KEVIN COSTNER SOGNAVA IL BASKET. POI È DIVENTATO IL TORO DI DURHAM

Submitted by Anonymous on Tue, 01/18/2022 - 19:23
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Redazione
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Se l’hanno ribattezzato il re degli “sport movies”, cioè dei film dedicati allo sport, un motivo deve pur esserci. E quel motivo risiede soprattutto nell’infanzia che Kevin Costner ha trascorso a Compton, in California, il luogo dove ha dato libero sfogo a tutti i suoi desideri legati al grande sogno americano. Che per molti fa rima appunto con sport, per altri ancora con cinema, e a bene vedere è stata la seconda opzione a trovare terreno fertile nella vita di colui che la storia ha raccontato essere uno dei migliori attori di Hollywood degli ultimi decenni, nonché tra i più amati e apprezzati dal pubblico. E anche oggi che compie 67 anni, naturalmente senza distogliere troppo lo sguardo dal set, con la fortunata serie Yellowstone che continua a raccogliere unanimi consensi un po’ in tutto il mondo (e tra poco partiranno i lavori per la quinta stagione, attesa per la fine dell’anno). Ma lo sport nei pensieri di Kevin c’è sempre, come c’era quando, da bambino, usciva di casa per andare al campetto a fare quattro tiri con gli amici. Perché il basket è stato il suo primo amore, ma i centimetri non l’hanno mai aiutato troppo a diventare un giocatore di livello accettabile. E non è un caso che tra i suoi innumerevoli lavori cinematografici a fare la parte del leone sia il baseball, la disciplina che più di ogni altra Costner ha voluto portare sullo schermo.

COME TI PORTO IL BASEBALL SUL GRANDE SCHERMO

L’infanzia tra le strade della California ha forgiato una persona che sa bene come difendersi dalle insidie della vita. E Kevin non ha mai nascosto il fatto che è stato proprio lo sport a spronarlo a diventare ciò che è diventato:

Non mi sono mai piaciute le persone che, quando c’è da fare una squadra, prendono i giocatori migliori, accecati solo dalla voglia di vincere. Lo sport ti insegna a lottare, a lavorare duro, ad andare oltre i propri limiti. Io sceglievo sempre i giocatori meno forti, e raramente me ne pentivo. Io anteponevo il concetto di squadra a quello di singolo.

La passione per il basket, col tempo diventata anche una sorta di status symbol (è spesso presente a bordocampo alle gare dei Lakers, che non disdegna di andare a vedere in compagnia di altri attori quali Keanu Reaves e Leo DiCaprio), ma da piccolo l’ha fatto soffrire poiché la sua statura minuta gli impedì di poter pensare a una carriera di rilievo. Quando arrivò al college, e quando arrivarono anche i centimetri, la scelta era già ricaduta sui corsi di recitazione, e quindi sul mondo del teatro prima e del cinema poi. Ma con quel fisico qualcosa avrebbe comunque potuto farla: da giovane Costner si era appassionato al rugby, e non disdegnava nemmeno qualche esercizio a cavallo. Il football l’ha sempre attratto meno. Il baseball diventerà il suo fedele compagno di viaggio sin dai primi anni in cui sbarcherà ad Hollywood.

IL MESSAGGIO UNIVERSALE ED EVOCATIVO DELLO SPORT

A viaggiare il piccolo Kevin si era abituato presto: il padre era un tecnico del servizio elettrico nazionale, e pertanto gli spostamenti da un’area all’altra degli Stati Uniti erano all’ordine del giorno. Un incontro in aereo con l’attore Richard Burton, che lo spinge a credere nel proprio talento, lo convincono a trasferirsi a Los Angeles e tentare la carriera nel cinema. All’inizio è dura, ma dopo qualche apparizione di poco conto, ecco nel 1985 la grande opportunità di recitare in “Fandango” dell’amico Kevin Reynolds, primo film che lo fa conoscere al mondo. Ma sarà due anni più tardi, quando ottiene la parte dell’antagonista di Robert De Niro ne “Gli intoccabili” di Brian De Palma, a conoscere un successo sin lì insospettabile e mai immaginato. Si apre un periodo d’oro: nel 1989 recita ne “L’uomo dei sogni”, pellicola talmente iconica che 32 anni dopo l’MLB deciderà di farvi disputare una partita per davvero, suscitando una vasta eco in tutto il mondo. Nel 1991 con “Balla coi lupi” e un anno dopo con “Guardia del corpo”, accanto a Whitney Houston, Costner raggiunge l’apice di una carriera che pure, a partire dalla metà degli anni ’90, lentamente lo vedrà uscire dal gotha di Hollywood, complici scelte spesso discutibili e performance ritenute abbastanza deludenti. I tanti gossip sul suo conto, incallito donnaiolo, non aiutano a riportarlo in auge: resta uno dei grandi attori di fine del ‘900, ma lontano anni luce da ciò che prometteva di diventare dopo i primi 10 anni di carriera. Almeno però è uno che non s’è mai tirato indietro quando c’è stato da parlare di sport: “Bull Durham”, “L’uomo dei sogni”, “Draft Day” e “McFarland, USA” trattano di baseball, football e atletica ma soprattutto fanno interrogare coloro che li guardano, magari seduti sul divano, facendo passare sempre un messaggio di fondo che non può rimanere inascoltato o non essere recepito. La grande forza evocativa del cinema. Che poi è quella della vita. Nonché dello sport.

(Credits: Getty Image)

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