RICCARDO ZAMPAGNA, IL BOMBER CHE VEDEVA IL MONDO ALLA ROVESCIA

Submitted by Anonymous on Mon, 11/15/2021 - 12:38
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Redazione
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Sul vocabolario Treccani, alla voce “bomber di provincia”, tra i tanti esempi proposti ce n’è uno che rimanda direttamente a Riccardo Zampagna. Forse il bomber di provincia per antonomasia, ma tale da poter essere definito anche il “bomber del popolo”, oppure il “bomber delle acciaierie”, quelle dove lavorava il papà Ettore, che pure non voleva che suo figlio ne ricalcasse le orme.

Dentro la fabbrica sarai sempre un numero e nessuno ti darà una pacca sulle spalle e ti dirà bravo perché hai fatto un tubo in più

gli disse quando, dopo aver ricevuto la chiamata della Pontevecchio (che militava nel Campionato Nazionale Dilettanti, l’attuale Serie D), lo invitava a salire sulla sua Fiat Tipo e percorrere ogni giorno la tratta che da Terni lo avrebbe portato a Ponte San Giovanni per gli allenamenti con i compagni. Quel mondo, Riccardo, pensava non gli appartenesse. Lui che in fondo si divertiva a giocare a calcio, mai si sarebbe immaginato che sarebbe potuto diventare la sua professione, la sua vera ragione di vita, quella per la quale la sera si va a letto presto e al mattino ci sia alza rimettendo la sveglia all’orario giusto, con la mente già rivolta a qualche nuovo schema su palla inattiva o la concentrazione rivolta all’avversario da incontrare la domenica successiva. Da tappezziere a goleador fu un attimo: Zampagna stava per vivere il sogno di ogni bambino.

LA FIAT TIPO, L’AUTO PER ANDARE INCONTRO AI SOGNI

A lui però importava solo fare rovesciate. Lo confessò in una delle tante interviste ricevute, quelle in cui si prova a scavare nei segreti più reconditi dell’anima: vide un giorno suo padre, quello che lavorava in fabbrica, esibirsi in una rovesciata nel giardino di casa, e da quel momento fu amore a prima vista. Ore ed ore passate a perfezionare il gesto e il movimento, ad abituare l’occhio a vedere cose che gli altri non potevano vedere. Riccardo in fondo è sempre stato uno spirito libero: giocare spalle alla porta, provare ad immaginare dove fosse posizionato il portiere e capovolgere il campo gravitazionale era il suo pane quotidiano, il suo marchio di fabbrica, l’estro unito alla dedizione. Ne aveva tanta, Riccardo: la Pontevecchio lo rivelò al mondo dei dilettanti, l’avventura a Trieste lo fece crescere come uomo, quella all’Arezzo con Cosmi gli diede una dimensione da giocatore professionista vero. Luciano Gaucci, uno al quale certe storie piacevano e importavano più di quanto un giocatore potesse essere davvero bravo, lo volle sotto la sua ala: Catania prima, Perugia poi, ma la coppia scoppierà presto. Il suo tour in giro per lo stivale lo porterà a Cosenza e Siena prima di approdare a Messina. Dove il mondo si rovescia per davvero.

MESSINA E TERNI, LE PIAZZE DEL CUORE

Zampagna è un buon attaccante, il classico numero 9 vecchia maniera, difficile da spostare, non dotato di tecnica eccelsa ma con un cuore grande così, di quelli che fanno felici gli allenatori. Per certi versi la sua ascesa ricorda quella di Luca Toni, con tutti i dovuti paragoni del caso. Poi quando nell’estate del 2003 arriva la chiamata della Ternana, a lui sembra di vivere un sogno: Terni è la città che l’ha visto nascere, è il posto dove può vedere ogni giorno gli amici dentro e fuori dal campo, è quello dove spera di esultare sotto la Curva Est del “Libero Liberati” sin da quando, in tenera età, il papà gli aveva regalato il primo pallone. L’aria di casa lo fa esplodere: 21 reti in 41 partite, il massimo che Riccardo poteva sperare di ricevere dal calcio e dalla vita. Solo che il Messina, che ne detiene ancora metà del cartellino, non resta mica a guardare: lo riscatta alle buste, e a Terni è una mezza tragedia popolare. Lui tenta addirittura di farsi rimandare in prestito in Umbria, confessando che la Serie A gli fa paura ed è troppo esigente per quelle che sono le sue qualità calcistiche. Il gol segnato alla Roma nella gara d’esordio (il 19 settembre 2004) fuga ogni dubbio: la A al 30enne Zampagna non sta affatto larga e a fine stagione con 12 centri l’attaccante è tra i protagonisti della splendida salvezza dei peloritani. L’anno dopo a metà stagione si trasferirà a Bergamo, altra piazza dove il feeling esplode immediato e dove contribuisce a riportare i bergamaschi in Serie A. Gli ultimi anni li passa a Vicenza e Sassuolo prima di una capatina a Carrara, dove però resiste un paio di mesi. Il calcio resta la sua ragione di vita, ma “quel” calcio ormai più non gli assomiglia: sceglie di andare a giocare con gli amici nei campionati UISP, e tanto basta per regalare altre rovesciate e gol d’autore. Da allenatore inizia subito vincendo nei campionati minori umbri, poi a un certo punto decide che allenare va bene, ma solo i ragazzini, lì dove ritrova l’essenza più vero dello sport.

DAVANTI A TOTTI E KAKÀ, PER PAPÀ ETTORE

Zampagna è la classica eccezione che conferma la regole. Eccezionali, invece, erano le sue rovesciata: quella segnata alla Fiorentina nel 2007 gli vale la candidatura come gol più bello della stagione, vinto davanti a mostri sacri come Totti e Kakà. Riccardo va a ritirare il premio controvoglia: pochi giorni prima era scomparso l’adorato papà Ettore e lui non aveva voglia di far festa. Alla fine i compagni lo convinsero ad andare: magari a Milano non sarà andato al volante della Fiat Tipo, ma quello fu per lui un viaggio speciale. Il mondo visto alla rovescia: c’ha scritto un libro, ma è la sua carriera ad aver offerto alla letteratura calcistica qualcosa di unico e irripetibile. Tanti auguri, bomber di provincia.

(Credits: Getty Image)

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