La storia siamo noi, nessuno si senta offeso. Chissà se a Manacor, adesso, staranno canticchiando quei versi che in un modo o nell’altro fanno la fortuna di chi si rende protagonista di imprese fuori da ogni logica. Dopotutto la storia l’ha fatta un ragazzino che sognava di diventare calciatore, perché a casa Nadal il pallone era entrato prepotente grazie allo zio Miguel, per anni colonna difensiva del Barcellona.
Eppure a spuntarla fu l’altro zio, cioè Toni, quello che al pallone preferiva la pallina, e alle scarpe coi tacchetti un bel paio da ginnastica, utili per muoversi con il giusto grip sui campi di terra rossa, oppure sul cemento o perché no, anche su quell’erba che sull’isola non sempre cresce verde e rigogliosa come sui prati inglesi.
Quasi vent’anni dopo aver messo piede per la prima volta nel circuito professionistico, oggi il mondo ha capito davvero perché Rafael Nadal Parera è destinato alla gloria immortale, tanto nel tennis quanto nello sport. Perché il 21esimo titolo dello slam non è solo il grimaldello per staccare Federer e Djokovic in cima alla classifica all time dei titoli vinti in carriera (in fondo il serbo, più dello svizzero, avrà modo di replicare presto), ma è piuttosto una delle dimostrazioni di forza e carattere più grandi che un atleta abbia mai saputo offrire agli occhi del mondo. Nessuno avrebbe mai potuto credere a un epilogo simile, giusto un paio di settimane fa. Lui per primo, che a dicembre era stato a un passo così dal dire basta. Per questo c’è chi ha parlato di favola. Ma non ci si inventa campioni per caso.
UN FINALE CHE NON ERA STATO SCRITTO
Rafa Nadal aveva vinto una sola volta rimontando da 0-2. Era accaduto nel 2008, quando ancora Medvedev a malapena giocava nei circuiti giovanili. E pochi mesi dopo lo spagnolo avrebbe conquistato il primo titolo a Melbourne, superando sempre al quinto set quel Federer al quale in una certa maniera stava cominciando a sottrarre lo scettro.
Altre quattro finali più tardi, tutte perse (due da Djokovic, una da Wawrinka e un’altra, nel 2017, proprio contro Federer), Rafa ha messo un altro mattone pesante nella costruzione della sua legacy, che ormai somiglia più a un’era mitologica, tanto che fa soffrire il pensiero che un giorno non molto lontano tutto questo arriverà a naturale conclusione. Per come è maturata, la vittoria contro il russo è l’emblema di una carriera vissuta sempre controcorrente, spesso a inseguire allori, rivali e trofei.
Nessuno poteva arrivare a pronosticare un epilogo simile, specie dopo che Medvedev aveva dimostrato nel primo set, e in buona misura anche nel secondo, di essere davvero l’uomo giusto per rompere una volta per tutte la tripartizione dei vertici della racchetta. Sembrava, Daniil, il candidato perfetto per abbattere le certezze ritrovate del mancino di Manacor, che già contro Shapovalov ai quarti aveva rischiato grosso, senza sapere che proprio quella maratona si sarebbe rivelata alla stregua di un allenamento perfetto per tentare poi di rovesciare il mondo e cancellare l’onta di un’altra delusione australiana. La storia lo aspettava lì, in quel quinto set tante volte maledetto, che dopo avergli tolto tanto adesso era pronto a ridargli indietro qualcosa con gli interessi.
IL SIGNORE DEL QUINTO SET
Quel che ha fatto Nadal è qualcosa che va oltre lo sport. Sul campo, al bombardamento con la prima di servizio del russo, ha risposto con l’astuzia, obbligandolo a muoversi con maggiore frequenza e variando spesso i colpi. In pratica ha mandato in tilt il computer di bordo di Medvedev, che pure è stato duro a morire, tanto da recuperare un break di svantaggio quando Rafa era a soli due punti dal torneo, infilandone quattro di fila come se nulla fosse.
E in quel momento lo spettro della finale 2017, persa contro Federer dopo essere stato avanti di un break nel quinto, è tornato ad aleggiare minaccioso sulla Rod Laver Arena. Nadal però ha ormai quasi 36 anni, oltre 1000 partite alle spalle e una tempra di cui in questo universo in pochi hanno mai potuto beneficiare. Ha ripreso fiato, ha ricalcolato il percorso, non s’è scomposto di una virgola. E ha ricacciato indietro l’orso, rimettendolo spalle al muro e strappandogli la battuta in coda a un game di rara bellezza.
E poi l’ha lasciato a zero, perché errare e umano, ma preservare è diabolico e di diavolo, a Melbourne, ce n’era già uno in campo, e tanto bastava. Ma forse sarebbe più giusto affermare che in campo c’era una divinità della racchetta che non s’è stancata di regalare emozioni, di vincere partite come si modellano sculture, di ammaliare il pubblico come solo i veri artisti sanno fare. Quando un giorno tutto questo sarà finito, il mondo scoprirà il vuoto che avrà lasciato.
Per questo a Rafa va detto che ci ha commossi. Perché ancora una volta ha deciso di creare poesia quando tutto sembrava perduto. E ricordare a tutti chi è il signore del quinto set, colui che ha vinto più partite di tutti quando la fatica è diventata la vera rivale da abbattere, ancor più del collega dalla parte opposta della rete.
Grazie a tutti, davvero, perché non era scontato che tutto ciò accadesse. E vi prometto che farò di tutto per tornare tra un anno, o quando sarà, e provare a rivivere queste emozioni.
Chi ha visto ne è testimone per l’eternità.
(Credits: Getty Image)