GENNARO GATTUSO DETTO RINGHIO: UNO CHE NON HA MAI CERCATO SCORCIATOIE

Submitted by Anonymous on Sun, 01/09/2022 - 16:58
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Redazione
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Può un allenatore pagare il suo essere “troppo” sincero, al punto da vedersi estromesso dal giro che conta? Se avete subito pensato a Gennaro Ivan Gattuso, probabilmente avete pensato la stessa cosa di chi si sta interrogando su cosa abbia potuto impedire a Rino di non essere al via della stagione corrente di Serie A. Qualcuno dirà che è stata la sua volontà a non piegarsi di fronte a nulla a farlo desistere dal tentativo di proseguire il rapporto con la Fiorentina: le incomprensioni con Rocco Commisso e la dirigenza, venute a galla a tempo di record e per questioni legate al mercato, l’hanno convinto a desistere e salutare la compagnia. E il mancato matrimonio col Tottenham è figlio anche di un modo di vivere e intendere la vita che non ammette deroghe, dove dire ciò che ci pensa non è un tabù, perché indossare maschere non rientra nelle sue priorità. E questa è forse l’ultima ed estrema dimostrazione di ciò che significhi essere un uomo tutto d’un pezzo, qualità che Gattuso ha saputo mettere in mostra durante quasi un trentennio di calcio giocato, vissuto e allenato. A qualcuno può piacere, ad altri meno, ma su una cosa nessuno può obiettare: Rino è uno che non cerca scorciatoie, che dice sempre le cose come stanno. Anche se a volte doverlo fare gli si ritorce contro, con un dazio salatissimo da salare.

FIGLIO DELLA CALABRIA, GRANDE IN SCOZIA

Rino però è anche e soprattutto il giocatore della porta accanto. Quello che ogni centrocampista vorrebbe al proprio fianco, perché saprebbe che ci sarebbe un altro a correre anche al posto suo. Perché di leader veri e carismatici non se vedono poi tanti in giro: meglio averlo dalla propria parte che non da avversario. Gattuso in fondo è figlio della sua terra (la Calabria), delle sue radici (una famiglia che lo ha tirato su a pane e lavoro), della sua integrità morale, oltre che fisica (si ricorda solo un grave infortunio in carriera: la rottura del crociato nel 2008, ma dopo averci giocato sopra 87’…) e del suo modo di parlare chiaro, senza fronzoli.

Ho le mie idee e le porto avanti, e se sbaglio sono il primo ad ammetterlo.

Gattuso è quello che non ha avuto paura quando a 18 anni c’è stato da prendere il primo aereo e imbarcarsi verso la fredda Scozia: per farlo, dato che Gaucci non lo voleva cedere (e Ringhio giocava nel Perugia), scappò dalla finestra.

Se non lo avessi fatto, mio padre mi avrebbe ammazzato

racconterà anni dopo.

Ai Rangers mi davano tanti soldi, quanti mai a casa mia ne avevano visti in tutta la loro vita.

E a Glasgow incontra Monica, la donna che gli cambierà la vita e che sceglierà come compagna. Incontra invero anche Gascoigne, che dopo il primo allenamento defeca nei suoi boxer, costringendolo a tornare a casa senza mutande.

Era un pazzo scatenato, ma quello era il suo messaggio di benvenuto.

Resta un anno e mezzo, dove diventa l’idolo di Ibrox. Ma Advocaat non ne esalta la qualità in mezzo al campo e lui decide di tornarsene in Italia. Dove? Alla Salernitana. Che nel 1998-99 fa un signor campionato, retrocedendo all’ultima giornata. Ma tanto Rino sapeva che non sarebbe rimasto a lungo.

L’EPOEPA MILANISTA, DOVE CORREVA PER TUTTI

Il Milan, fabbrica di piedi buoni, aveva già deciso di portarlo alla sua corte. Serviva qualcuno che cantasse e portasse la croce e Gattuso era il profilo ideale. I primi anni sono di ambientamento, poi quando arriva Ancelotti l’orizzonte cambia. Ha la bacchetta magica, Carlo, e il numero 8 è tra i primi a beneficiarne: nel 4-3-1-2 deve correre per se, per l’amicone Pirlo e per Seedorf, ma la cosa non gli dispiace. Arrivano i primi trionfi, tutti in serie: Champions, Coppa Italia e scudetto, un filotto straordinario, preludio ad altri successi. L’annata magica è quella 2006-07: il Milan in Italia è fuori gioco, perché ha una penalizzazione da scontare di 8 punti, e in Europa deve ripartire dai preliminari. Gattuso si presenta a Milanello quasi senza aver fatto vacanze, perché da pochi giorni s’è preso il mondo, inteso come il titolo di campione del mondo con la nazionale, nella quale ha corso (al solito) per tutti, o quasi. La rabbia che lo pervade è una molla che non conosce avversario: il Milan arriva riprendersi l’Europa, battendo il Liverpool nella rivincita di Atene. E poi si prende pure il Mondiale per Club, vendicando l’altro ko. del 2003 contro il Boca. Il ciclo d’oro dei rossoneri sta per chiudersi e Rino è a un passo dal Bayern: trattativa avviata, praticamente conclusa, e addio strappalacrime in vista. Galliani e Ancelotti però gli toccano le corde giuste per farlo desistere dall’intento: lo rinchiudono nella stanza dei trofei e gli dicono che non può andarsene. Lui per la prima volta in vita sua fa un passo indietro: sorry Bayern, la mia casa e il mio cuore sono qui.

Ho fatto una figuraccia, e me ne vergogno ancora.

Al Milan vincerà un altro scudetto (da capitano), anche se i tempi della gloria vera non torneranno più. Saluterà tutti nel 2012, con qualche acciacco (e un problema a un occhio, con una fastidiosa miastenia oculare) e la consapevolezza di aver dato tutto. Al Sion chiuderà una carriera fatta da 586 gare e 17 gol, più 73 presenze e una rete (bellissima, in amichevole contro l’Inghilterra) con la nazionale.

I DOLORI DEL RINGHIO ALLENATORE

Da allenatore la strada per lui sarà un po’ più impervia. Benché in campo fosse un centrocampista con compiti difensivi, il suo 4-3-3, marchio di fabbrica, è decisamente offensivo. Sion, Palermo e OFI Creta (dove manda agli archivi una conferenza stampa indimenticabile, in perfetto stile Ringhio) sono banchi di prova utili per comprendere le difficoltà che si celano dietro il nuovo ruolo. Al Pisa, in C, vince subito un campionato (iconica la finale contro il Foggia di De Zerbi) ma l’anno dopo non evita la retrocessione dalla B, pur restando al timone fino all’ultimo. Nell’estate del 2017 accetta la proposta del Milan di allenare la Primavera, ma a dicembre la società, passata da Berlusconi ai cinesi, lo chiama al posto di Montella a prendere in mano la prima squadra. La squadra è quella che è, nonostante l’ingente campagna acquisti estiva: arriva in finale di Coppa Italia, persa malamente con la Juventus, e chiude al sesto posto. Gattuso viene confermato e l’anno dopo dimostra di poter fare ancora meglio, nonostante Higuain lo tradisca (sul campo). L’arrivo di Piatek rianima i rossoneri, che pure perdono la possibilità di tornare in Champions per un punto, chiudendo al quinto posto. Il feeling con la proprietà è ormai andato, nonostante l’arrivo di Maldini nell’area tecnica. A fine stagione arriva l’addio consensuale, e pochi mesi dopo lo chiama De Laurentiis al Napoli per sostituire il suo maestro Ancelotti. Nonostante la pandemia e una squadra non all’altezza di Inter e Juventus, Rino si prende una Coppa Italia, ma ancora una volta alla lunga sente che il feeling non c’è più. Perde un’altra volta il quarto posto per un punto, quando già sa di non essere più nei piani della proprietà. Saluta tutti a fine campionato 2020-21, non prima di aver lanciato Osimhen. Lo aspetta la Fiorentina, ma finisce prima ancora di cominciare. Forse tra qualche mese lo aspettano a Bologna, ma è ancora tutta una storia da scrivere. Intanto a 44 anni Rino si “gode” un compleanno senza pallone. Una rarità nella vita di un uomo tutto d’un pezzo.

(Credits: Getty Image)

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