RICHARD KRAJICEK, L’OLANDESE CHE FECE PIANGERE SAMPRAS

Submitted by Anonymous on Mon, 12/06/2021 - 18:09
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Redazione
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Prendi l’albo d’oro di Wimbledon e trovi un intruso nel mare magnum di un dominio a stelle e strisce, il decennio (forse) più florido della storia della racchetta americana. Lo riconosci facile, perché nel tempio dell’eleganza e delle dive all white nel 1996 si assiste a una ventata di arancione, il colore dei tulipani, quello che sempre contraddistingue gli atleti dei Paesi Bassi. Che poi Richard Krajicek, in barba al nome del paese d’origine, è tutto, fuorché basso: per una manciata di centimetri appena arrivare solo a sfiorare i due metri, requisito però che gli consente comunque di far valere la sua capacità di spingere forte al servizio, tanto da diventare uno degli atleti col maggior numero di aces mandati a referto in carriera. Magari nel tennis moderno sarebbe un po’ più omologato alla massa, ma negli anni ’90 avere una prima di servizio forte e potente era un vantaggio non da poco. Un vantaggio che Richard sfruttò meravigliosamente nella magica (per lui) estate 1996, quando mise piede all’All England Lawn tennis and Croquet Club, il circolo più esclusivo al mondo, sbaragliando una concorrenza che pareva impossibile da abbattere, e scrivendo una delle favole più belle e inattese che la storia della racchetta abbia mai raccontato.

LE DUE SETTIMANE PERFETTE

Impossibile non ripartire da quella cavalcata sull’erba londinese, impreziosita dal successo nei quarti di finale su Pete Sampras, uno capace di iscrivere il proprio nome ben 7 volte nell’albo d’oro del torneo. E che tra il 1993 e il 2000 perse un solo incontro dei 50 giocati, guarda a caso proprio contro Krajicek. Che a Wimbledon non aveva mai fatto troppa strada, eliminato spesso al primo turno o, nella migliore delle ipotesi, in grado di arrivare e poi sparire subito all’inizio della seconda settimana. E nell’edizione 1996 in pochi pronosticavano per lui un cammino tanto differente, se è vero che da più di un anno non metteva un trofeo in bacheca, oltre a racimolare qualche piazzamento ondivago sui campi di mezzo mondo. Di quell’anno di Richard si ricordava solo una finale sulla terra di Roma, persa contro lo specialista austriaco Thomas Muster. E proprio l’infortunio di quest’ultimo consentì all’olandese di entrare nel tabellone principale come 16esima e ultima testa di serie del torneo. Un sorteggio favorevole lo fece entrare in una parte di tabellone non troppo competitiva, tanto che dopo una comoda vittoria sullo spagnolo Sanchez e un’altrettanta comoda affermazione contro l’americano Rostagno, al terzo turno l’incrocio con l’australiano Steven gli creò i primi grattacapi, superati di slancio con la vittoria arrivata in progressione nel quarto set. L’esame col tedesco Michael Stick appariva ben più tosto, superato però in tre set con fin troppa facilità.

L’IMPRESA E QUEL FUORI PROGRAMMA DECISAMENTE PICCANTE

Ad attenderlo, nei quarti, c’era proprio Sampras. Altro specialista del servizio (non a caso soprannominato “Pistol Pete”), da tre anni era imbattuto sul sacro suolo di Wimbledon. Ma quel giorno, in un match condizionato anche dalle interruzioni e dalla piggia, prese tre schiaffoni da uno dei pochissimi avversari in grado di arrivare a fine carriera con uno score positivo nei suoi confronti (6 vittorie di Krajicek, 4 dell’americano). In un’edizione dalle mille sorprese, con due sole teste di serie in semifinale e per giunta pure alte nel seeding (Todd Martin alla 13 e appunto Krajicek alla 16), il penultimo atto non rappresentò alcun problema per l’olandese, sbarazzatosi in tre set dell’australiano Stoltenberg. Mancava solo l’ultimo atto, e ancora una volta al cospetto di una sorpresa che più sorpresa non avrebbe potuto essere: MaliVai Washington confermava la tradizione americana di avere almeno un finalista sull’erba, ma non seppe reggere il confronto contro un avversario più esperto e in stato di grazia, capace di imporsi comodamente in tre set. Di quella partita resta semmai nella memoria una scena accaduta prima del via: durante la cerimonia del sorteggio per il campo, una bella e avvenente ragazza, completamente nuda, salta il cordone di sicurezza e corre all’impazzata, sfilando davanti ai due giocatori, decisamente divertiti e per nulla dispiaciuti della cosa.

UN’ONESTA CARRIERA DENTRO E FUORI DAL CAMPO

Per Krajicek, oggi novello cinquantenne, il trionfo di Wimbledon è l’apice di una carriera che lo porterà al best ranking nel 1999 (#4), ma senza più acuti ad altissimi livelli, tolta una semifinale sempre sull’erba londinese nel 1998 (persa al quinto dopo una maratona di 5 ore contro Ivanisevic) e un quarto di finale arpionato nel 2002. Problemi ai tendini delle ginocchia ne condizionano il rendimento (nel 1994 resta ai box tutta la stagione) pur se a fine carriera in bacheca arriverà a mettere 17 titoli, tra cui due Masters 1000 (Stoccarda 1998 e Miami 1999, l’ultimo acuto), con altre 9 finali raggiunte. A 32 anni deciderà di dire stop, passando dal campo al ruolo di direttore tecnico della federazione olandese. Sposato con l’attrice, modella e scrittrice Daphne Deckers, fece notizia all’inizio degli anni ’90 per una relazione con Lory Del Santo. Ancora oggi ama viaggiare nel circuito (è organizzatore dell’ATP 500 di Rotterdam) e a 25 anni di distanza viene ricordato per quell’unico grande trionfo, di quelli però che ti segnano per sempre. Un’estate magica con la quale colorò di arancione l’erba più verde del circuito.

(Credits: Getty Image)

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