ALEXANDER ZVEREV, UN FIGLIO DELL’EX URSS INNAMORATO DI FEDERER

Submitted by Anonymous on Mon, 11/22/2021 - 15:21
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Redazione
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Due ATP Finals in bacheca, nessun titolo dello slam con impressa sopra la sua firma. Ma che razza di maestro è Alxeander Zverev? Se il tennis fosse una scienza esatta, forse più d’uno cercherebbe di dare risposta a una delle domande più inusuali che il mondo della racchetta abbia proposto da un lustro a questa parte. In effetti la stranezza è più che giustificata: nel torneo dei maestri, universalmente considerato come il quinto slam, Sascha non teme rivali. Ma la grandezza di un tennista si misura soprattutto sul numero degli slam vinti, e allora ne ha ancora di strada da fare questo giovanotto nato ad Amburgo il 20 aprile 1997, attuale numero 3 al mondo, che da quando è passato sotto le cure del fratello Mischa (dopo aver cambiato praticamente un allenatore a stagione) pare aver trovato un equilibrio sin qui sconosciuto. E le ATP Finals vinte grazie alla portentosa prova offerta in finale sul favorito Medvedev, spazzato via in appena 75’ e senza concedere neppure una palla break, testimoniano quanto il tedesco abbia cambiato abitudini.

L’OSSESSIONE SLAM, L’ULTIMO FANTASMA DA ABBATTERE

Se possa realmente diventare l’erede di Bum Bum Becker è forse presto per dirlo, e magari il 2022 aiuterà anche a risolvere l’enigma. Intanto l’anno che sta per andare in archivio qualche buona indicazione a Zverev l’ha offerta: 6 i titoli vinti, con la medaglia d’oro di Tokyo a impreziosire ulteriormente un palmares fatto di due Masters 1000 (sulla terra di Madrid e sul cemento di Cincinnati), di altrettanti ATP 500 (Acapulco e Vienna) e appunto del trionfo alle Nitto ATP Finals di Torino. Ritoccato il numero di vittorie in una singola annata (nel 2017 aveva conquistato 5 titoli, tra cui i 1000 di Roma e Montreal), Sascha pare essere entrato compiutamente nella fase della maturità tennistica. E lo ha fatto dimostrando di saper reggere la pressione al cospetto degli attuali due dominatori della scena, con Djokovic e Medvedev (che pure l’aveva battuto nel round robin: è l’11esima volta che un vincitore delle Finals riesce a capovolgere in finale l’esito di un match già giocato nel torneo, come peraltro fece già nel 2018 con Nole) che sanno già che a partire da gennaio dovranno fare i conti con la voglia del tedesco di regalarsi per davvero uno slam. Dove finora ha disputato una sola finale in carriera, quella persa agli US Open 2020 al quinto set contro Thiem (e dopo essere stato avanti 2-0 e aver servito per il match nel terzo), che pure ancora oggi al solo pensiero assume le sembianze di un incubo. Sarà il primo tabù da sfatare quando si tornerà a giocare in Australia, dove Zverev ha già messo in proposito di interrompere il digiuno da slam.

LA DINASTIA ZVEREV, L’IDOLO FEDERER

Che nel destino ci fosse un futuro da top mondiale, magari qualcuno l’avrebbe potuto intuire già prima che Alexander venisse al mondo. I geni del resto sono piuttosto eloquenti: sia il papà Alexander senior che la mamma Irina, entrambi originari di Sochi, erano stati atleti e pure con ottimi risultati, tanto da poter essere annoverati tra i tennisti sovietici più forti della loro generazione. Ma fino al 1989 il tennis nell’ex URSS faticava a emergere al di fuori della cortina di ferro. Fu solo negli anni ’90, col trasferimento in Germania e la decisione di Alexander di diventare il coach di Irina, che ai loro occhi si aprì tutto un altro mondo, del quale il primogenito Mischa e appunto Sascha hanno poi potuto godere. Origini russe, insomma, ma mentalità molto tedesca. Tanto che quando a 12 anni, già inserito nei circuiti junior, si ritrova in Florida per un torneo e perde contro un avversario più giovane, decide che il tennis sarebbe diventata la sua unica ragione di vita, abbandonando le altre passioni sportive (hockey e calcio su tutte). E mentre il fratello maggiore lentamente comincia a faticare al cospetto dei migliori interpreti della sua generazione (tra gli altri Federer, Nadal e Djokovic), ecco che Alexander comincia a dare sfogo a tutta la sua fame di vittorie. A 16 anni conquista il Trofeo Bonfiglio, il talento più precoce a riuscire nell’impresa. Poi di lì a poco entra nel circuito ATP in pianta stabile e nel 2016, a San Pietroburgo, vince il suo primo titolo in carriera (250) battendo in finale Wawrinka. Poche mesi prima, sull’erba di Halle, aveva osato sconfiggere il suo idolo d’infanzia, Re Roger. Che profetizza per lui un gran futuro, non necessariamente da numero 1 al mondo, solo per non mettergli pressione addosso.

UNA MOVIMENTATA VITA EXTRA CAMPO

La pressione, questa sconosciuta. Zverev cresce in fretta nel circuito dei grandi: nel 2017 passa all’incasso conquistando 5 tornei e sfondando nella top ten mondiale. Ormai è una solida certezza, anche se negli anni non mancheranno momenti di scarso rendimento, tali anche da far interrogare più d’uno su quale sia la sua reale consistenza. Gli slam, come detto, sono il suo tallone d’Achille, ma rappresentano una lacuna destinata presto o tardi che sarà ad essere colmata. Fuori dal campo è l’idolo delle ragazzine, che restano affascinate dai suoi capelli biondi e i dagli azzurri. Ma non è quel che si definisce uno “stinco di santo”: lo scorso marzo l’ex compagna Brenda Patea ha dato alla luce Mayla, la primogenita di Sascha, che nel frattempo doveva però difendersi dalle accuse della modella Olga Sharypova, con la quale la love story era finita prima della relazione con la Patea e con un’inchiesta ATP su presunte violenze domestiche. Oggi gli viene attribuito un flirt con Sophia Tomalla, ma la riservatezza regna sovrana. Di sicuro le vicende sentimentali potrebbero aver creato qualche malumore, ma sul talento di Zverev pochi potranno mai obiettare.

(Credits: Getty Image)

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