NBA CHRISTMAS DAY 1985: IL MIRACOLO DI NATALE FIRMATO KNICKS

Submitted by Anonymous on Sun, 12/19/2021 - 17:38
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Redazione
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Dal 1947, accanto ai tortellini in brodo, al cappone e alla parmigiana, sulle tavole degli americani e degli appassionati di basket di mezzo mondo c’è anche e soprattutto una bella sfilza di gare NBA. Una tradizione che resiste dagli albori della competizione, resa spesso celebre da partite che hanno fatto per davvero la storia di questo gioco. Gare che, seppur non hanno una valenza particolare relativamente a scenari di classifica (la distanza dia play-off è oggettivamente troppo ampia), rivestono comunque un’importanza capitale, anche solo per la vetrina e la risonanza mediatica di cui godono. Ecco perché nessuno se le vuole perdere, ed ecco perché di solito l’NBA programma per il giorno di Natale sempre partite che valgono tutte abbondantemente il prezzo del biglietto. Spesso, addirittura, sono remake di partite che l’anno prima hanno deciso le sorti della lega, essendo state finali di Conference o direttamente per il titolo. Altre volte si va sul sicuro, mettendo di fronte i migliori giocatori del momento con le relative squadre. E se quest’anno sarà il Covid il vero protagonista, destinato a mutilare più di un roster (oggi come oggi i Nets, attesi dai Lakers fra 6 giorni, hanno 9 elementi nel “protocollo” e dunque a rischio trasferta), uno sguardo al passato per ritrovare le partite più iconiche è sempre un esercizio benvenuto.

LA RIVELAZIONE AL MONDO DI PATRICK EWING

Ce n’è soprattutto una che ancora oggi, benché siano trascorsi 36 anni, stimola la fantasia degli appassionati come poche. Una gara che all’epoca appariva alla stregua di una formalità per i Boston Celtics, autentici dominatori dell’Est e lanciati verso l’ennesima battaglia con i Lakers dello Showtime, che nel giugno del 1986 li avrebbe visti prevalere dopo la delusione dell’anno precedente. Sulla tavola di Natale per Larry Bird e compagni c’era una pietanza da divorare in un sol boccone: i New York Knicks dell’epoca erano tutto, fuorché irresistibili, ma almeno potevano dire di aver messo a roster un ragazzo che in qualche modo avrebbe tentato nel decennio successivo di tirarli fuori dai bassifondi della lega. Patrick Ewing era quanto di meglio l’NCAA aveva prodotto nella prima metà degli anni ’80: fisico asciutto ma al tempo stesso imponente, altezza da centro puro, mani da prestigiatore. Uno che alla palla dava del tu e che aspettava solo un battesimo di fuoco per dimostrare al mondo di cosa fosse capace. E se il giorno di Natale è per eccellenza quello in cui si realizzano i propri desideri, ecco che al buon Pat parve una buona idea lavorare per vederli esauditi. Anche se contro i Celtics dell’epoca bisognava volare molto in là con la fantasia per sperare di far avversari i sogni: batterli al Madison Square Garden era davvero molto più di un’utopia. E figuratevi quando, a metà partita, il tabellone segnava -25.

McHALE, IL NATALE (QUASI) “RUBATO” E LA SERATA IN UFFICIO

Qualcuno giura che in tanti lasciarono il palazzo dello sport newyorchese, perché abbastanza frustati nel vedere quei dirimpettai in maglia verde stritolare i beniamini di casa. D’accordo che il pronostico era tutto per Boston, ma perdere in quella maniera era troppo anche per chi era arrivato al MSG senza troppe aspettative. Chiuso in vantaggio di 14 punti il primo tempo (46-32), i Celtics diedero un ulteriore strattone a inizio terzo quarto, scappando sul 58-33 quando sul cronometro restavano da giocare poco più di 6’ (e i restanti 12 del quarto quarto). Tutto sembrava andare nella direzione che KC Jones aveva sperato: nonostante la trasferta natalizia, detestata dai giocatori (Kevin McHale, contravvenendo al diktat dell’NBA di arrivare a NY la sera della vigilia, partì da solo da Boston a metà mattinata del 25 pur di non lasciare soli i suoi figli mentre scartavano i regali: con 29 punti sarebbe stato il top scorer di squadra), nulla lasciava presagire quello che poi si sarebbe verificato. Perché sopra di 25, ai Celtics di colpo si spense la luce. E coach Hubie Brown trovò il modo per accendere l’interruttore dei suoi:

Facciamo che per i prossimi due minuti impediamo loro di segnare, e poi vediamo come va

disse nel timeout chiamato sul -25. Accadde che i Knicks un paio di minuti dopo erano tornati a -13, riaccendendo le speranze di chi non aveva voluto lasciare vuoto il suo seggiolino al MSG. Beati loro, dirà qualcuno: non sapevano che stavano per avere un posto privilegiato per assistere a un autentico miracolo.

LA RIMONTA CHE NESSUNO POTEVA IMMAGINARE

 Babbo Natale è arrivato, e s’è portato dietro una borsa piena di regali.

Le parole pronunciate a fine partita da Gerald Wilkins, guardia di NY, rendono bene l’idea di quel che sarebbe accaduto sul parquet a partire dalla prima rimessa del quarto quarto. Boston aveva alzato il piede dall’acceleratore e non riusciva più a ritrovare slancio. I Knicks al contrario avevano trovato l’interruttore del turbo: trascinati da Ewing, prossimo a centrare il suo career high stagionale con 32 punti (di cui 18 in appena 9’ nel quarto quarto), senza indugiare oltre arrivarono in fretta a ridurre il gap e a trovare il canestro dell’86 pari con i liberi di Rory Sparrow a 34 secondi dalla sirena. Nel tripudio del Madison Square Garden, i Celtics dovettero ritrovare calma e concentrazione per rivincere una partita che stava loro sfuggendo di mano. Ma proprio l’uscita dal campo di Ewing, frenato da un problema al ginocchio, parve ridare a Boston la chance per andarsi a prendere la vittoria. Soprattutto Robert Parish, che quella sera tanto aveva faticato contro il rookie proveniente da Georgetown, pensò che il più ormai era fatto. E invece i Knicks non lasciarono scappare quelli col trifoglio, forzando la partita al secondo supplementare. Quando percentuali bassissime condannarono gli ospiti a una clamorosa sconfitta: con McHale, Bird e Parish incapaci di vedere la retina (addirittura Bird fece appena due punti in entrambi i supplementari) e con Ewing tornato in campo a furor di popolo, New York riuscì a prendere il largo, prendendosi una vittoria di cui ancora oggi parlano intere generazioni di tifosi newyorchesi.

PERCHÈ I CELTICS IMPARARONO LA LEZIONE

 Non ho alcun ricordo di quella partita.

Danny Ainge, che anni dopo diventerà general manager dei Celtics (all’epoca era giocatore), di quel giorno di Natale del 1985 non ha mai voluto più parlare. E così McHale e Bird, che col solito slang dell’Indiana sentenziò dicendo

that fuc***g Christmas

che non necessita di ulteriori traduzioni. In qualche modo quella sconfitta rappresentò un punto di svolta nell’annata di Boston, che attraversava in quel periodo un momento di flessione, superato poi grazie a uno score successivo in regular season fatto di 46 vittorie e appena 8 sconfitte (e tutte in trasferta). Come detto, la stagione avrebbe riservato loro l’anello nella rivincita contro i Los Angeles Lakers, oltre a un’investitura per la squadra 1985-86, annoverata tra le migliori di sempre. Ma quel giorno Alan Cohen, all’epoca proprietario della franchigia, andò su tutte le furie. A New York invece il Natale fu dolce come da tempo non lo si ricordava: quell’annata per i Knicks non riservò altre gioie, chiusa all’11esimo posto e senza nemmeno fiutare l’ingresso nei play-off. Ma la storia del miracolo di Natale al Madison Square Garden è ancora oggi una delle preferite dei suoi sostenitori. E servì a rivelare al mondo quel fenomeno di Ewing, che pure dovrà accontentarsi solo di giornate come quella, visto che la storia non gli ha permesso di sedersi al tavolo di chi indossa l’anello.

(Credits: Getty Image)

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