NELLA CRISI DELLA ROMA: NEPPURE LO SPECIAL ONE HA LA BACCHETTA MAGICA

Submitted by Anonymous on Mon, 12/06/2021 - 16:53
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Redazione
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Il top player in panchina, da solo non basta. Nel calcio moderno è una legge quasi implacabile: senza una rosa all’altezza, nemmeno il più bravo degli allenatori può realmente ambire a estrarre conigli dal cilindro come se piovesse. A Roma qualcuno s’era illuso troppo presto che Josè Mourinho avrebbe potuto riportare la formazione giallorossa a competere con il gotha del calcio italiano. Ed essenzialmente il motivo principale è dovuto proprio all’impossibilità di avere tra le mano una rosa all’altezza delle aspettative che il suo arrivo nella Capitale ha generato. Perché Mourinho, benché qualche colpo l’abbia sbagliato nel recente passato (vedi col Tottenham), resta sempre lo Special One delle due Champions alzate al cielo (con Porto e Inter) e dei trionfi dentro i confini nazionali con il Chelsea e il Manchester United. E tutto sommato i 25 punti raccolti nelle prime 16 giornate possono essere considerati in linea con quello che è il potenziale di un organico che ha perso a fine agosto la sua principale bocca da fuoco (leggi Dzeko) pur se il portoghese non se ne sarebbe mai voluto privare, rimpiazzato dal discontinuo Abraham e in generale da un manipolo di giovani che non possono offrire troppe garanzie sul piano del rendimento.

HARAKIRI MERCATO: PERCHÉ REGALARE DZEKO ALL’INTER?

Proprio il mercato estivo ha rappresentato un primo tallone d’Achille nell’annata romanista. Perché svendere Dzeko a zero all’Inter (che ringrazia) ha rappresentato un errore imperdonabile, peraltro sottolineato dall’accoglienza ricevuta dal bosniaco da parte dei sostenitori giallorossi. E detto di Tammy Abraham, che sarà pure un attaccante di prospettiva e come tale avvezzo a qualche pausa lungo il percorso, Mayoral e Shomurodov hanno decisamente reso meno rispetto a quanto auspicato. In tre gli avanti della Roma hanno messo assieme appena 5 reti, ben 3 meno di quante ne ha realizzate Dzeko nel medesimo periodo all’Inter. Non che negli altri reparti le cose siano andate meglio: gli infortuni di Zaniolo, Pellegrini e soprattutto Karsdorp hanno spesso e volentieri privato Mou di pedine troppo importanti all’interno del proprio scacchiere, con la difesa che ne ha risentito pesantemente, specie lamentando l’assenza di un terzino destro di ruolo dopo aver lasciato andare anche Florenzi (Ibanez, adattato nella posizione di laterale, si sta adoperando ma non sempre con profitto). Strategie che non hanno convinto e che hanno messo sul banco degli imputati anche il diesse Tiago Pinto, che ha investito male gli oltre 80 milioni spesi sul mercato. Gennaio non è lontano, ma prima la Roma deve stringere i denti da qui a Natale per non perdere terreno in campionato (il quarto posto è distante 9 punti) e non uscire dalla Conference League, con la trasferta di Sofia decisiva per poter almeno blindare il secondo posto, buono per andarsi a giocare il passaggio del turno con le terze classificate dei gironi di Europa League.

MOU È FORSE RIMASTO AL 2010?...

Tra le colpe di Mourinho, di sicuro c’è quella legata al modulo e più in generale all’atteggiamento tattico. Aver abbandonato in fretta il 4-2-3-1 per passare a un 3-5-2 molto più abbottonato è stato il segnale che qualcosa non andava nella direzione sperata. Ma anche con un atteggiamento più difensivista, le cose non è che siano migliorate tanto. Sorprende più di tutti in negativo un dato: la Roma effettua in media il 34% di possesso palla, pochissimo se confrontato con quello delle formazioni che stazionano nella parte medio alta della classifica. Non mancano poi grane interne, con tanti big (o presunti tali) incapaci di rendere per quelle che sono le loro reali potenzialità (vedi Zaniolo, che da promessa si sta trasformando in un incompiuto) al punto da pescare giovani come Felix, decisivo a Genova in una delle rare serate felici dell’ultimo scorcio di stagione. E a non convincere è anche la comunicazione: i silenzi stampa, le parole al vetriolo verso i direttori di gara e pure qualche frase sopra le righe rivolte ai propri giocatori (ultimo in ordine di tempo proprio Zaniolo) sembrano ormai cliché fuori moda che non riescono più ad attecchire come un tempo. Come se Mou fosse rimasto fermo a 10 anni fa, quando tra un gesto delle manette e una battuta in conferenza stampa oscurava tutto quel che gli passava accanto. Oggi, semplicemente, il suo personaggio ha perso appeal e presa sul pubblico.

L’ANALISI SENZA FRONZOLI DI TOTTI

Quel pubblico che sin qui s’è mostrato freddo, dopo un generale e motivato entusiasmo sfociato anche nella famosa immagine del tecnico in sella a una vespa con addosso la sciarpa giallorossa e l’inconfondibile hastagh “daje”. La vera ovazione nella gara con l’Inter il popolo giallorosso l’ha tributa a Francesco Totti, tornato per la prima volta all’Olimpico dal giugno 2019, nei giorni del burrascoso divorzio dalla società all’epoca ancora in mano a Pallotta. A Roma di questi tempi si vive di ricordi: Totti è il capitano, il simbolo, la leggenda, l’uomo che arrivò a sfidare anche Mourinho nell’anno dell’Inter del Triplete, quel Mourinho che oggi il numero 10 almeno in parte assolve, proprio perché consapevole che il materiale a disposizione non è all’altezza della fama che lo ha preceduto.

La Roma è stata casa mia per 30 anni, ho vissuto più lì che nella mia. Ringrazio i tifosi per il sostegno che m danno ogni giorno, questi colori sono sempre un'emozione. Non voglio disprezzare la rosa attuale, è importante ma non ci sono campioni. Ha giocatori che possono far bene in un contesto di squadra. Per vincere servono giocatori importanti, un allenatore importante e una società sempre presente. E anche se questa Roma ha giocatori che giocano in nazionale, di sicuro non ha campioni, e questa è una chiara realtà.

Parole semplici e dirette: non si nasce capitani per caso.

(Credits: Getty Image)

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