BRUCE LEE, L’ATLETA CHE HA CAMBIATO LE ARTI MARZIALI

Submitted by Anonymous on Sat, 11/27/2021 - 16:58
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Redazione
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Chissà se a 81 anni Bruce Lee si sarebbe ancora cimentato nell’arte del kung fu. Anzi, del Jeet Kune Do, la disciplina di arti marziali che ispirò e che lo rese famoso in tutto il mondo, esempio di resilienza e perseveranza, capace di sbancare il box office come nessuno aveva fatto prima di lui nell’industria cinematografica per qualcosa dedicato alle arti marziali. Li avrebbe compiuti oggi, e sapere con sono ben 48 anni che non è più su questo mondo un po’ fa salire il magone. Perché la sua eredità è rimasta scolpita non solo nei cuori di chi le arti marziali le ha sapute interpretare alla stregua di un modo di vivere, ma anche in quelli di chi non sapeva cosa aspettarsi, ma ha finito per restare ammaliato dalla sua cultura e dal fascino delle discipline che ha provveduto a esportare fuori dai piccoli contesti locali. Una icona capace di andare oltre il proprio tempo, attuale ancora oggi e per questo ricordata come si fa solo con i veri miti immortali.

UNA MORTE CHE FA ANCORA DISCUTERE

Il mito del Piccolo Drago, uno dei tanti soprannomi che ne hanno contraddistinto l’esistenza, non sfugge alle contraddizioni che ne hanno segnato soprattutto la parte finale della vita: la sua stessa morte, oggetto di inevitabili congetture, lo consegna alla storia come eroe tragico, ma con un'immagine di invincibilità giovanile per sempre scolpita nella memoria. Guardando, oggi, i film di Lee, resta difficile immaginare il suo corpo vittima del tempo e dell'invecchiamento: curato in modo maniacale, espressione di una rarissima combinazione di potenza e agilità fisica, è proprio di persone che travalicano i limiti umani, volgendo lo sguardo altrove. Proprio la sua dipartita terrena è ancora adesso oggetto di mille interpretazioni: ufficialmente fu un’allergia a un farmaco (Equasegic) che conteneva meprobamato, una sostanza che scatenò una reazione allergica con conseguente edema cerebrale. Ma le circostanze del decesso, tra ritardi nei soccorsi e una frettolosa indagine chiusa a tempo di record, non hanno fatto altro che avvalorare tesi complottistiche e ipotesi disparate su chi l’avrebbe voluto vedere morto, anziché ancora davanti a una macchina da presa.

A DIFESA DELLE MINORANZE CINESI

Dopotutto Bruce Lee era davvero un paladino dei più deboli. E nei suoi film c’era sempre un rimando agli oppressi o alle minoranze, che si vedevano costrette a lottare per vedere riconosciuti i propri diritti. In un’epoca come quella sessantottina, una simile impronta non poteva che far breccia nel popolo e nell’immaginario collettivo, tanto da far diventare Lee un vero e proprio idolo delle masse. E dopotutto le arti marziali non avevano mai trovato spazio nel mondo del cinema prima del suo avvento: la presenza scenica invidiabile, unita alla capacità di saper graffiare con una recitazione semplice, ma quanto mai pungente, lo portò a diventare il beniamino di un’intera generazione di appassionati della cinepresa. Un modello nuovo, quello orientale, figlio anche della ferma volontà dell’attore di far conoscere le proprie origini: i genitori erano originari di Hong Kong ma lui nacque a San Francisco durante una tournee teatrale che vide impegnato il papà, celebre cantante d’opera cantonese. La sua battaglia per difendere i diritti dei cinesi in tutto il mondo fu facilmente riconoscibile anche nei temi trattati nei film che recitò, tutti improntati a voler far emergere il lato positivo dei propri connazionali, spesso vittima di soprusi da parte delle organizzazione malavitose locali. Anche per questo in tanti continuano a ritenere che la sua morte sia in qualche modo legata al tipo di messaggio di cui voleva farsi promotore, tale da poter aver dato fastidio ai potenti dell’epoca, preoccupati di non vedere sporcata la propria reputazione da un atleta formidabile che utilizzava la cinepresa per far presa sul pubblico. Ad aumentare i dubbi sulla sua fine c’è anche la tragica morte del figlio Brandon, rimasto vittima di un colpo fortuito partito da una pistola di scena durante le riprese de “Il Corvo” nel 1993. La stella sulla Hollywood Walk of Fame testimonia però il contributo dato al mondo del cinema, del quale nessuno può discutere: se da decenni la Cina è più vicina, Bruce Lee ha molto per cui vada ringraziato al riguardo.

(Credits: Getty Image)

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