POZZO, BEARZOT E QUELL’ADDIO CHE UNISCE I DUE CAMPIONI

Submitted by Anonymous on Wed, 12/22/2021 - 08:37
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Redazione
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Vittorio Pozzo ed Enzo Bearzot hanno almeno tre cose in comune: la più bella è nota a tutti, sono stati entrambi campioni del mondo da c.t. della Nazionale italiana di calcio; prima ancora, però, da giocatori, hanno indossato entrambi la maglia del Torino, che per Pozzo era anche la città natale; il destino ha voluto che due simboli della storia del nostro sport se ne andassero nello stesso giorno, il 21 dicembre, a distanza di 42 anni l’uno dall’altro, rispettivamente nel 1968 e nel 2010. Oggi, 21 dicembre 2021, è giusto omaggiarli insieme, come ci piace immaginarli per l’eternità.

POZZO CINQUE VOLTE CAMPIONE: SIMBOLO DEL RIGORE E DELL’ETICA

Vittorio Pozzo è stato il c.t. più vincente della storia: chiamato a guidare la Nazionale prima nel 1912 per un paio di partite e poi nel 1924 per le Olimpiadi di Parigi, il suo vero grande ciclo cominciò nel 1929 e durò fino al 1948. Era l’Italia di Mussolini e Pozzo era stato un tenente degli Alpini nella prima guerra mondiale: la discplina e il rigore venivano prima di ogni altra cosa, ma aveva anche un’etica che oggi non esiste più. Pozzo trionfò subito, nella Coppa Internazionale del 1930, antesignana degli Europei, poi al Mondiale del 1934 e a quello del 1938 e tra i due titoli iridati portò a casa un’altra Coppa Internazionale e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino, nella Germania di Hitler. Una “manita”, si direbbe oggi, una cinquina, avrebbe detto lui, sensazionale. Il tutto senza essere retribuito, perché questa fu la condizione che pose. Si guadagnava da vivere facendo (anche) il giornalista, lasciò il primo incarico da c.t. perché doveva stare vicino alla moglie malata, che di lì a poco sarebbe morta. Era un uomo del proprio tempo, che si è esaltato nel proprio tempo.

BEARZOT IL “VECIO” CON LA PIPA: UN TRIONFO STORICO NELL’82

Quando Enzo Bearzot cominciò a giocare in Serie A, all’Inter, nel 1948, Pozzo avrebbe di lì a poco lasciato la Nazionale, appena un anno dopo. Quando assunse il primo incarico da capo allenatore, al Prato, dopo l’esperienza da vice nel “suo” Torino, era il 1968 e Pozzo sarebbe morto dopo qualche mese. L’epopea di Bearzot non l’ha vista, mentre il Bearzot bambino riuscì ad esultare per i trionfi dell’Italia di Pozzo e magari si appassionò al calcio anche per questo. Dal 1938 al 1982 passano 44 anni, sono quelli che abbiamo dovuto aspettare per tornare sul tetto del mondo: ci portà un uomo schivo, che fumava la pipa e chiamavano il “Vecio”, un po’ nonno, un po’ papà per tutti, capace di far rispettare le regole, come ricorda l’attuale c.t., Mancini, cacciato dalla Nazionale perché osò scappare dal ritiro per andare in discoteca, a New York. E il giornalista, quello proprio no, non l’ha mai fatto, anzi, ha “inventato”, per così dire, il silenzio stampa, che al Mondiale dell’82 portò bene all’Italia.

POZZO, BEARZOT, LA FIDUCIA IN SE STESSI E IL 21 DICEMBRE

Gino Palumbo, storico direttore della Gazzetta dello Sport, scrisse un editoriale commovente all’indomani del trionfo mondiale dell’82, dove confrontò i due condottieri, Vittorio Pozzo ed Enzo Bearzot. Due uomini completamente diversi, figli ciascuni della propria epoca, e capaci di “ostinata fiducia nei propri ragazzi”. Pozzo, circondato dallo scetticismo, convocava anche giocatori esclusi nelle rispettive squadra di appartenenza, Bearzot diede fiducia a Paolo Rossi, che rientrò dalla squalifica appena due mesi prima del Mondiale. Ma soprattutto, come Pozzo, diede fiducia alle proprie idee e lo portò avanti., dal 1978, quando in Argentina formò un gruppo meraviglioso capace di giocare un calcio altrettanto meraviglioso, per i successivi quattro anni, passando anche per la delusione dell’Europeo dell’80, giocato e perso in casa. Una lezione che vale in ogni tempo e che oggi, 21 dicembre, vale la pena ricordare. Perché quei due guerrieri se ne sono andati, ma il loro esempio resta.

(Credits: Getty Image)

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