LA DAVIS DEL 1976 ALL'ITALIA. BERTOLUCCI A PANATTA: "NON FARE IL MATTO"

Submitted by Anonymous on Mon, 11/29/2021 - 15:38
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Redazione
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Rosso, prima ancora che azzurro. Ma perché proprio quel colore?

“Il rosso nel Cile degli anni ’70 era il colore della protesta contro il regime imposto da Pinochet. Era il colore con il quale le donne scendevano per strada a protestare, era il colore del coraggio, del sangue e del ricordo di tanti uomini fatti prigionieri, torturati e uccisi. Volevo dare un segnale forte di vicinanza a quel popolo. E chi non lo comprese, o fece finta di non vederlo, se possibile fece anche peggio”

Adriano Panatta in fondo è stato sempre uno deciso, uomo poco avvezzo ai compromessi: quel che la testa gli passa in testa, lui puntualmente lo mette in pratica. Non fece eccezione ciò che decise di fare quel 18 dicembre 1976, giorno che consegnò all’Italia del tennis la prima (e sin qui unica) insalatiera della sua storia. Una storia che a distanza di 45 anni emoziona ancora, anche perché figlia di un tempo lontano, forse però mai così attuale e vicino.

L’IMPRESA CONTRO LA SUPER AUSTRALIA DI NEWCOMBE

Il Cile di Pinochet non era il posto migliore al mondo in cui andare nel 1976. Da tre anni ormai la dittatura stava spazzando via l’illusione di pace e prosperità di cui il paese s’era fatto promotore negli anni successivi grazie all’opera di Salvador Allende. Era una terra divisa, dove la violenza varcava le soglie di ogni cortile, un po’ sulla falsariga di quanto sarebbe accaduto di lì a poco in Argentina sotto il generale Videla. L’Italia era lontana, ma non poté esimersi dal viaggiare verso il Sudamerica nell’anno di grazia del tennis di casa nostra. Perché Panatta era il numero sulla terra rossa, e lo aveva dimostrato vincendo sia al Roland Garros, sia agli Internazionali d’Italia. Di più, perché c’era un movimento che faceva proseliti e garantiva risultati di assoluto valore, con Paolo Bertolucci e Corrado Barazzutti alfieri del talentuoso pariolino. La campagna di Davis del 1976 fu esaltante: dopo i facili successi su Polonia e Jugoslavia (ambedue per 5-0), a luglio gli azzurri fecero razzia dei britannici sul sacro suolo di Wimbledon (4-1 il finale), a settembre al Foro Italico dovettero sudare e non poco per avere ragione dei fortissimi australiani, guidati da John Newcombe: dopo aver vinto il doppio ed essere andati sul 2-1, la sconfitta di Barazzutti contro Alexander obbligò Panatta a giocarsi un vero e proprio spareggio contro Newcombe, che vinse il primo set prima di cedere al quarto nel tripudio del centrale romano, col match concluso solo nella giornata di lunedì dopo l’interruzione domenicale per oscurità. L’Italia era in finale e ancor prima di giocare già conosceva l’avversaria, poiché l’Unione Sovietica si rifiutò di affrontare il Cile, in segno di protesta contro la dittatura di Pinochet.

ANDARE O NON ANDARE, QUESTO È IL PROBLEMA

Quella decisione forte presa dai sovietici ebbe una vasta eco anche in Italia. Dopo per due mesi uno degli argomenti più dibattuti di salotti televisivi, radiofonici e carta stampata fu incentrato proprio sulla trasferta della nazionale di Nicola Pietrangeli in terra sudamericana. Valeva la pena andare a giocare a casa di un dittatore, peraltro con la sede delle gare collocata accanto allo Stadio Nazionale, teatro di numerosi episodi di violenza nei confronti degli oppositori del regime. La politica, nonostante ce n’erano di cui a cui pensare, s’interessò in modo spassionato della vicenda, caldeggiando l’idea di rinunciare a inviare i giocatori azzurri in Cile, noncurante della portata storica dell’evento (non solo in ambito tennistico). Pietrangeli venne minacciato di morte telefonicamente, Panatta accusato in piazza di essere “borghese e fascista” (lui che s’è sempre professato di sinistra, e non mancherà di ricordarlo in campo). Enrico Berlinguer, inizialmente contrario all’ipotesi di disputare la finale, viene invitato dal segretario del Partito Comunista cileno Luis Corvalan a riflettere sulle necessità di evitare che il Cile possa trarre qualsiasi tipo di vetrina da un’eventuale vittoria, anche a tavolino, con Pinochet pronto ad accaparrarsene il merito. Alla fine tanto il Governo Andreotti, quanto il CONI, decisero di non interferire con quanto avrebbe deciso la Federtennis, che dopo attenta riflessione (ed essersi consultata proprio con Berlinguer) optò per partecipare come da programma alla finale, in calendario dal 17 al 19 dicembre a Santiago del Cile.

I TRE SET DELLA MAGLIA ROSSA

Al netto del fattore campo (6.000 i posti sugli spalti) e delle tensioni della vigilia, il pronostico è tutto a favore della nazionale italiana. Che non a caso apre la prima giornata vincendo entrambi i singolari: Corrado Barazzutti fatica nei primi due set ma la spunta al quarto contro Alvaro Fillol, Panatta lascia appena 7 game al povero Patricio Cornejo. L’Italia è un solo successo dal primo storico trionfo in Davis e l’attesa per il doppio è tale da ingolosire Adriano a prendere dalla borsa la maglia di colore rosso, preparata dalla Fila assieme a quella bianca e all’altra azzurra. Bertolucci, il suo compagno di doppio, ne intuisce le intenzioni e lo mette in guardia:

Adrià, non fare il matto, come tuo solito. Guarda che qua c’arrestano per davvero.

Panatta però non si fa troppi scrupoli: deve mandare un messaggio a chi l’ha accusato di voler giocare solo per i soldi e per la gloria sportiva, e quello è il modo migliore per zittire tutti i bataia contrari. I cileni la prendono male: arriverà persino una protesta formale per il cambio di colore della maglietta con la richiesta di assegnare il punto a tavolino alla coppia di casa, naturalmente rispedito al mittente. Invero Fillol e Cornejo aprono la giornata come meglio non potrebbero, dominando il primo set per 6-3. Vedere il rosso dalla parte opposta della rete sembra avere un effetto adrenalinico nella coppia cilena, ma l’illusione dura lo spazio di pochi game: Panatta sale di colpi nel secondo set e l’Italia impatta con un netto 6-2, imponendosi poi nel terzo per 9-7. I ragazzi di Pietrangeli sono a un solo set dal riportare l’insalatiera in Europa.

L’AZZURRO, LO SPOILER TELEVISIVO E LA GIOIA DI UN PAESE

Proprio una volta scappato sul 2-1, Panatta guarda Bertolucci e gli dice che la maglia rossa aveva fatto il suo dovere. I due decidono dunque di cambiare divisa e indossare quella azzurra, che di fatto era la più indicata nel caso in cui i flash dei fotografi (anche se era giorno) avessero dovuto immortalare il momento del trionfo. Il quarto set è combattuto, ma mai quanto quello precedente. E forti di un break di vantaggio, gli italiani si ritrovano sul 5-3 a servire per il match. Panatta è chirurgico e con il suo servizio ficcante scava un fossato, arrivando a collezionare tre march point sul 40-0. Sul primo però è Bertolucci a sbagliare, forse per la troppa frenesia. Il secondo e il terzo svaniscono per merito dei cileni. Ai vantaggi, però, Panatta si costruisce un’altra chance per chiudere i conti, e stavolta la risposta di Fillol resta sulla rete. In quel momento la Davis prende la strada di Roma, ma gli italiani non sanno ancora che la finale aveva visto i ragazzi di Pietrangeli conquistare il successo al termine del doppio. Le immagini mostrate dalla Rai, rigorosamente in bianco e nero, vanno in onda in seconda serata col commento di Guido Oddo, che vedendo sul monitor di servizio i giocatori esultanti non trattenne l’emozione, lasciandosi andare al primo spoiler che la tv italiana ricordi:

E l’Italia ha vinto, l’Italia ha vinto!

esclamò mentre ancora sulla prima rete (che trasmise l’evento dopo la rinuncia della redazione del Tg2, sempre per ragioni politiche) si stavano giocando le battute decisive del terzo set. Gli italiani incollati davanti alla tv subissarono di insulti e proteste i centralini Rai, ma la forma non cambiò la sostanza. L’Italia aveva centrato finalmente la tanto agognata Davis, e Panatta aveva mandato il messaggio che voleva al mondo. E poco importa se sulle prime nessun giornale riprese quel particolare della maglia rossa. Quando il 24 dicembre sbarcarono a Fiumicino gli eroi di Santiago (oltre a Panatta e Bertolucci, anche Antonio Zugarelli e Corrado Barazzutti), l’Italia li accolse alla stregua del più bel regalo natalizio.

(Credits: Getty Image)

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