COPPA D’AFRICA, QUANTE STORIE: GLI STRANI RITI DI N’KONO, LA MACUMBA AD ADEBAYOR

Submitted by Anonymous on Tue, 01/11/2022 - 09:50
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Redazione
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Che non fosse una competizione come le altre non era certo un mistero. Basta vede quando è collocata, cioè all’inizio dell’anno solare, per capire che di Coppa d’Africa ce n’è una, e tanto basta. Del resto il continente africano è quello meno allineato, e non solo per ciò che riguarda il calcio: sarà il caldo, sarà la varietà di lingue, tribù, nazioni e chi più ne ha e più ne metta, ma non si può discutere né disquisire sul fatto che l’Africa è davvero la terra più libera e imprevedibile che esista sulla faccia della terra. E quando di mezzo ci va il pallone, certe storie si fondo tra mito e magia. Anzi, tra realtà e stregoneria. O semplicemente tra il lecito e l’imponderabile. Storie che a qualcuno strapperanno un sorriso, ma tutte realmente documentate e accadute. Bizzarre quanto si vuole, ma pur sempre fedeli rappresentazioni di un mondo capace spesso di ribaltare le normali abitudini.

LE ORIGINI E LA BATTAGLIA CONTRO L’APARTHEID

Nata nel 1957, la Coppa Africana delle Nazioni è giunta alla 33esima edizione, e lo ha fatto con un anno di ritardo: si sarebbe dovuta disputare nel 2021, ma la pandemia ha costretto il Camerun del presidente federale Samuel Eto’o (che con 18 reti è il miglior marcatore all time della manifestazione) a rinviare la kermesse di un anno. Nel 2023 tornerà puntuale, con la Costa d’Avorio già al lavoro per i preparativi di rito. L’Egitto è la nazionale africana più titolata, avendo conquistato la vittoria in 7 edizioni, seguita da Camerun (5), Ghana (4) e Nigeria (3). Un po’ a sorpresa, tra le grandi del continente, manca all’appello il Senegal, finalista due volte ma mai vincitore (l’ultima nel 2019, battuto dall’Algeria). E anche il Sudafrica, ormai stabilmente tra le potenze del calcio africano, non è riuscito ad andare oltre al successo casalingo del 1996, naturalmente davanti a quel Nelson Mandela che solo un anno prima aveva esultato per la vittoria nel mondiale di rugby. Oggi il torneo ospita 24 delle 54 nazionali appartenenti alla CAF, ma nel 1957, anno di debutto del torneo, furono appena 4 le partecipanti, e tutte a invito: Egitto (poi vincitore), Etiopia, Sudan e Sudafrica. Quest’ultima però non prese parte alla rassegna perché non volle “piegarsi” alla richiesta di inviare una squadra multirazziale, cioè composta non solo da giocatori bianchi ma anche neri. Un comportamento meritevole di disapprovazione, con relativa squalifica.

LA PROPAGANDA DI GHEDDAFI

In un continente tanto vasto e sconfinato, storia alternative e improbabili sono all’ordine del giorno. E la Coppa d’Africa non ne è certo esente: nel 1965 la Tunisia, paese organizzatore, si ritrova al centro di un caso diplomatico perché il presidente Bourghiba ha osato mettere pace nei rapporti tra Israele e Palestina. I paesi dell’africa mediorientale votano compatte per il boicottaggio, con il Congo Lepoldville che viene ripescato, debuttando nella rassegna. Alla fine farà festa il Ghana, che bisserà il successo di due anni prima battendo in finale proprio la Tunisia. E sempre il Ghana sarà protagonista nel 1982, quando l’Egitto rinuncerà a partecipare alla kermesse ospitata dalla Libia di Gheddafi dopo che il 6 ottobre 1981 un attacco terroristico di matrice islamica aveva ucciso il presidente Al-Sadat. Gheddafi ne approfitterà per fare propaganda, praticamente attaccando le potenze occidentali, accusate di scendere in Africa con fare imperialista e coloniale. La Libia, un po’ a sorpresa, arriverà in finale (prima e unica volta nella storia), ma ancora una volta dovrà cedere al Ghana dell’astro nascente Abedi Pelè.

LA FAVOLA DELLO ZAMBIA, DALL’INFERNO AL PARADISO

Quando il 27 aprile 1993 l’aereo che trasporta la nazionale dello Zambia verso il Senegal s’inabissa a largo di Libreville, capitale del Gabon, il paese precipita nel lutto. Tolti i tre giocatori che militavano all’estero, l’intera selezione venne spazzata via, rendendo improbo il compito alla nazionale sperimentale che l’anno dopo avrebbe preso parte al torneo ospitato dalla Tunisia. Il capitano Kalusha Bwalya fece una promessa ai compagni: li avrebbe onorati portando lo Zambia in cima al continente. E un anno dopo la promessa s’infranse solo in finale, battuti in rimonta da quella Nigeria che pochi mesi dopo per poco non avrebbe estromesso l’Italia dal mondiale americano. E due anni dopo lo Zambia ci riprovò, chiudendo al terzo posto. L’inesperienza venne colmata da una favolosa capacità di fare gruppo, spingendosi oltre ogni limite. Il cerchio si sarebbe chiuso però 19 anni più tardi: nel 2012 lo Zambia, con Bwalya presidente della federcalcio locale, arrivò nuovamente in finale, con il francese Hervé Renard chiamato in panchina al posto di Dario Bonetti a poche settimane dalla rassegna. Opposto alla Costa d’Avorio di Drogba, Gervinho e dei Touré, che non aveva subito neppure un gol nella rassegna, riuscì a portarla ai rigori, dopo che Drogba ne aveva fallito uno a 20’ dalla fine. E dal dischetto, dopo l’errore di Gervinho, arriverà il gol di Sunzu che farà piangere di gioia e commozione un’intera nazione. Anche perché la finale si giocava in Gabon, a Libreville. Ogni ulteriore commento è superfluo.

N’KONO, IL PORTIERE CON POTERI “MAGICI”

Non andò alla stessa maniera al povero Thomas N’Kono, portiere storico del Camerun, idolo di Buffon (che ha chiamato Thomas il primogenito). Nel 2002 faceva parte dello staff della nazionale, impegnata nella Coppa d’Africa organizzata dal Mali. Ma il suo compito esulava l’aspetto tecnico: prima di una gara contro il Mali venne sorpreso a fare strani riti accanto a una porta. E quando di mezzo ci va la stregoneria, da quelle parti non è il caso di scherzare troppo: dieci poliziotti lo prelevarono di forza, portandolo in una cella dello stadio. A quel punto scoppiò il finimondo: il Camerun minacciò di non scendere in campo e ci volle tutta la diplomazia del mondo per riportare la calma. Alla fine N’Kono venne rilasciato, con i Leoni che batterono il Mali e arrivarono fino in fondo, vincendo la finale ai rigori contro il Senegal. Con N’Kono libero, felice e (stregone) contento.

ADEBAYOR VIDE LA MORTE IN FACCIA

L’ultima perla porta dritti a un nome noto agli appassionati europei: Emmanuel Adebayor in Inghilterra s’è fatto un nome, anche se poi s’è dimostrato un po’ più attaccato al vil denaro che non alla maglia (il trasferimento dall’Arsenal al City non venne preso bene per niente dai suoi ex tifosi). E il rapporto con la nazionale del Togo è stato dei più tormentati. Nel 2010 è sul pullman che viene assalito da un fronte di liberazione angolano, con il chiaro intento di voler sabotare il torneo. Pur uscendone illeso (moriranno 4 persone dello staff più l’autista), deciderà di abbandonare la nazionale, tornando sui suoi passi un anno più tardi. Ma nel 2013 è di nuovo sul punto di lasciare: adduce motivi di sicurezza, ma poi si scoprirà che il problema erano i premi, concordati ma mai ratificati dalla federazione. Alla fine decide di andare, segnando un gol contro l’Algeria, ma uscendo ai quarti contro il Burkina Faso. Vorrebbe sparare un’ultima cartuccia, e il proposito gli riesce: nel 2017 si prende l’ennesima convocazione, pur se in quel momento è disoccupato dopo la fine dell’avventura con il Crystal Palace. E tra i motivi di quello stop inatteso, uno è riferito a una… macumba fatta nientemeno che dalla madre: “tramava juju”, veri e propri riti di stregoneria, affinché non facesse gol. Qual era la sua colpa? Non andava d’accordo con i fratelli, che accusò di volerlo derubare dei suoi guadagni. La madre scelse di stare dalla loro parte e Adebayor cominciò a vedere la porta col binocolo.

(Credits: Getty Image)

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