PALLONE D’ORO STORY, HA SEMPRE VINTO IL MIGLIORE?

Submitted by Anonymous on Mon, 11/29/2021 - 19:14
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Redazione
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Sessantacinque anni e non sentirli. O meglio, sessantacinque anni e milioni, anzi, miliardi di discussioni tutto attorno. Perché il Pallone d’Oro è uno dei massimi emblemi calcistici: non metterà mai d’accordo nessuno, tanti sono i pretendenti che ogni anno sperano di portarlo nella rispettiva bacheca. Non farà eccezione nemmeno l’edizione 2021, la prima dopo il discusso stop imposto dalla pandemia, con l’organizzazione in campo a France Football che nell’autunno del 2020 decise di non assegnare l’ambito riconoscimento, poiché l’impossibilità di uniformare tutti i campionati nel consueto calendario internazionale (pardon: solo la Francia decise di fermarsi a marzo, non assegnando il trofeo, e allora per l’eccessiva prudenza dei francesi tanto valeva farla “pagare” a tutti gli altri tornei nazionali) suggerì di non assegnare un trofeo altrimenti già saldamente nelle mani di Robert Lewandovski. Che a quanto pare resterà a bocca asciutta anche quest’anno, con Leo Messi e la sua “straordinaria” vittoria della Copa America con l’Argentina a dettare legge per la settima volta nella storia. Che la farsa sia con voi (anzi, noi).

I VINCITORI DEGLI ALBORI

Chissà se Gabriel Hanot, la mente che per prima partorì il riconoscimento destinato fino al 1994 al miglior calciatore europeo dell’anno solare, aveva messo in preventivo che ci sarebbe stato da discutere ogni santo e benedetto anno per individuare il profilo giusto da premiare. France Football all’epoca era una rivista frizzante, giovane e moderna, innamorata del calcio ma anche decisa a renderne omaggio nella giusta maniera. Le comunicazioni del tempo, piuttosto labili, suggerirono di non allargare i confini oltre il continente europeo, lasciando da parte il Sudamerica, che presto si sarebbe dotato a sua volta di un premio sulla falsariga del Ballon d’Or. Che nel 1956 venne assegnato a Stanley Matthews, attaccante del Blackpool, che a 41 anni stava vivendo l’età della piena maturazione calcistica, complice anche una preparazione fisica all’avanguardia per l’epoca (andava a correre di buon mattino in spiaggia con dei pesi alle caviglie: quando al pomeriggio si allenava, le sue gambe correvano più veloci di quelle dei compagni). Matthews vinse di misura su Di Stefano e Kopa, fuoriclasse del grande Real che aveva già cominciato a fare incetta di Coppe dei Campioni. Non caso don Alfredo e il francese si spartirono i successivi tre trofei (due volte l’oriundo argentino, partecipante al premio in quanto di passaporto spagnolo) prima che Luis Suarez nel 1960 non irruppe sulla scena, all’epoca leader del Barcellona. L’anno dopo fu Omar Sivori a conquistare quello che stava diventando un riconoscimento decisamente allettante per ogni calciatore. Il fatto che Sivori fosse argentino al 100%, sbarcato in Italia appena da tre anni, confermava però che nel regolamento qualcosa andava rivisto, eccome. Sarebbero trascorsi 33 anni prima di vedere esaudite le richieste degli appassionati.

RIVERA DAVANTI A RIVA: FESTA ITALIANA NEL 1969

Il Pallone d’Oro degli albori era bello perché imprevedibile. Altro che sponsor: chi giocava bene in un modo o nell’altro veniva sempre a dama, vedi il caso del cecoslovacco Josef Masopust (1962) o dello scozzese Denis Law (1964). In mezzo, unico portiere della storia, ecco il “ragno nero” Lev Yashin (1963), che soffiò il premio a un giovanissimo Gianni Rivera. Che pure si rifece con gli interessi nel 1969, primo “vero” italiano a ricevere il trofeo da France Football, superando di soli 4 voti il compagno di nazionale Gigi Riva. L’anno prima (1968) George Best aveva toccato l’apice della sua carriera, forte della conquista della Coppa dei Campioni con il Manchester nell’anno di grazia dei Red Devils. Preludio al dominio olandese e tedesco dei primi anni ’70, quelli dei tre trionfi di Johann Cruyff, dei due di Franz Beckenbauer e di quello di Gerd Muller. L’Europa del calcio si stava spostando a Est, con il sovietico Oleg Blochin (1975) e il danese Allan Simonsen (1977) a testimoniare l’ennesima ventata di novità prima dei due trofei messi in bacheca da Kevin Keegan (1978-1979) e Kalle Rummenigge (19780-1981). Ma una nuova rivoluzione era alle porte.

PABLITO, MICHEL E I TULIPANI DEL MILAN

Il 1982, anno di grazia del calcio italiano, santificò al mondo Paolo Rossi. Al quale bastarono 6 gol in poco più di due partite e mezzo per riscrivere la sua storia personale e riannodare i fili del legame tra il Bel paese e il Ballon d’Or. Che pure a metà anni ’80 riprese la via di casa grazie ai tre trionfi di Michel Platini, interrotti nel 1986 da Igor Belanov, una mezza meteora russa che grazie a un discreto mondiale si prese il lusso di mettersi alle spalle il capocannoniere della rassegna messicana Gary Lineker. L’ennesima rivoluzione provenienti dall’Olanda, di cui avrebbe tratto giovamento il Milan, chiuse gli anni ’80 grazie ai trionfi di Ruud Gullit (1987) e ai tre di Marco van Basten (1988, con podio completato da Gullit e Rijkaard, 1989 davanti a Baresi e 1992). Il 1993 fu l’anno che consacrò definitivamente il talento di Roberto Baggio, che senza il rigore sbagliato a Pasadena magari avrebbe concesso il bis l’anno seguente, quando a imporsi fu Hristo Stoichkov. Gli equilibri geopolitici del calcio stavano però cambiando, aprendo nuovi orizzonti e suggerendo a France Football di abbattere i confini europei e assegnare il premio al miglior giocatore dei campionati europei, indipendentemente dalla provenienza. George Weah nel 1995 fu il primo africano e non europeo (oriundi esclusi) a ricevere il trofeo, coronando una stagione super trascorsa a metà nel PSG e nell’altra al Milan.

SAMMER, UN AFFRONTO A BARESI E MALDINI

L’edizione del 1996 fu la più discussa (ancora oggi) di sempre. La vittoria a Euro ‘96 della nazionale tedesca fu il passepartout che consegno il premio nelle mani di Matthias Sammer, onesto mestierante della Germania dell’Est, che per un misero punto la spuntò sull’astro nascente Ronaldo, e a fronte di numerose polemiche. In fondo vinceva il Pallone d’Oro un difensore quasi a fine carriera, dopo che per anni si era parlato di quanto Baresi o Maldini avessero meritato di vincerlo, ma mai premiati dalla giuria, più avvezza a strizzare l’occhio a fantasisti e attaccanti. Ronaldo si prese la rivincita l’anno dopo (siderale il vantaggio su Mijatovic, secondo assoluto), mentre nel 1998 la cavalcata della Francia nel mondiale casalingo regalò un comodo successo a Zinedine Zidane, a sua volta con larghissimo vantaggio su Suker. Negli anni successivi, la tendenza fu quella di prediligere il talento dei singoli ai successi di squadra. Si spiegano così le vittorie di Rivaldo (1999), Luis Figo (arrivato al Real Madrid nell’estate del 2000), Micheal Owen (2001), Pavel Nedved (2003), Andriy Shevchenko (2004) e Ronaldinho (2005). Uniche eccezioni negli anni dei mondiali: il 2002 è quello della rinascita di Ronaldo, nel 2006 la difesa italiana si spinge verso un’impresa non pronosticabile e il capitano Fabio Cannavaro, che più ne incarna la solidità e il pragmatismo, ne trova adeguata ricompensa davanti a Gigi Buffon. Il trionfo di Kakà nel 2007, anno in cui trascina il Milan alla settima (e ultima) Champions della storia, è l’ultimo prima della dicotomia Messi-CR7. Che dal 2008 in poi lasciano ai colleghi solo le briciole, conquistando 11 delle ultime 12 edizioni. L’unico intruso, anno domini 2018, è Luka Modric, croato vice campione del mondo (e campione d’Europa con il Real), preferito a Griezmann e Mbappè.

2010, IL PALLONE D’ORO “RUBATO” A INIESTA

Per quanto nessuno possa oggettivamente obiettare della classe, del talento e della costanza di Cristiano Ronaldo e Messi, c’è almeno un’edizione, quella del 2010, finita in mani “sbagliate”: nell’anno del primo esperimento congiunto tra France Football e FIFA, da sempre in lotta tra loro e poi ricusato a partire dal 2016, la vittoria in condizioni “normali”, cioè evitando che a votare fossero capitani e CT di tutte le 200 e passa federazioni mondiali oltre alla giuria di giornalisti selezionata nel tempo, sarebbe andata ad Andres Iniesta. Tanto che Messi, all’annuncio di essere lui il vincitore, fece una smorfia di sorpresa, imbarazzato per quel premio non assegnato al compagno di squadra. Non farà lo stesso quest’anno, quando a rimanerci male sarà piuttosto Lewa, ma la sensazione è che il Pallone d’Oro sia più una questione di marketing che di reale merito nel merito dell’anno solare appare chiara a tutti.

(Credits: Getty Image)

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