PARTE IL SEI NAZIONI 2022: TORNANO PUBBLICO ED EMOZIONI FORTI

Submitted by Anonymous on Sat, 02/05/2022 - 13:16
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Redazione
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Dov’eravamo rimasti? Ah già, alla cartolina più triste di decenni di storia della palla ovale continentale. Al Galles che a sorpresa fa festa, alzando il trofeo consegnato ai vincitori del Sei Nazioni, in una cornice però davvero desolante, senza pubblico sugli spalti e in un silenzio quasi irreale. Il Covid, che nel 2020 c’aveva messo lo zampino nella parte finale della rassegna, stavolta aveva fatto le cose perbene: gare tutte a porte chiuse e appassionati costretti a godersi lo spettacolo da casa, seduti sul divano, rinunciando però a tutto il contorno che in fondo è il sale della vita di ogni rugbysta che si rispetti.

Anche per questo l’edizione 2022 si preannuncia densa di aspettative e significati. Con l’Italia del nuovo corso guidato da Kieran Crowley che proverà a mandare segnali anche in previsione della Coppa del Mondo 2023, che in fondo rappresenta il vero lido di approdo di un movimento chiamato a rialzarsi dopo anni di cocenti delusioni. Prima di partire è buona cosa fare un check up in rigoroso ordine alfabetico alle sei contendenti, tutte con obiettivi chiari e dichiarati, ma non per questo meno complicati da raggiungere.

FRANCIA, UNA NIDIATA DI FORMIDABILI TALENTI

Qui non è solo una questione di alfabeto: la Francia va presentata per prima a prescindere, perché a detta di molti (se non tutti) è la vera favorita per la vittoria finale. I transalpini stanno facendo le cose perbene da almeno tre anni: hanno una nidiata di giovani talenti a dir poco formidabile e puntano dichiaratamente a prendersi la scena in vista del mondiale di casa.

Fabien Galthiè, risultato positivo a un test Covid a 48 dalla sfida con l’Italia, può contare su un mix di potenza e qualità a dir poco straordinario: in autunno ha battuto gli All Blacks e ora vuol interrompere un digiuno che nel Sei Nazioni dura addirittura dal 2010. Nonostante l’assenza del capitano Ollivon, infortunatosi e già concentrato sui test match di inizio estate, e l’iniziale stop dell’ala Thomas, la Francia resta una squadra praticamente completa in ogni reparto: accanto a Dupont, miglior giocatore al mondo del 2021, ci sono a turno Ntamack e Jalibert, due aperture che farebbero la fortuna di qualunque nazionale (anche dell’emisfero sud), costrette però ad alternarsi per ragioni squisitamente tattiche.

Marchand, Willemsee, Begles e Jaminet sono altri pezzi da novanta di un collettivo che non si pone limiti, nonostante giocherà in casa solo due gare (contro l’Irlanda e l’ultima contro l’Inghilterra).

GALLES, L’INFERMERIA COMPLICA I PROPOSITI DI BIS

Campioni in carica, ma campioni anche in infermeria: senza mezza squadra titolare, il Galles è perfettamente conscio del fatto che puntare al bis in queste condizioni è pressoché impossibile. Perché gente come Halfpenny, North, Owens, Faletau e Alun Wyn Jones (che si è infortunato nel test match con gli All Blacks e potrebbe già aver chiuso la stagione) non la trovi per strada, e tanto meno al mercato.

Dura per chiunque reggere senza codesti mostri sacri: coach Pivac si affiderà a un robusto ricambio generazionale, quasi a voler precorrere i tempi, ma sarà dura ripetere l’exploit dell’anno passato. Si consolerà al pensiero almeno di aver ritrovato Ellis Jenkins, pronto a tornare dopo due anni infernali, seguiti al drammatico infortunio al crociato che si procurò contro il Sudafrica. Vicino a lui ci sarà Tanie Basham, rivelazione dei test autunnali, adesso chiamato a una pronta conferma.

I gradi di capitano passano sulle spalle di Dan Biggar, anima e leader di un gruppo che si propone di vivere alla giornata, senza mettersi troppa pressione addosso. E al suo fianco ci sarà Jonathan Davies, che viaggio verso i 100 caps. Se poi Louis Ress-Zammit confermasse quanto fatto vedere nell’ultimo torneo, beh, allora qualcosa di buono ne potrà scaturire sicuramente.

INGHILTERRA, JONES DEVE AFFIDARSI AI GIOVANI

Dopo i fasti del decennio passato, l’Inghilterra vive una fase di transizione. Eddie Jones non è più saldo al suo posto (probabile che dopo i mondiali 2023 cambierà aria) ma i test match autunnali l’hanno rilanciato, anche perché cambiando molte pedine e svecchiando in alcune zone del campo sono arrivate le vittorie contro Sudafrica e Australia.

Però nel Sei Nazioni mancheranno il capitano Owen Farrell e Jonny May, oltre a Lawes (almeno nelle prime due gare), Tuilagi, Hill e Underhill. Fari puntati soprattutto su Marcus Smith, apertura degli Harlequins, piccoletto di statura ma dotato di una rapidità d’esecuzione da fare impressione e subito divenuto nuovo beniamino dei tifosi.

Altri esordienti sono Steward e Dombrandt, entrambi chiamati ad alzare subito il loro livello. Il debutto a Murrayfield, casa della Scozia, è tutt’altro che privo di incognite, vuoi per i tanti giovani da mandare in campo, vuoi per la pressione che si avvertirà sugli spalti. La brutta campagna 2021 obbliga gli inglesi a reagire in fretta: al netto di tante defezioni, alibi non ce ne sono per nessuno.

IRLANDA, L’ULTIMO BALLO DI COLIN SEXTON

Si avvicina il mondiale e l’Irlanda torna a fare la voce grossa. Soprattutto pensando ha cosa ha detto l’anno appena passato: 8 vittorie di fila, tra cui quella ottenuta al cospetto degli All Blacks, dimostrano che la nazionale del trifoglio è pronta per fare il definitivo salto di qualità.

A dire il vero nel Sei Nazioni gli irlandesi si fanno rispettare da tempo: hanno vinto 4 edizioni negli ultimi 13 anni, tante quante l’Inghilterra, l’ultima delle quali nel 2018. Coach Andy Farrell, papà di Owen (che sollievo non doverlo affrontare…), vuol regalare a Colin Sexton un ultimo ballo degno di tal nome: probabile che questo sia l’ultimo Sei Nazioni del capitano e allora si tenterà di tutto e di più per regalargli un’ultima grande gioia.

Tra i più attesi, occhio a Mack Hansen: l’ala è un australiano equiparato irlandese che ha un gran piede mancino e che promette di rimescolare le carte, pronto a mandare in crisi le difese avversarie. Sotto la lente anche il giovane Caelan Doris, 21 anni, terza linea centro di indiscutibili doti tecniche e fisiche, al rientro dopo un anno di stop per infortunio e considerato uno dei pilastri dell’Irlanda del futuro, così come Hugo Keenan, estremo che nel Leinster sta facendo parlare (bene) di sé.

Il calendario è un po’ tosto, al netto di due sole trasferte che sono però a Parigi e Twickenham. Ma arrivasse anche solo una vittoria in una di queste due gare, allora sarebbe un problema per le rivali impedire ai verdi di fare festa.

ITALIA, TANTI DEBUTTANTI CON VISTA SUL FUTURO

Il paradosso tutto italiano è quello di aver visto una nazionale forte e competitiva nel primo decennio di partecipazione al torneo (la prima volta fu nel 2000) e una decisamente troppo fragile dalla metà del secondo decennio in qua.

Cosa potrebbe far cambiare il corso della storia? Crowley sin qui ha fatto capire di non voler guardare in faccia niente e nessuno: a novembre ha rimescolato le carte, proponendo una squadra giovane, rinnovata e quanto più in grado di guardare al domani con spirito costruttivo e malcelata fiducia.

La vittoria sull’Uruguay ha interrotto un digiuno che durava da due anni, ma non ha dissolto i dubbi e le incertezze. E l’infortunio di Riccioni, pilone di provata esperienza, ha aperto una voragine in prima linea. Contro la Francia, nel terribile debutto di Saint Denis, andranno in campo due debuttanti assoluti come Toa Halafihi e il 19enne Tommaso Menoncello, come a voler dire che qui conta solo prepararsi alle battaglie future, perché del presente (e non del domani) non v’è certezza. Varney e Garbisi all’apertura rendono bene l’idea dell’identità che Crowley intende dare alla squadra: niente calcoli, siamo italiani (appunto).

Tanti nomi pochi noti (per non dire sconosciuto) al grande pubblico e un calendario tostissimo con un solo e unico obiettivo: evitare di uscire dalle partite dopo il 60’ (il vero tallone d’Achille degli ultimi anni) e provare a riassaporare l’ebbrezza della vittoria, che manca dal 2015 (22-19 sulla Scozia). Ci accontenteremmo di vedere una nazionale tonica, viva e futuribile: sarebbe già un successo. Anzi, un miracolo sportivo.

SCOZIA, UNA MINA VAGANTE CHE SOGNA IN GRANDE

Scrivi Sei Nazioni e non vedi la Scozia nell’albo d’oro. Che sia un errore di trascrizione? No, semplicemente è una triste verità: gli scozzesi hanno vinto l’ultimo Cinque Nazioni (era il 1999) e da allora hanno chiuso bottega. Ma stanno tornando quelli temuti e sfrontati di un tempo, complice una buona infornata di talento che obbliga qualsiasi rivale a stare sull’attenti.

Tanto che da squadra abituata a lottare per evitare il cucchiaio di legno (ormai fedele compagno di viaggio dell’Italia) è diventata una mina vagante. Chiedere alla Francia, che perdendo in casa contro la Scozia lo scorso anno s’è vista sfilare dalle mani il trofeo. Coach Townsend ha in mano un gruppo già rodato, anche se dalla carta d’identità piuttosto giovane: Hamish Watson, MVP del Sei Nazioni 2021, ha voglia di riconfermarsi ad alti livelli, mentre i giovani Ewan Ashman e Rory Darge rappresentano i profili più interessanti anche in previsione di una carriera di altissimo livello.

E lo stesso dicasi di Cameron Redpath, che è rientrato dopo l’infortunio subito lo scorso anno ed è pronto a prendere su di se le luci della ribalta. Ali Price, Fin Russell, Chris Harris e Duhan van der Merwe sono pretoriani conclamati di capitan Stuart Hogg, che ha voglia di alzare finalmente un trofeo dopo tanto onesto lavoro.

Il debutto con l’Inghilterra potrebbe regalare subito una grande soddisfazione e fungere da molla verso altre clamorose imprese: la Scozia non vince da 22 anni in Galles e da 12 in irlanda, poi in casa affronterà la Francia, che avrà il dente avvelenato dopo quanto successo nell’ultimo incrocio.

(Credits: Getty Image)

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