QUANDO GIGI BUFFON AVEVA 19 ANNI, 9 MESI E 11 GIORNI

Submitted by Anonymous on Fri, 10/29/2021 - 17:07
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Redazione
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Certi uomini nascono proprio con la scorza dura. Gente che si potrebbe provare a scalfire con qualsiasi mezzo, senza riuscire mai a raggiungere il risultato sperato. Gente impavida che non conosce la paura, che si lancia a capofitto nelle avventure più disparate, che sfida il pericolo senza averne coscienza, forse perché la mente è così convinta dei propri mezzi che quel che c’è intorno non necessita nemmeno di un’occhiata. L’incoscienza della gioventù è una chiave di lettura, ma la classe e il talento rendono alcune persone fuori categoria per chiunque. E alla voce “portieri di calcio”, meglio far spazio a uno che la storia del ruolo l’ha riscritta a suon di record, con una voglia matta di non darla vinta al tempo che è la ragione che ancora oggi lo spinge a prendere freddo nelle serate d’autunno del campionato cadetto. Che poi, Gigi Buffon, all’aria umida della pianura padana c’è abituato da sempre. E certi vizi non l’ha persi affatto: il rigore parato ad Antonucci nella vittoriosa gara di Cittadella ne è la riprova. Un bel modo per festeggiare una ricorrenza davvero speciale: 24 anni fa, anziché il “Tombolato”, fu lo stadio “Dinamo” di Mosca il palcoscenico di una notte da tregenda. La prima di Gigi in nazionale. La prima di 176 partite con la maglia Azzurra. Record destinato a durare chissà quanto a lungo.19 anni, 9 mesi, 11 giorni.

BENEDETTO FU QUEL PLAY-OFF

Non se l’è scordata nessuno quella notte nell’ex terra sovietica. Buffon per primo, ma anche chi, incollato davanti alla tv, al vedere Pagliuca chiedere il cambio cominciò a temere il peggio. Anche perché l’Italia di Cesare Maldini non stava mica giocando una partita come tante: per completare la rosa delle squadre da inviare al mondiale di Francio 1998, l’UEFA aveva pensato bene di far scontrare le seconde classificate dei vari gironi di qualificazione, prima volta assoluta di un meccanismo tanto crudele quanto necessario. I russi erano avversario scomodo, e a complicare le cose arrivò una nevicata mista a pioggia a rendere decisamente infangato il terreno di gioco, cosa abbastanza normale per i giocatori di casa, decisamente meno per una nazionale già provata dalla mancata vittoria nella gara decisiva del girone contro l’Inghilterra. Maldini senior sapeva di essere spalle al muro: l’idea di una mancata qualificazione non era neppure minimamente contemplata, ma a Mosca tutto sembrava remare contro.

UNA LUCE NELLA TEMPESTA

Fino all’infortunio di Pagliuca, avvenuto alla mezzora del primo tempo, l’Italia aveva mostrato più di una difficoltà nello sviluppo della manovra. Ma quando il portiere dell’Inter chiese il cambio, in tanti cominciarono a guardarsi intorno con aria preoccupata. Perché va bene che quel Buffon aveva dimostrato di meritare fiducia, ma gettarlo nella mischia a freddo (in tutti i sensi!) era un rischio non certo calcolato. Gigi, fedele al suo modo d’essere impavido e temerario, non fece una grinza: si tolse di dosso la coperta di lana che teneva sulle gambe, la diede al compagno di squadra Enrico Chiesa che gli sedeva accanto (che quattro giorni prima era diventato padre di un bambino di nome Federico…) e si diresse senza alcun tipo di riscaldamento verso il centro del campo. Era pronto ad andare al parco giochi e quella scena, così Made in URSS che pure neanche Rocky IV poté arrivare a tanto, gli sembrò del tutto naturale. La neve e il vento che sferzavano lo stadio “Dinamo” sulla sua pelle non facevano effetto, tanto da presentarsi in pantaloncini corti come una normale domenica di fine estate. I compagni di squadra cercarono di caricarlo, ma non ne aveva affatto bisogno. E lo dimostrò un paio di minuti dopo il suo ingresso, respingendo in tuffo una conclusione velenosa di Alenichev. Davanti alle tv italiane, in fretta dalla paura si passò a un misto tra sollievo e fiducia. Stava succedendo qualcosa di grosso, stava nascendo una nuova stella nel firmamento del calcio italiano. In tanti, quella serata, colsero quei segnali.

LA RUSSIA E UN CERCHIO CHE NON S’È CHIUSO

Ironia della sorte, nonostante il fango, il freddo e la neve, a Mosca l’Italia giocò una delle migliori partite della gestione Maldini. A inizio ripresa Vieri portò avanti gli Azzurri, ripresi 3’ più tardi da un autorete di Cannavaro. Che da buon compagno di squadra di Buffon nel Parma pensò bene di dargli il benvenuto in nazionale nel peggior modo possibile. Gigi quella sera fu superlativo: nelle pagelle ricevette voti altissimi, e i complimenti si sprecarono da ogni angolo del pianeta calcio. Ammise candidamente che l’essere entrato in campo senza preavviso gli risparmiò tanta di quella tensione che altrimenti avrebbe finito per accumulare. Nella gara di ritorno, al “San Paolo” di Napoli, una stoccata di Casiraghi a inizio ripresa spedì l’Italia al mondiale francese. Buffon quella sera si rimise nuovamente la coperta e tornò a sedere in panchina, riconsegnando il posto a Peruzzi. Che al mondiale non poté andare, poiché infortunatosi alla vigilia della rassegna, con Buffon a fare da vice al redivivo Pagliuca prima del definitivo passaggio di consegne, avvenuto proprio a partire dalla fine del 1998. Una storia durata 20 anni esatti, interrotta bruscamente da un altro play-off, stavolta maledetto, contro la Svezia. Avrebbe voluto giocare il suo sesto mondiale proprio in quella terra di Russia dove tutto era cominciato. Sarebbe stato comunque un gran finale. A meno che a Mancini in Qatar non venga in mente di rispolverare il buon vecchio Gigi, ancora discreto pararigori...

(Credits: Getty Image)

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