BOB HEWITT, IL DOPPISTA PIÙ FORTE E PIÙ DETESTATO

Submitted by Anonymous on Wed, 01/12/2022 - 16:02
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Redazione
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Essere il più grande ma farsi odiare praticamente da tutti. A Bob Hewitt questo è successo per davvero, e non c’è molto da vantarsi. O meglio, c’è da inchinarsi per quanto ha saputo raccogliere in doppio in oltre 20 anni di carriera, dove a furia di fare incetta di titoli s’è messo alle spalle praticamente ogni pretendente al ruolo di miglior giocatore della storia. Ma l’amore del pubblico, così come la stima e la riconoscenza dei compagni di avventura, non hanno fatto parte del bagaglio d’esperienza che Bob s’è portato appresso. E anche oggi che festeggia 82 anni il compleanno ha un retrogusto amaro, complice anche una brutta storia di violenze su giovani atlete, perpetrate a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 (quando aveva deciso di diventare allenatore), che gli sono costate nel 2015 una condanna a 8 mesi con la condizionale. Quel giorno l’Australia, la terra che gli ha dato i natali e che Bob ripudiò anni più tardi, scegliendo di giocare con passaporto sudafricano dopo il matrimonio con l’amata Delaille Nicholas, in qualche misura esultò, quasi a voler dimostrare al mondo che tutta quell’avversione nei confronti dell’uomo, non certo del tennista, non fosse campata per aria. E da allora Bob s’è dovuto ritirare a vita propria, uscendo un po’ dal radar di un mondo che pure ha contribuito a rendere più iconico e a portata di appassionati.

UN MARE DI SUCCESSI, MA SENZA TROPPA GLORIA

Hewitt ha vissuto la grande epopea del tennis australiano, essendo di pochi anni più giovane rispetto a Neale Fraser, Roy Emerson e Rod Laver. Ma rispetto a loro, Bob si specializzò soprattutto nel doppio. A livello di singolare, il miglior risultato furono tre semifinali raggiunte agli Australian Open a inizio carriera, tutte perse proprio contro i tre connazionali, portando peraltro fortuna a ognuno di essi, poiché avrebbero poi conquistato il titolo dello slam in finale. L’ultimo acuto nei tornei principali è datato 1967, con in quarto di finale raggiunto a Wimbledon. Quando concluderà la sua avventura nel circuito in singolare, Hewitt arriverà a contare 7 titoli, con un best ranking alla 34 datato 1975. In doppio, però, le cose avevano già preso un’altra piega da un pezzo: in coppia con l’australiano Fred Stolle, Bob perse le prime due finali in carriera (Wimbledon 1961 e Australian Open 1962), ma a partire proprio dalla campagna di Wimbledon 1962 cominciò a conquistare titoli dello slam uno dietro l’altro. Alla fine saranno 15 in totale: 9 nel doppio maschile (i primi 4 con Stolle, gli ultimi 5 con il sudafricano Frew McMillan), 6 nel doppio misto, specialità che lo vide trionfare tra gli altri con Billie Jean King per la prima volta sulla terra rossa del Roland Garros nel 1970. E proprio nella seconda parte della sua carriera, quindi nei ’70, Hewitt divenne uno dei giocatori più vincenti della storia del doppio, pur senza mai raggiungere la posizione numero 1 al mondo, arrivando a contare ben 65 titoli. A impreziosire la vetrina di casa non poteva mancare la Coppa Davis del 1974, vinta con il Sudafrica, senza però scendere in campo nella finale contro l’India (che boicottò la sfida per via dell’apartheid).

TUTTA COLPA DI QUEL CARATTERACCIO

Al netto di una carriera vincente come poche altre si erano viste sino ad allora, Hewitt non è mai riuscito a entrare nelle grazie degli appassionati. E al di là della spiacevole vicenda del processo per violenze, già prima le cose non è che fossero mai andate meglio. Un carattere scorbutico e facilmente irritabile lo avevano reso inviso non solo al pubblico, ma pure alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi. Leggenda marra che Bob nemmeno parlasse con i suoi compagni di doppio: fuori dal campo rapporti praticamente al minimo, ma poi una volta che cominciava la partita era come se accendesse la luce, riuscendo a entrare in totale empatia con il compagno che stava dalla propria parte del campo. Per lui contava solo il gioco: tennis, tennis e ancora tennis. Viveva una vita riservata, lontana dai riflettori, e badava unicamente alla sostanza. Un concetto riproposto anche quando decise di diventare allenatore, non riuscendo però mai a entrare in empatia con i propri allievi, forse proprio per quel carattere così poco incline al dialogo e alla comprensione. Resta uno dei più grandi di sempre, ma di lui in pochi parlano ancora oggi volentieri. E la stessa federazione internazionale, con nel 1992 lo inserì nella Hall of Fame, dopo averlo sospeso nel 2012 agli albori del processo non si fece troppi scrupoli ad espellerlo nel 2016. Hewitt oggi è un uomo solo. Un tennista il cui ricordo sta sbiadendo, impossibile da salvare neppure con tutto il talento che Madre Natura gli aveva affidato.

(Credits: Getty Image)

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