problema. Così in un giorno d’ottobre decidono di mettersi in proprio: Gino e Ferruccio Amati, Eugenio Urio, Giovanni Roberti e Alessandro Forrini rompono gli indugi e danno vita all’Atalanta, nome scelto perché dedicato alla giovane eroina invincibile nella corsa, almeno a detta della mitologia greca. Il nome completo era Società Bergamasca di Ginnastica e Sports Atletici Atalanta. Il nobile Vittorio Adelasio venne nominato presidente, Gino Amati segretario.

PRIMA RIVALI, POI COMPAGNI DI VIAGGIO

Tra i tanti sport elencati nel programma, il calcio era quasi in fondo, ma pur sempre menzionato e tenuto in debita considerazione. Anche se l’affiliazione alla FIGC arriverà solo nel 1914, nei primi anni non mancherà modo per la giovane Atalanta di prendere parte a tornei locali, dove si scontrerà con l’altra società cittadina, vale a dire la Bergamasca, originariamente composta da un blocco di calciatori svizzeri. Nel 1919, allorché la FIGC impose che al campionato di Prima Categoria potesse prendere parte una sola squadra della città di Bergamo, si rese necessario uno spareggio per decretare quale delle due: vinse l’Atalanta per 2-0, ma pochi mesi dopo la ragione prese il sopravvento e le due realtà confluirono in un unico sodalizio. Nasceva ufficialmente quella che ancora oggi, 101 anni dopo, è l’Atalanta Bergamasca Calcio che tutto il mondo conosce. E non è solo un modo di dire: i tradizionali colori nerazzurri vennero adottati proprio a partire da quella stagione, dato che in precedenza la squadra vestiva il bianconero, mentre la Bergamasca il biancoazzurro: eliminato il bianco, restavano il nero e l’azzurro.

LA TRIPLETTA DI DOMENGHINI

Gli anni ’20 furono essenzialmente di assestamento, poi col varo della Serie A a girone unico la Dea impiegò 8 stagioni per conquistarsi un posto nella massima serie nazionale, rischiando persino di non iscriversi alla B nel 1933 (fondamentale furono una colletta cittadina e la cessione di Carlo Ceresoli all’Ambrosiana, cioè all’Inter). Nel frattempo era già sorto un campo da gioco, intitolato a Mario Brumana, poi divenuto semplicemente il Comunale prima di diventare negli anni ’80 lo stadio “Atleti Azzurri d’Italia” (oggi Gewiss Stadium per ragioni di sponsor). Oltre 15.000 spettatori assistettero al debutto in A dell’Atalanta contro la Juventus, allora la squadra più forte del panorama italiano. A cavallo della Seconda Guerra Mondiale l’Atalanta coglierà i migliori risultati della sua storia, chiudendo al sesto posto nel 1940/41 e al quinto nel 1947/48. Resterà in auge per tutto il decennio successivo, togliendosi persino lo sfizio di ospitare la prima gara trasmessa in diretta dalla RAI nel 1955, avversaria la Triestina. Nel 1957 una salvezza ottenuta sul filo di lana venne vanificata da accuse di combine e da una retrocessione d’ufficio poi cancellata l’anno dopo sia dall’immediata promozione sul campo, sia dalla caduta di tutte le accuse. Nel 1963 arriverà anche il primo storico trofeo: grazie a una tripletta di Angelo Domenghini la Dea regolò per 3-1 il Torino nella finalissima di Coppa Italia, disputata a San Siro. I successivi 15 anni l’Atalanta li trascorrerà prevalentemente in A, lanciando tra gli altri anche un giovanissimo Gaetano Scirea. Ma all’inizio degli anni ’80 toccherà il punto più basso, scendendo addirittura in Serie C1.

LE NOTTI EUROPEE DELLA DEA DEL “MONDO”

Dopo la notte, insegna la storia, c’è sempre un nuovo giorno. E la Bergamo del calcio si riscopre presto vincente: Con la salita alla presidenza del giovane Cesare Bortolotti l’Atalanta si rimette subito in marcia, vincendo il campionato di Serie C1 con Ottavio Bianchi in panchina e, due anni dopo (1983/84), pure quello di B con Nedo Sonetti. Il ritorno in A viene salutato anche con l’arrivo dello svedese Glenn Peter Stromberg, che diventerà un’icona del calcio atalantino, nonché lo straniero con più presenze (273). Sono gli anni d’oro del campionato italiano, dove giocano Zico, Maradona, Platini, Rummenigge e tanti altri campioni. La Dea arriverà a vivere due annate in antitesi: nel 1987 retrocede ma arriva fino alla finale di Coppa Italia, battuta dal Napoli, che avendo però vinto lo scudetto le garantisce di disputare la Coppa delle Coppe. E l’anno dopo in B, con Emiliano Mondonico in panchina, la squadra domina il campionato arrivando a disputare una clamorosa semifinale europea, cedendo di misura ai belgi del Malines, dove militava mezzo Belgio arrivato quarto ai Mondiali messicani di due anni prima. Mai nessuna squadra appartenente a un campionato di seconda divisione nazionale si era spinta così avanti in una competizione continentale, record tutt’ora imbattuto. Negli anni successivi l’Atalanta diventerà habitué delle coppe europee, specialmente della Coppa UEFA, col miglior risultato raggiunto nel 1991 quando verrà eliminata dall’Inter nei quarti di finale. Gli anni ’90 saranno ondivaghi tra retrocessioni e repentine risalite, con giocatori del calibro di Bobo Vieri e Pippo Inzaghi (capocannoniere di A nel 1996/97) capaci di accendere la passione del popolo bergamasco.

L’INCREDIBILE ASCESA CON GASPERINI

Il nuovo millennio non si dimostra così foriero di buone notizie. La Dea proseguirà a fare su e giù dalla B con incredibile regolarità, mancando poi sempre il salto di qualità che le avrebbe consentito di starsene al riparo dai guai. Nel 2010 si chiude anche un capitolo di storia: la famiglia Ruggeri, che gestiva il club per conto dei Bortolotti, decide di passare la mano e al timone sale Antonio Percassi, già presidente all’inizio degli anni ’90. E dalla sua stagione di insediamento l’Atalanta spicca definitivamente il volo: conquista subito la promozione in A con Stefano Colantuono allenatore e ci mette le radici, anche quando nel 2015 arriverà a sostituirlo Edy Reja prima dell’avvento di Gian Piero Gasperini, dal 2016 ininterrottamente alla guida della squadra con la quale conquista un clamoroso quarto posto nella stagione 2018/19, accedendo alla fase a gironi della Champions League. Nello stesso anno perde la finale di Coppa Italia con la Lazio, epilogo dannato che si ripeterà anche nella stagione 2020/21, avversaria la Juventus. Ma l’Atalanta è ormai al rango delle grandi d’Italia: con 61 partecipazioni alla Serie A è la squadra situata in una città che non è capoluogo di regione ad aver disputato più tornei nella massima serie. Ed è la società che vanta più promozioni dalla B (ben 13), nonostante siano 11 stagioni ormai che non scende più a giocare tra i cadetti.

UN VIVAIO SINONIMO DI QUALITÀ

Se dici Atalanta, poi, dici anche giovani. Perché il vivaio atalantino è il più invidiato e florido d’Italia: i 25 anni di gestione Mino Favini hanno prodotto risultati straordinari, tanto che la Dea è tra le 20 squadra al mondo che hanno dato più giocatori al calcio professionistico. Oltre ad aver portato 4 scudetti Primavera (e 3 Coppa Italia), 4 scudetti Allievi, 3 Berretti e 6 Giovanissimi solo negli ultimi 30 anni, impreziositi anche da due vittorie nel prestigio Torneo di Viareggio (1969 e 1993). Una fucina di talenti dalla quale sono passati elementi come Scirea, Domeninghini, Cabrini e Donadoni e in tempi più recenti Montolivo, Pazzini, Bonaventura fino a Pessina, fresco campione d’Europa con la maglia Azzurra. Sarà pure la regina delle provinciali, ma la Dea sa come riconoscere i campioni.

(Credits: Getty Image)

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