ANDREA BARGNANI, IL “MAGO” CHE HA ILLUSO L’ITALBASKET

Submitted by greta.torri on Tue, 10/26/2021 - 11:18
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La storia è piena di eroi che entrano dalla porta principale e di colpo si ritrovano catapultati fuori da quella di servizio. Oppure di gente che semplicemente sbaglia decade, condizione cui non si può porre rimedio salvo disporre di una vecchia DeLorean come quella di Ritorno al Futuro per provare a rimettere le cose a posto. Qualunque sia il lato che più vi aggrada, sappiate che con Andrea Bargnani andreste incontro a una chiave di lettura comunque tale da risultare appropriata. Perché al primo giocatore italiano scelto alla numero 1 da quella che allora come oggi è riconosciuta come la massima espressione cestistica al mondo (dicesi NBA) non ne è andata bene una da quando, era il giugno del 2006, entrò nella storia come il primo giocatore europeo ad essere selezionato come prima scelta al draft. Aveva poco più di 20 anni, si apprestava a incidere a caratteri cubitali la sua firma sulla successiva decade di basket a stelle e strisce. O almeno così doveva essere. Se lo è stato, però, è solo in minima parte.

IL TEMPO SBAGLIATO

Perché nel giorno del 36esimo compleanno le luci dei riflettori si sono spente da un pezzo, ma considerare Bargnani un flop storico è certamente esagerato. Intendiamoci: di bust alla numero 1 è piena la storia NBA, di giocatori cioè che, accolti dalla lega alla stregua di provetti fuoriclasse, si sono perse le tracce dopo una manciata di partite o poco più. Bargnani per almeno 6 stagioni è stato un fattore anche nel basket dei giganti, senza però avere mai davvero la possibilità di incidere come avrebbe voluto. Intanto perché Toronto, la squadra che l’accolse nel 2006, non era certo nel gotha dell’NBA, tanto da consentirgli di disputare la miseria di 11 partite appena nei play-off. E poi perché all’epoca nella lega il gioco era molto più fisico di quanto lo sia oggi, al punto che giocatori dal talento cristallino, ma dall’indole non propriamente di combattenti, finivano per essere limitati da avversari senza pietà a quali piaceva giocare anche sporco, se necessario e consentito.

“Quando Bargnani e Bosh erano a Toronto, gli arbitri ci consentivano di picchiarli e loro soffrivano tremendamente questa cosa. Oggi il metro di arbitraggio è cambiato e loro due sarebbero entrambi dominanti”.

David West pronunciò queste parole non più tardi di un anno fa, ricordando quanto all’epoca fossero permissive le regole a favore dei difensori che andavano a chiudere sul perimetro. Un riconoscimento post carriera di cui andar fieri, anche se del tutto ininfluente a livello di numeri e stats.

IL PRIMO EUROPEO ALLA NUMERO 1

Quello tra il “Mago” e il basket fu amore a prima vista. Suo zio Massimo Balducci era un discreto giocatore della Stella Azzurra Roma, la stessa squadra che lo accolse sin da piccolo, mostrandone subito il talento innato per il gioco. Quando a 17 anni Andrea traslocò armi e bagagli a Treviso, all’epoca ancora culla della palla a spicchi italiana, in pochi anni la sua stella cominciò a brillare anche al di fuori dei confini nazionali: vinse lo scudetto 2005-06 e il premio di miglio Under 22 dell’Eurolega, trampolino di lancio per il salto dall’altra parte dell’oceano, avvenuto tra mille attese e buoni propositi. Ai Raptors Bargnani si ritaglierà subito un posto importante in quella che è la squadra di Chris Bosh, che al netto delle aspettative non riuscirà mai a rendere quanto il management avrebbe voluto. Il feeling con gli allenatori che si succederanno sulla panchina dei canadesi però non sarà mai totale: al netto di buoni numeri personali, le prime quattro stagioni del “Mago” si riveleranno inferiori alle attese

VOGLIA DI NORMALITÀ

A partire dall’estate 2010 qualcosa cambia: Toronto gli affida un ruolo di leader, complice l’addio di Bosh, salpato a Miami con i nuovi Big 3 voluti da LeBron e Wade. Vive una stagione di alto rendimento (a dicembre al MSG contro i Knicks ne mette addirittura 41), ma i play-off li guarda ancora dalla tv. E con il popolo Raptors qualcosa comincia a incrinarsi tra infortuni ricorrenti e prestazioni altalenanti. L’ultima stagione (2012-13) è un mezzo calvario tra fischi, incomprensioni e voglia di cambiare aria. Ma il meglio, purtroppo per lui, è alle spalle: ai Knicks passa due stagioni a fare avanti e indietro con l’infermeria, ai Nets, preferiti ai Kings (che gli offrivano di più), il matrimonio dura appena 6 mesi. Nel febbraio 2016 la sua carriera NBA è praticamente terminata, tanto che dopo aver atteso invano un’altra chiamata nel luglio dello stesso anno, subito dopo aver mancato la qualificazione olimpica con la nazionale nella maledetta serata di Torino contro la Croazia (sarà la sua ultima gara in Azzurro delle 73 disputate, segnate da tanti tornei chiusi anzitempo e senza alcun risultati di rilievo), decide di accettare la proposta del Baskonia, che gli garantisce anche la vetrina dell’Eurolega. Un’annata in chiaroscuro lo porta a salutare i paesi Baschi, chiudendosi in un silenzio rotto solo nel febbraio del 2018 da un post col quale comunicava che nel suo futuro non c’era più alcuna intenzione di tornare sul parquet. Da quel giorno è tornato nell’ombra, quasi a voler schivare quel mondo che, dopo averlo abbagliato, lo ha respinto senza pietà. Da buon “Mago” qual era ha fatto un gioco di prestigio ed è scomparso dai radar. E chissà oggi dove sarà a godersi il compleanno.

(Credits: Getty Image)

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