IL NAUFRAGIO DI GIOVANNI SOLDINI E VITTORIO MALINGRI

Submitted by Anonymous on Sun, 11/14/2021 - 22:47
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Redazione
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“Cape Bari”. Capo Bari, tradotto alla carlona. Ma non era quella la destinazione che Giovanni Soldini e Vittorio Malingri avevano messo nel mirino. Sulla tabella di bordo, il viaggio si sarebbe dovuto concludere a Salvador de Bahia molti giorni più tardi. Invece la salvezza si manifestò sotto forma di una petroliera diretta verso il Golfo del Messico, ma che casualmente passata lì a poca distanza, giunto in tempo per tirarli via dall’acqua e riportarli in salvo sulla chiatta. Tutto questo perché il trimarano “Tim Progetto Italia” col quale stavano navigando e competendo durante la Transat Jacques Vabre aveva deciso di mollarli: in gergo velistico si chiama “scuffia” il ribaltamento dello scafo, dovuto a una soffiata di vento troppo forte nelle vele, eredità di un errore del pilota automatico. Già, la beffa sta tutta qui: non fu un errore umano a determinare la fine dei loro sogni, bensì una manovra errata del pilota automatico che Soldini fu costretto a inserire per andare a ridurre proprio il volume delle vele. Non fece in tempo a completare il compito che s’era prefissato che una folata di vento gonfiò le vele, mandando in tilt il pilota automatico che finì per orzare e far precipitare l’albero in mare. Il ribaltamento fu inevitabile: Malingri era sotto coperta, ma riuscì comunque a tirarsi fuori e mettersi in salvo. Erano da poco passate le 7 del mattino del 14 novembre 2005 quando l’organizzazione ricevette l’SOS da parte dei due velisti, lanciato tramite telefono satellitare. Per loro era l’inizio di una giornata da incubo. Fino a che “Cape Bari” non li avrebbe tratti in salvo.

L’ALBERO DELLA DISTRUZIONE

Soldini e Malingri non erano nuovi a certi imprevisti, ma per certi versi quella fu davvero un’esperienza nuova e diversa dalle altre. Da buoni lupi di mare non si persero d’animo: racconteranno poi di aver subito cercato di rimuovere tutte le parti dell’albero spezzato che battevano contro lo scafo, provando così a scongiurare il pericolo di ulteriori guasti, tali da non consentire al trimarano di restare a galla. Poi però, costretti a ripararsi sotto coperta, dovettero fare i conti con un caldo pazzesco, complice il sole che scaldava la cabina rendendola un vero e proprio forno. E il problema successivo fu rappresentato dall’acqua che entrava dagli oblò, costringendoli pertanto a un doppio lavoro di rimozione della stessa per non allagare la cabina. Furono ore drammatiche: il telefono satellitare che li teneva in contatto con gli organizzatori era l’unico appiglio per provare a scongiurare il pericolo di non essere recuperati in tempo. Di cibo a sufficienza ce n’era, così come di acqua dolce disponibile per giorni e giorni. Ma lo stress delle manovre da ripetere in continuazione, unito alla frustrazione del momento, era il vero nemico da combattere. Magari la preoccupazione maggiore poteva arrivare anche dalla presenza nella zona di qualche squalo, che per fortuna loro preferì battere altre rotte.

L’AMARO ADDIO DI “TIM PROGETTO ITALIA”

Il sistema internazionale di soccorso Cross si rivelò assolutamente tempestivo ed efficace. Oltre a “Cape Bari”, moderna supertanker che navigava a distanza di poche ore dallo scafo italiano, anche una nave cargo era stata allertata di cambiare rotta e dirigersi nel luogo dell’incidente. Non ce ne sarebbe stato bisogno: la petroliera diretta nel Golfo del Messico lanciò la scialuppa di salvataggio verso i due skipper circa 12 ore dopo l’invio del segnale di SOS. Soldini e Malingri rimasero per 10 giorni sulla nave giusto il tempo di raggiungere Houston prima di fare ritorno a casa. Il momento più duro, racconteranno i protagonisti, fu proprio quello nel quale si resero conto di dover abbandonare “Tim Progetto Italia” in pieno oceano.

I danni riportati dal trimarano erano ingenti, troppi per poter pensare anche solo di ripararlo in minima misura. Lo scafetto di dritta è esploso a causa dell’albero, che cadendo s’è spezzato in tre tronconi, e la traversa di poppa completamente allagata. Se ne stava andando una parte di noi, un mezzo al quale c’eravamo dedicati con tutte le nostre energie.

Già due anni prima, sempre nella regata che porta dalla Francia al Brasile, i due velisti erano stati costretti al ritiro da un’avaria quando stavano costeggiando le coste portoghesi. Stavolta era tutto più complicato: si trovavano a 500 miglia dalla costa del Senegal dopo una decina di giorni di navigazione. Il proseguo della loro avventura avrebbe assunto una forma ben differente: una cuccetta a testa, piatti prelibati dello chef di bordo e tanta, tanta rabbia repressa. Con i lividi che cominciavano a presentare il conto in tutte le parti del corpo, e una voglia matta di tornare presto in mare. Soldini quattro anni dopo si sarebbe preso la sua rivincita sulla Jacques Vabre, imponendosi con Pietro D’Alì. Ma la “scuffia” di Dakar, quella non se l’è più levata dalla testa.

(Credits: Getty Image)

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