ROBERTO MANCINI, NATO PER VINCERE

Submitted by Anonymous on Sat, 11/27/2021 - 16:31
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Redazione
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Roberto Mancini avrebbe voluto festeggiare il suo compleanno numero 57 con un regalo dall’urna di Zurigo: la prospettiva di incontrare Cristiano Ronaldo sulla strada per il suo primo Mondiale da allenatore non è allettante, ma il c.t. della Nazionale non ha perso il suo naturale ottimismo. Chi è nato per vincere, del resto, sarà sempre accompagnato da uno spirito positivo. Quello che l’ha portato sul tetto d’Europa nella magica estate italiana.

ROBERTO MANCINI, CARRIERA DA GIOCATORE SENZA LA CILIEGINA AZZURRA

Roberto Mancini ha esordito in Serie A a 16 anni, 9 mesi e 17 giorni con la maglia del Bologna. Un predestinato, insomma, se consideriamo che, da minorenne, in quel lontano 1981-82 segnò 9 gol in 31 partite. Era la stagione che avrebbe portato ai Mondiali, quelli del trionfo di Madrid con Zoff che alza la Coppa e Pertini che esulta al Bernabeu, e ovviamente, così giovane, Mancini non partecipò, limitandosi a sognare, ancora ragazzino, che un giorno anche lui avrebbe potuto giocare e, perché no, vincere un Mondiale. Invece nella carriera del Mancio è proprio quello che è mancato: nell’86 Bearzot lo lasciò a casa perché durante una tournée, due anni prima, era scappato dal ritiro per andare in discoteca, il celebre Studio 54 di New York; nel 1990 Vicini lo convocò ma non gli concesse neppure un minuto; nel 1994 Arrigo Sacchi, dopo averlo utilizzato spesso nelle qualificazioni, non lo portò negli Stati Uniti; nel 1998, pur facendo ancora la differenza nella Lazio, era ormai fuori dal giro della Nazionale. Così, tutto quello che rimane di lui in Azzurro, è l’Europeo dell’88 da protagonista, con il gol alla Germania al debutto e quattro partite da titolare. Una ciliegina mancata in una torta piena di emozioni.

ROBERTO MANCINI BANDIERA DELLA SAMPDORIA

Dopo l’anno da sogno al Bologna, Paolo Mantovani decise di acquistarlo per 4 miliardi di lire, una cifra che oggi fa quasi sorridere, ma che all’epoca rappresentava un bell’investimento. Era un altro calcio, ma forse neppure Mancini pensava che sarebbe diventato una bandiera della Sampdoria, con 171 gol in 15 stagioni, la Coppa delle Coppe del 1990, l’apoteosi dello scudetto del 1991, l’unico della storia blucerchiata, e la più grande delusione della propria carriera, la finale di Champions League persa ai supplementari contro il Barcellona, dopo che l’amico Gianluca Vialli, suo gemello del gol, si divorò un paio di occasioni colossali. Si giocava a Wembley e l’abbraccio tra Vialli e Mancini, 19 anni più tardi, dopo il trionfo all’Europeo dell’Italia, è passato alla storia anche come l’immagine di un riscatto. Il Mancini calciatore si regala comunque altre grandi soddisfazioni: il record poi eguagliato da Buffon di sei trionfi in Coppa Italia, quattro con la Sampdoria e due con la Lazio, dove ha di fatto chiuso la carriera, esclusa la parentesi al Leicester; poi ancora due Supercoppe italiane, ma soprattutto, in biancoceleste, un’altra Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e lo scudetto del 2000, in verità vinto non da protagonista assoluto, senza mai segnare in campionato. Perché quel meraviglioso colpo di tacco al Parma, forse il gol più bello in carriera, era del gennaio ’99.

ROBERTO MANCINI ALLENATORE DA FAVOLA

Il Roberto Mancini allenatore ha un palmares più ricco di quello da giocatore e una storia che nasce quasi a sorpresa, perché quando lo chiama la Fiorentina, a febbraio del 2001, lui non ha ancora il patentino e, anzi, di fatto è ancora un giocatore del Leicester, dove era andato dopo aver cominciato la stagione da assistente di Eriksson alla Lazio. Ma sente dentro di sé che la sua vita sta per cambiare, così appende gli scarpini al chiodo, comincia la nuova avventura e, pronti-via, vince la finale di Coppa Italia contro il Parma. Un predestinato, appunto. Va alla Lazio e vince un’altra Coppa Italia, lo chiama l’Inter e ne vince altre due (in totale fanno 4, altro record), ma soprattutto conquista tre scudetti, compreso quello del 2006, l’anno di Calciopoli. L’apice, con i club, lo raggiunge al Manchester City, per il gioco spettacolare che offre quella squadra e per il titolo vinto all’ultimo minuto dell’ultima giornata nel 2012 dopo aver trionfato nella stagione precedente in FA Cup. Terminata l’esperienza in Inghilterra, al Galatasaray si toglie la soddisfazione di eliminare la Juve dalla Champions, ma vince solo la coppa nazionale e non il campionato, poi torna all’Inter, ma la “minestra riscaldata” non funziona e le cose non vanno bene nemmeno allo Zenit, nel 2017-18. Sembra una carriera in declino e invece lo chiama la Nazionale e lui fa il miracolo: 37 partite senza sconfitte, ancora un record, e soprattutto l’Europeo vinto in Inghilterra, con una squadra che gioca divinamente. Quest’autunno ci siamo svegliati dal sogno, ma Mancio è ancora in corsa per il Qatar. E vuole finalmente giocare un Mondiale.

(Credits: Getty Image)

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