MONICA SELES, LA BAMBINA PRODIGIO E IL SUO GIORNO PIù BUIO

Submitted by Anonymous on Thu, 12/02/2021 - 22:16
Hero image
Autore
Redazione
news date
News di tipo evento?
No

Nel mondo dei “what if”, per i profani italiani del “se”, Monica Seles probabilmente avrebbe fatto strage di titoli ben più di quanto non sia riuscita a fare nei quattro anni in cui ha calcato i campi di tutto il mondo con la mente libera e rivolta solo a guardare cosa ci fosse oltre la rete. Nel mondo dei “what if” Monica Seles è una degnissima candidata al ruolo di migliore tennista di tutti i tempi, o quantomeno una di esse. Ma la vita non è fatta di “se”o di “ma”, piuttosto di fatti che a volte la sconvolgono e la indirizzano lungo i binari prima inesplorati. Così, parlando della giocatrice serba (che spegne 48 candeline), non si può fare a meno di ricordare che c’è un prima e un dopo Amburgo, un evento drammatico che ha sconvolto non solo il tennis, ma tutto il mondo dello sport. E che ha segnato in modo irreversibile la carriera di un’atleta che a soli 20 anni era lanciata come un fuso verso vette sin lì inesplorate da nessun’altra collega.

L’ADOLESCENTE CHE SFIDÒ IL MONDO

Quando viene alla luce a Novi Sad, la Jugoslavia è ancora una terra dove si può vivere con una relativa tranquillità. Tito non è propriamente il leader che ogni nazione desidererebbe avere, ma la famiglia Seles non se la passa poi così male. E soprattutto Monica con la racchetta dimostra di saperci fare: a 6 anni la impugna con regolarità ed entusiasmo, tanto che nel 1982 vince il suo primo torneo e finisce nel radar dell’ex giocatrice Jelena Gencic. Che intuendone le qualità decide di portarla negli USA a sfidare rivali di caratura superiore, convincendo poi la famiglia ad affidarla a quel genio dell’allenamento che risponde al nome di Nick Bollettieri, che in Florida già da qualche tempo dirigeva un’accademia ancora oggi considerata tra le migliori al mondo. I Seles tentennano, poi acconsentono e così facendo regalano al popolo dei Balcani la gemma più preziosa che la storia del tennis darà loro in sorte, almeno a livello femminile. Monica del resto ha fretta di emergere: esordisce nel circuito WTA nel 1988 e l’anno dopo stupirà il mondo conquistando il primo titolo (A Houston, e battendo in finale Chris Evert) e soprattutto arrivando a giocarsi una semifinale dello slam, battuta da Steffi Graf al Roland Garros all’età di 15 anni e mezzo. La rivalità con la tedesca, all’epoca numero uno incontrastata al mondo, sarà il sale degli anni ruggenti della Seles, ma anche il motivo della fine dei suoi sogni.

UN BIENNIO DI SPAVENTOSO DOMINIO

All’inizio degli anni ’90 è chiaro a tutti che quel prodigio jugoslavo avrebbe di lì a poco sconvolto il circuito femminile, imponendo un range elevatissimo per poterle stare al passo. Il 1990 è l’anno della prima consacrazione: trionfa a Parigi, diventando la più giovane vincitrice di uno slam (16 anni e mezzo), prendendosi la rivincita sulla Graf. Poi metterà in fila altri 8 titoli, l’ultimo dei quali, il Virginia Slims Championship, equivale alle attuali Finals di fine stagione. Sale alla numero due mondiale, ma nel 1991 ad attenderla c’è la vetta: grazie alla vittoria all’Australian Open, a marzo la Seles scalza la Graf dalla numero uno e diventa il nuovo riferimento del tennis mondiale. Il bis a Parigi e la vittoria agli US Open contro la Navratilova la ripagano della delusione della mancata partecipazione a Wimbledon, complice una fastidiosa periostite. A fine stagione sono 10 i trofei messi in bacheca e il 1992 si apre con la solita litania di vittorie: Australian Open, Roland Garros e US Open finiscono ancora a casa sua, e se li grand slam (cioè il filotto di tutti i quattro tornei maggiori vinti nello stesso anno) non arriva è solo perché sull’erba londinese la Graf si toglie lo sfizio di negargli la prima (e unica) chance di conquistare Wimbledon. Un piccolo neo in un’annata magica, chiusa trionfalmente col terzo successo al Virginia Slims Championship e la numero uno nel ranking semplicemente inattaccabile per chiunque. L’ennesimo trionfo agli Australian Open  consegna agli annali numeri stratosferici: dal gennaio 1991 al febbraio 1993, su 34 tornei disputati, la Seles arrivò 33 volte in finale vincendone 22, con una percentuale di successi superiore al 92% (negli slam, 55 vittorie su 56 gare, ko. solo nella finale di Wimbledon). Numeri che a qualcuno scatenarono una reazione fatta di invidia, rabbia e gelosia.

L’AGGRESSIONE DI AMBURGO, IL GIORNO PIÙ BUIO

Quel qualcuno, il 30 aprile 1993, si presentò sugli spalti durante il quarto di finale tra la slava e la bulgara Maleeva. Approfittando di un cambio campo, e superando un inesistente apparato di sicurezza, si avvicinò alla Seles e la accoltellò alla schiena, tra lo stupore e l’incredulità dei presenti. Gunter Parche, l’aggressore, era un fan sfegatato della Graf, e con quel gesto sperava di poter riconsegnare alla sua beniamina il vertice del ranking mondiale. Monica si salvò perché la lama del coltello si conficcò per soli due centimetri, senza ledere alcun organo vitale, ma rimase sconvolta dall’accaduto, tanto da sparire dai campi da gioco per due anni. La luce nella sua mente si spense e il ricordo della giocatrice che dominava le avversarie, mentalmente oltre che fisicamente, restò fatalmente sul campo di Amburgo. Quando tornò a giocare, nel 1995, si mostrò comunque ancora competitiva vincendo un torneo in Canada e raggiungendo la finale agli US Open, persa contro la Graf (tornata intanto numero uno al mondo: il suo fan aveva raggiunto l’intento…), peraltro complice un’errata chiamata del giudice di linea su un servizio in realtà vincente della Seles nel tiebreak del primo set, poi vinto dalla tedesca (e il punto fu decisivo, perché la Graf la spuntò al terzo). Il nono e ultimo slam della carriera sarebbe arrivato a inizio 1996, sempre nell’amata terra d’Australia, ma da quel momento in poi Monica cominciò a combattere un’altra battaglia contro la depressione e la bulimia, che intaccò il suo fisico da perfetta combattente. Perse altre due finali dello slam e pur rimanendo in zona top ten non ebbe mai la possibilità di tornare quella dei primi anni ’90, ammettendo a se stessa quanto l’aggressione l’avesse cambiata. Chiuse la carriera nel 2003, non prima di aver aggiunto alla sua collezione una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Sydney. Aveva appena 30 anni, ma il tennis le aveva dato (e tolto) quasi tutto.

“HO RIPRESO IL CONTROLLO”

Non sorprende che la rinascita come donna, ancor prima che come atleta, avvenne proprio una volta smessi i panni della giocatrice. Quando nel 2009 diede alle stampe

Ho ripreso il controllo

cioè la sua autobiografia, il mondo comprese bene cosa passò nella testa di Monica a partire dal 1993.

Per decenni ho vissuto una vita monodimensionale, anche un po’ malsana. Non potevo essere amica delle mie avversarie, che non a caso dopo l’aggressione non si mostrarono compassionevoli con me, salvo rare eccezioni. Quando tornai, il tennis era cambiato: la bellezza aveva invaso il campo, dovevi essere vincente ed esteticamente impeccabile. Non ressi la pressione, e la morte di mio padre acuì le ferite. I giornalisti mi chiedevano solo quando mi sarei ritirata e quando avrei deciso di perdere peso. Chiusa l’attività, ho ritrovato me stessa e ho riabbracciato la vita.

Oggi la Seles è una stimata opinionista, nonché una delle leggende del tennis mondiale. E quel “what if” non la tormenta più di tanto: sa bene che avrebbe continuato a vincere titoli su titoli, ma la rende più felice sapere di aver ripreso in mano la propria quotidianità. In fondo è quella la vittoria più bella per ogni essere umano.

(Credits: Getty Image)

Template News
Post
Fonte della news
SN4P
Sport di Riferimento
Tennis