GABRIEL OMAR BATISTUTA. PER TUTTI, IL RE LEONE

Submitted by Anonymous on Tue, 02/01/2022 - 15:14
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Redazione
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Di Re Leone ce n’è uno solo, e nessuno può solo minimamente immaginare di avvicinarsi a tale grandezza. Lo pensano a Firenze, lo sostengono anche a Roma, dove due tifoserie non proprio abituate alle vittorie trovarono in quell’attaccante dalla folta chioma la risposta ai loro desideri. Quelli che Gabriel Omar Batistuta riusciva a realizzare con la forza della determinazione, o se preferite con due gambe d’acciaio con le quali seminava il panico nel cuore delle difese avversarie. Lui, il bomber allergico ai grandi palcoscenici, moderno Robin Hood che rubava (calcisticamente parlando) ai ricchi per dare ai poveri.

E magari qualcuno avrà da ridire, pensando che a inizio millennio i soldi ai Sensi, proprietari della Roma, non mancavano, se è vero che arrivarono a sborsare 70 miliardi per portarlo alla corte di Fabio Capello. Ma sarebbe potuto andare al Milan, alla Juve, al Real, allo United, ovunque avesse detto di voler andare, in barba ai soldi e alle logiche del mercato. Perché c’è stato un tempo, quello dell’epoca d’oro dei numeri 9, in cui Batistuta era il monarca indiscusso, l’uomo al quale era concesso di zittire il Camp Nou o Wembley, o di svettare sopra la testa di decine e decine di difensori sui campi della Serie A. Di attaccanti come lui non se ne trovano più in giro. Altro che Vlahovic, altro che Haaland. Avercene oggi di Batistuta in rosa.

BASKET, PALLAVOLO E IL SOGNO DI ESSERE COME DIEGO

E dire che quando era ragazzo, già innamorato della sua futura sposa Irina e molto legato al gruppo di amici dell’adolescenza, nei suoi piani il pallone era un altro, non certo quello da calcio. Dotato di una buona statura, si era prima affaccendato a giocare a basket, quindi a inseguire il sogno di diventare un pallavolista di buon livello. Nulla di così serio o eccezionale: giocare per divertirsi, e nel frattempo lavorare e mettere su famiglia. Ma quando gli amici gli dissero di seguirlo nel Platense, squadra giovanile di Reconquista (lui però era nato ad Avellaneda: si trasferì a Reconquista con la famiglia quando aveva 6 anni), la voglia di emulare il suo idolo Maradona fu talmente forte da convincerlo ad accettare.

In due anni il giovane Gabriel si tolse discrete soddisfazioni, tanto da convincere Jorge Griffa, ex calciatore professionista e all’epoca talent scout per conto del Newell’s Old Boys, a proporlo all’allora tecnico Marcelo Bielsa, che stava costruendo una delle squadre più iconiche della storia del futbol argentino. Batistuta, per nulla convinto della destinazione, accettò solo dietro invito del papà Osmar.

La lontananza dalla famiglia e dagli amici, oltre alla grande concorrenza nel parco attaccanti, più volte lo convinsero a mollare, salvo poi tornare sempre sui suoi passi. Ma non furono anni facili: complice un peso forma spesso non impeccabile (da qui il soprannome “gordo” che lo affiancherà nei primi anni di carriera) e l’inevitabile scotto del debuttante, Batistuta non riuscì mai a incidere davvero in quel Newell’s.

Tanto da andare prima in prestito al Deportivo, quindi nel 1989 al River Plate, dove lo scarso feeling con Daniel Passarella (che a Firenze era stato qualcuno: strana, la vita…) lo convinse nuovamente a cambiare aria. E siccome Buenos Aires gli piaceva, pensò bene di accasarsi al Boca Juniors, allenato dal “maestro” Oscar Tabarez. L’uomo che più di ogni altro gli avrebbe cambiato la carriera, intanto spostandolo dalla fascia al centro dell’attacco, quindi dandogli la chance di farsi conoscere e apprezzare anche fuori dai confini nazionali. Stava nascendo una stella, e l’Europa era pronta a sottrarla al calore della “Bombonera”.

FIRENZE SOGNA: L’EPOPEA DEL RE LEONE

Come in tutte le storie che si rispettino, anche lo sbarco di Batistuta nel calcio del vecchio continente fu diretta conseguenza di uno scouting che non lo doveva riguardare. È una storia vecchia come il cucco: lui ama lei, ma alla fine s’innamora dell’amica. E dire che la Fiorentina nei primi anni ’90 era una fidanzata tradita: aveva perso Baggio, salpato alla Juve, e pensò di trovare un sostituto proprio in Argentina. Diego Latorre del Boca era il prescelto, ma a furia di vedere partite la dirigenza Viola si convinse che il vero affare l’avrebbe fatto portando in Italia proprio Batistuta.

Che arrivò a Firenze nell’estate del 1991, accolto più da scetticismo che da reale entusiasmo. Aveva guidato l’Argentina alla conquista della Copa America, ma non scaldò da subito i cuori dei tifosi. Invero la prima stagione fu abbastanza buona: 13 reti in 27 gare, e la concorrenza di Branca e Borgonovo sgretolata a suon di gol. L’anno dopo fece ancora meglio (16 centri), ma la Fiorentina incredibilmente retrocedette in B. Sarebbe stato più facile trasferirsi altrove, ma Gabriel era un uomo d’onore e non batté ciglio quando affermò di voler restare.

La B in fondo fu un purgatorio rapido e indolore e non gli impedì di mancare l’appuntamento con il mondiale di Usa ’94, dove si presentò calando un tris alla Grecia, anche se di quella gara tutti ricordano il gol e l’esultanza rabbiosa di Maradona. Segnerà anche alla Romania negli ottavi, ma la corsa dell’albiceleste si chiuderà quello stesso giorno.

Tornato a Firenze, la carriera di Batigol prenderà definitivamente il volo: andrà in gol nelle prime 11 gare di Serie A (record tuttora imbattuto), chiuderà la stagione a quota 26, imponendosi come il miglior centravanti del torneo. Ormai Batistuta è per tutti il Re Leone, prendendo spunto dalla fortunata pellicola Disney in uscita proprio in quel periodo.

L’anno dopo segna 19 reti in A e 8 nella fortunata campagna di Coppa Italia, quando da capitano alza il primo trofeo con la Viola. E la stagione successiva si ripete in Supercoppa Italiana (iconica la dedica “Te amo, Irina” dopo il gol vittoria a “San Siro” contro il Milan), arrivando fino a un passo dalla finale di Coppa delle Coppe, cedendo in semifinale contro il Barcellona di Ronaldo dopo aver zittito il “Camp Nou” all’andata. Un’altra stagione da protagonista lo consacra una volta di più verso l’appuntamento con i mondiali di Francia ’98, dove segna 4 reti ma dove ferma la propria corsa ai quarti, battuto dall’Olanda.

ROMA, UN SOGNO CHIAMATO SCUDETTO

Alle soglie dei 30 anni, Gabriel sente che qualcosa gli manca: vorrebbe competere per lo scudetto, ma nel campionato delle sette sorelle è dura per chiunque fare corsa di vertice. La Fiorentina però tenta l’all in: chiama in panchina Giovanni Trapattoni e nel 1998-99 il vento sembra girare dalla parte giusta, con Juve e Inter in crisi e il Milan che a fatica sta riemergendo dopo due anni nerissimi. Le romane sono in crescita, ma per due terzi di stagione la Viola non conosce rivali. Batistuta è spesso decisivo, segna gol pesanti e terrorizza gli avversari. Poi però a febbraio, proprio contro il Milan, si infortuna in uno scatto e le speranze scudetto svaniscono all’unisono.

L’anno dopo stabilirà il record personale di gol in una stagione (29), ma la lotta al vertice sarà al solito una questione altrui. È la fine del sogno: dopo 9 stagioni, 333 partite e 207 reti, il Re Leone decide di lasciare Firenze. Un addio anche un po’ traumatico, perché parte della tifoseria si sente ferita. Ma tanti gli dicono comunque grazie, lasciandolo andare per la propria strada. Batigol non sceglie la via più facile: accetta di unirsi alla Roma di Capello, che ha potenziale ma non abitudine alla vittoria.

Con Totti, Delvecchio e Montella forma una linea offensiva da urlo, e al primo colpo lo scudetto arriva per davvero, grazie anche a 20 reti che pesano come un macigno. Sapeva di avere una sola cartuccia da sparare e puntualmente azzecca la mira, coronando il sogno di una vita. L’anno dopo rivince la Supercoppa, proprio contro la “sua” Fiorentina, alla quale nel frattempo non hanno posto rimedio neppure i 70 miliardi incassati dalla sua cessione.

Firenze sta per conoscere il fallimento, Batistuta semplicemente sta per pagare il conto a un fisico che fatica a sostenerne il peso: gli infortuni lo tormentano, l’ultima campagna mondiale con la nazionale è fallimentare (ma almeno firma l’unica vittoria contro la Nigeria, salendo a 10 reti complessive in tre edizioni), a Roma ormai gli stimoli vengono meno. Un prestito fugace all’Inter, poi un biennio in Qatar, prima di arrendersi a una caviglia bizzosa che lo condizionerà anche nel post carriera, tra dolori indicibili e la voglia di una vita normale che tarderà a venire. Ha dato tutto per il calcio, il Re Leone. Che voleva essere un buon pallavolista, ma che il destino ha voluto offrire al mondo come uno dei bomber più forti del calcio argentino. E l'onore è stato tutto nostro.

(Credits: Getty Image)

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