BORIS BECKER, UNA VITA TRA PRODIGI E FOLLIE

Submitted by Anonymous on Mon, 11/22/2021 - 15:38
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Redazione
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Il 22 novembre del 1967, a Leimen, Germania, nasceva Boris Becker, uno dei tennisti più celebri e celebrati della storia di questo sport. Vincitore di 6 titoli Slam (1991/96 Australian Open; 1985/86/89 Wimbledon; 1989 Us Open), ben 9 Coppe Davis (di cui cinque consecutive dal 1985 al 1989) e 49 trofei in carriera, il fenomeno con i capelli rossi ha illuminato la scena a cavallo tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90.

QUANDO UN DICIASSETTENNE HA STRABILIATO IL MONDO 

Unico nel suo stile di gioco, Becker ha strabiliato il mondo del tennis a Wimbledon, il 7 luglio del 1985, quando, quattro anni dopo Chang, è diventato il più giovane di sempre a vincere uno Slam a soli 17 anni. Da quel giorno la vita del campione tedesco ha iniziato a girare a una velocità supersonica, perdendo quasi aderenza con il suolo. Come se fosse stato capace di riunificare la Germania prima della caduta del muro, dalla sua prima vittoria a Wimbledon un’intera nazione lo ha stritolato per non mollarlo più.

QUELLA FITTA NEL CUORE, LA VOGLIA DI FARLA FINITA

Boris Becker si è sentito usato, venduto, strumentalizzato. Tutto quell’interesse, tutta quella morbosità nei suoi confronti, lo hanno turbato provocandogli vere e proprie crisi di identità. Come ha confidato in una recente intervista:

Avevo soldi, fama, auto, donne. Eppure mi sentivo infelice. Mi tornavano in mente le biografie di Marilyn Monroe e James Dean, di tante star che al culmine della celebrità avevano trovato la morte, magari suicidandosi

e al suicidio Boris ci ha persino pensato.

Una volta mi trovai a un passo dalla finestra e pensai che bastava un passo e sarebbe finito tutto.

Unico in campo ma unico anche per la sua vita fuori dal campo. A vent’anni dal suo addio al tennis viene ricordato come uno dei più popolari di sempre, non solo perché ha vinto tantissimo, ma anche per quella fama da playboy (o bad-boy) che ne ha accompagnato tutta la carriera e anche i primi anni dopo il ritiro. Nel 2002 viene processato per frode fiscale e condannato dal Tribunale di Monaco di Baviera a due anni di carcere con la condizionale. Il tutto mentre, non senza un pizzico di egocentrismo, confessa che dal 1987 al 1992 ha fatto uso di dosi massicce di pillole per combattere lo stress e che il solo rimedio contro la solitudine erano l'alcool e le donne.

QUEL VUOTO IN BACHECA: IL ROLAND GARROS 

L’unico grande traguardo che ha sempre fallito è il Roland Garros, su quella dannata terra rossa che non gli ha dato nemmeno uno dei suoi 49 titoli ATP, sparsi dal 1985 al 1996. Facile immaginare come il suo tennis funzionasse a meraviglia altrove, tipo sull’erba di una volta o sui mitici carpet di quegli anni, che ne esaltavano il gioco d’attacco, basato su uno dei primi servizi “bomba”, una mano educata e grande atleticità. Nel 2003 è stato introdotto nella Hall of Fame di Newport.

DOPO IL TENNIS, UNA MAREA DI TENTATIVI PER TORNARE AL TENNIS

Dopo aver appeso la racchetta al chiodo, per anni l’unico contatto fra Becker e il tennis è stato il suo lavoro per la BBC durante il torneo di Wimbledon, e oltre a essersi lanciato un qualche attività imprenditoriale il tedesco ha provato la carriera nel poker sportivo, ottenendo discreti risultati. Dal 2013, invece, è tornato a tempo pieno nel mondo del tennis. È stato per diverse stagioni coach di Novak Djokovic, ha iniziato a lavorare per Eurosport durante i tornei del Grande Slam e soprattutto è diventato responsabile del settore maschile per la DTB, la Federtennis tedesca. Eppure, il fenomeno con i capelli rossi sembra non aver fatto pace né con la Germania, né con il tempo che passa. Proprio il tempo, quel feroce meccanismo che tutto macina ma che non è riuscito a estinguere l’essenza agrodolce di Boris Becker, un uomo che ha lasciato in tutti coloro che hanno, o non hanno, tifato per lui uno strano sapore in bocca, un gusto amaro, difficile da mandar giù. In fondo, a ripensarci, come sarebbe stato bello schierarsi dalla parte di quel fuoriclasse che si atteggiava a invincibile, mentre invece era solo bisognoso di essere amato per quello che era veramente, di essere riconosciuto nella sua vera essenza: un uomo gettato in pasto alla storia.

(Credits: Getty Image)

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