TOTÒ SCHILLACI, L’INDIMENTICABILE EROE DELLE NOTTI MAGICHE

Submitted by marco.dimilia on Thu, 12/02/2021 - 09:23
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Redazione
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Una vita vissuta a rotta di collo, come le onde del mare di Sicilia che sin da piccolo ne hanno segnato le giornate. Ma soprattutto un mese vissuto a un metro da terra, quando anche il più piccolo della spedizione seppe elevarsi al rango di fuoriclasse e trascinatore, prima di tornare bruscamente a terra, con la vita pronta a presentare il conto di quei 30 giorni vissuti quasi in un’altra dimensione. La carriera di Salvatore “Totò” Schillaci, in fondo, è ben riassunta da quelle settimane di giugno e luglio del 1990,quando un intero popolo pendeva dalle sue labbra (anzi, dai suoi piedi) e milioni di italiani scesero in strada festanti, ammaliati e quasi incantati dalle ipnotiche palle degli occhi spalancate a più non posso, simbolo di un mondiale dove alla favola di Totò manco solo il lieto fine. Quel mese, però, in qualche modo gli ha cambiato l’esistenza. Non tanto quella calcistica, perché la luce si spense abbastanza presto, al punto da farlo tornare abbastanza in fretta nel mondo dei comuni mortali. Fuori però in una certa misura lo ha tirato fuori dai guai. Quelli che quali rischiò di cacciarsi da bambino, complice un’infanzia che come quella di molti suoi conterranei non deve essere stata per niente semplice.

Palermo non era un posto semplice nel quale vivere negli anni ’70 e ’80, forse ancor meno negli anni ’90

racconterà anni più tardi.

LE ORIGINI POVERE, IL CICLO IRRIPETIBILE DI MESSINA

Totò è figlio di una Palermo assai particolare, quella del quartiere San Giovanni Apostolo. È nato il 1° dicembre del 1964, in anticipo di due mesi rispetto ai nove canonici, tanto che nel freddo inverno siciliano i suoi nonni erano soliti tenerlo caldo con bottiglie d’acqua riempite da pentole poste sulla stufa. I suoi genitori abitavano in via Sfera 19, che Totò vide alla stregua di un segno del destino: la sfera era la palla, la sua migliore amica sul campo da gioco, e il 19 guarda un po’ il numero che avrebbe portato sulla schiena nel mondiale del 1990 (e non fu lui a scegliere: all’epoca i numeri venivano assegnati in base al ruolo e in ordine alfabetico). Col calcio fu amore a prima vista, svezzato nelle giovanili dell’AMAT Palermo, la squadra dell’Azienda Municipalizzata della città. L’altro Palermo, quello in maglia rosanero, l’avrebbe voluto portare in squadra all’inizio degli anni ’80, ma le due società non trovarono l’intesa economica e così le strade del pallone portarono Schillaci a Messina, dove in 7 stagioni a dir poco memorabili contribuì alla scalata dei peloritani dalla C2 alla Serie B. La fortuna di Totò fu quella di poter incontrare allenatori come Franco Scoglio e Zdenek Zeman, determinanti nella sua crescita come uomo, oltre che come attaccante. E il ricordo della povertà e delle difficoltà dei decenni precedenti alla sua esplosione calcistica svanì definitivamente nell’estate del 1989, quando dopo aver segnato 23 reti ed essersi laureato capocannoniere del torneo cadetto la Juventus decise di offrirgli l’occasione della vita, portandolo alla corte di Dino Zoff. Sembrava di essere nel mondo delle favole, ma il meglio doveva ancora venire.

LA FAVOLA AL MASSIMO SPLENDORE: LA JUVE E IL MONDIALE

A Torino, nonostante la nebbia, la scintilla scoccò in fretta. E la prima stagione di Schillaci fece piuttosto rumore: da debuttante assoluto firmò 21 gol totali tra campionato, Coppa Italia e Coppa UEFA, tanto che le due coppe finirono dritte nella bacheca juventina. Azeglio Vicini, CT della nazionale, non poté restare inerme a guardare: tenere fuori il secondo miglior marcatore italiano di quell’anno dietro al solo Roby Baggio non era pensabile e la sola presenza in amichevole contro la Svizzera fu sufficiente a garantirgli la convocazione. La panchina iniziale con l’Austria non sorprese nessuno, il suo ingresso a un quarto d’ora dalla fine si. Figurarsi il gol vittoria, su assist di Vialli. Con gli USA, altro ingresso nella ripresa, stavolta a giochi fatti (altro 1-0, a firma Giannini). Poi dalla gara con la Cecoslovacchia in poi Totò divenne titolare: altro gol per blindare il primo, un altro ancora per spianare la strada al 2-0 sull’Uruguay agli ottavi, e l’ennesimo per spingere l’Italia in semifinale, battuta l’Eire di misura. Contro l’Argentina, a Napoli, Schillaci firma il vantaggio azzurro, ma il destino ha in serbo una cocente delusione: dopo il pari di Caniggia la gara si protrae ai rigori e i sudamericani vincono per 5-4, con Totò che rinuncia a calciare per via di un problema muscolare. Un rigore, gentilmente lasciato da Baggio, lo calcerà nella finale per il terzo posto contro l’Inghilterra, buono per consegnargli il titolo di capocannoniere del torneo. Finirà secondo alle spalle di Lothar Matthaus nella classifica finale del Pallone d’Oro 1990.

Nemmeno un folle avrebbe mai potuto immaginare cosa stava per accadere. Ci sono periodi nella vita di un calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo. Vuol dire che qualcuno, da lassù, ha deciso che Totò Schillaci dovesse diventare l’eroe di Italia ’90. Peccato che poi si sia distratto durante la semifinale con l’Argentina. Una disdetta: abbiamo preso solo un gol in quell’edizione dei mondiali, e quel gol ci ha condannati.

L’INIZIO DELLA CRISI, L’EXPLOIT IN GIAPPONE

Spenti i riflettori di Italia ’90, nonostante non avesse ancora compiuto 26 anni, la parabola calcistica di Schillaci cominciò a declinare rapidamente verso il basso. Tanto rapida fu l’ascesa quanto repentina la discesa: problemi familiari, con la separazione dalla moglie Rita Bonaccorso, furono alla base di incomprensioni con società e compagni, oltre a togliergli quella serenità necessaria per mantenere gli standard di rendimento raggiunti nel magico 1990. Nel 1992 la Juventus lo cedette all’Inter, e a lui sembrò comunque di sognare, poiché sin da piccolo tifava per i colori nerazzurri. Ai problemi personali si sommarono gli infortuni che ben presto ne condizionarono il rendimento. Persa la nazionale con l’addio di Vicini (Sacchi non lo convocò mai), nell’estate del 1994 decise di sorprendere tutti accettando l’offerta dei giapponesi del Jubilo Iwata, primo italiano a militare nella J League. E nella terra del Sol Levante Totò ritrovò la voglia di giocare e di divertirsi, oltre all’affetto del pubblico locale (per il quale era sempre e comunque Schillaci, il bomber di Italia ’90) e ai gol grazie, determinanti anche per condurre la squadra alla conquista del titolo nel 1997. Un crepuscolo tutto sommato degno di una carriera interrotta a 34 anni dopo l’ennesimo problema fisico, con i giapponesi che gli tributarono tutti gli onori del caso nel giorno dell’addio.

IL RITORNO IN SICILIA E LA SUA NUOVA VISIONE DEL CALCIO

Chiuso col calcio giocato, Schillaci nel 2000 tornò in Sicilia e fondò il centro sportivo “Louis Ribolla”, dando l’opportunità a tanti ragazzi anche disagiati di fare calcio. Negli anni ha ammesso che la fama s’è rivelata spesso un peso difficile da sopportare, complice un carattere timido e riservato. Ha promosso iniziative di solidarietà (vedi il progetto Asante, squadra dilettantistica formata da atleti migranti) e si è sempre prodigato per aiutare chi ne avesse bisogno. Il calcio dei grandi non gli manca:

Se avessi fatto l’allenatore, avrei ripreso la solita vita. Alberghi, aeroporti, stadi. Ma preferisco vivere. Ora se vado a Parigi, la torre Eiffel la vedo dal vivo, non in cartolina o dall’aereo.

La spregiudicatezza e gli errori degli anni ’90, dentro e (soprattutto) fuori dal campo, oggi sono solo un lontano ricordo. Totò è ancora quello delle Notti Magiche, solo che la magia di cui necessita sta tutta nella semplicità della quotidianità. Basta dargli un pallone, e la felicità gli farà ancora spalancare gli occhi.

(Credits: Getty Image)


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