IL RITORNO IN CAMPO DI FLACHI: DODICI ANNI DOPO “CICCIO” HA RITROVATO IL CALCIO

Submitted by Anonymous on Mon, 02/14/2022 - 14:54
Hero image
Autore
Redazione
news date
News di tipo evento?
No

Dodici anni sono un soffio di vento per la mano che ha guidato milioni di anni di storia dell’umanità. Ma nella vita di un singolo individuo, 12 anni sono un tempo lungo che può stravolgere completamente abitudini e certezze. Chiedetelo a Pierdante Piccioni, il medico che in seguito a un incidente ha perso appunto 12 anni di ricordi dalla propria memoria, ispirando una serie di successo (Doc) che ogni settimana tiene milioni di italiani incollati alla tv.

Ma provate a chiederlo a Francesco Flachi, che a differenza di Piccioni quei 12 anni se li ricorda, eccome: sono parte integrante della sua vita, mostratisi però alla stregua di un incubo, eredità di un errore pagato a caro prezzo quando ancora era un calciatore professionista. Aveva 34 anni, Flachi, e stava aiutando il Brescia nel proposito di tornare in Serie A, che peraltro a fine stagione sarebbe stato coronato, ma dai suoi compagni.

Perché un controllo antidoping effettuato il 19 dicembre 2009 dopo la gara col Modena ebbe lo stesso effetto di un montante di Mike Tyson: era la seconda volta che veniva pescato dalla rete del doping, sempre per la stessa maledetta sostanza, cioè la cocaina. E le regole dell’epoca non ammettevano deroghe: la recidiva fa rima con 12 anni di squalifica. Quelli che però nessuno gli avrebbe mai tolto dalla mente.

L’IDOLO DELLA MARASSI DI FEDE BLUCERCHIATA

“Ciccio” Flachi è stato l’idolo di tutte le tifoserie delle squadre in cui ha militato. In fondo bastava guardarlo giocare per innamorarsene: in campo ha sempre fatto vedere giocate d’alta scuola, lampi di classe assoluta uniti a colpi di rara intelligenza, maestria e furbizia. A volte un po’ vanitoso, ma quello fa parte del gioco: è stato un numero 10 nell’epoca d’oro dei numeri 10, quella dei Baggio e dei Rui Costa, dei Mancini e dei Totti, dei Del Piero e dei Zola.

Lui spesso giocava seconda punta, altre volte persino esterno, ma in generale si è sempre sentito un adepto della fantasia che pervade le menti dei calciatori tutto genio e sregolatezza. La Fiorentina, prima di tutto: lui, originario di Firenze, sbocciato nelle giovanili dell’Isolotto e acquistato per 120 milioni di lire dalla Viola, appena retrocessa in B (era il 1993) ma subito pronta a scommettere sul suo talento.

La storia comincia bene, poi però arrivano i campioni (Batistuta e Rui Costa su tutti, ma c’erano già Baiano, Robbiati e Oliveira e più tardi sarebbe arrivato anche Edmundo) e lo spazio per lui si riduce a dismisura, tanto che nel 1999 decide di trasferirsi alla Sampdoria, appena retrocessa in B. A Genova scocca la scintilla: per sette stagioni e mezzo diventa l’idolo del popolo blucerchiato, trascinando la squadra in A e a un passo dalla qualificazione alla Champions, arrivando a segnare 110 reti (solo Vialli e Mancini lo precedono nei libri di storia del club).

L’idillio viene interrotto solo alla fine del 2006 dalla prima positività alla cocaina, che gli costa due anni di squalifica. Quando ritorna arruolabile, è l’Empoli a dargli una chance: il rodaggio è buona ma in Toscana resta solo una stagione prima di trasferirsi al Brescia, dopo le cose sembrano andare nel verso sperato, fino alla seconda positività e alla relativa maxi squalifica di 12 anni. Praticamente alla fine del 2009 Flachi dice basta col calcio professionistico. Ma la sua battaglia è solo all’inizio.

LA PARTITA DELLA VITA

Perché una volta che si spengono le luci dei riflettori, ecco che bisogna trovare il modo di accendere l’interruttore della stanza dove si vive ogni giorno. “Ciccio” capisce che si sta buttando via: promette a se stesso di voler cambiare vita e ci riesce per davvero, aprendo un’attività di ristorazione con l’amico Luca Saudati. È un percorso tortuoso, ma che lo vede uscire vincitore.

Così nell’estate del 2021, quando la squalifica è ormai agli sgoccioli, gli viene voglia di tornare in campo: si allena con il Signa, squadra di Eccellenza, aspettando solo il momento giusto per riprendere il suo posto in campo. Il Covid ci mette lo zampino, ritardando di qualche settimana l’appuntamento, ma un mese in più d’attesa dopo 144 mesi da reietto del pallone (non poteva nemmeno accedere a un impianto sportivo) è nulla in confronto alle sofferenze che ha dovuto patire. Il gran giorno finalmente arrivata una domenica di metà febbraio, avversario il Prato 2000: sugli spalti centinaia di curiosi accorsi per salutare il ritorno di “Ciccio”, e qualche decina di telecamere pronte a immortalare l’evento.

Flachi sceglie la maglia numero 14, anno di fondazione del Signa, il club che gli ha dato una chance che non vuole essere solo simbolica. In tribuna ci sono tanti amici, anche Walter Alfredo Novellino, il tecnico col quale alla Samp fece cose meravigliose. È emozionato, Flachi, anzi frastornato, dirà dopo la partita: non dormiva da giorni, ma in quella mezzora in cui resta in campo, come concordato col tecnico e i compagni, ritrova le stesse sensazioni di un tempo.

Non sapevo cosa aspettarmi, ma è stato bellissimo. Non conta il palcoscenico: mi sono sentito di nuovo un giocatore, e questa è l’unica cosa che conta. Avevo fatto una promessa a me stesso e sono felice di averla mantenuta. Cosa farò adesso? Fino a maggio penso a giocare, a dare una mano alla squadra, e vediamo come va. Poi ho in mente di cominciare il corso da allenatore e costruirmi una nuova carriera nel mondo del calcio.

Quel mondo che sente anche suo e che dopo 12 anni d’esilio lo ha accolto col sorriso e la spensieratezza di un tempo. Non è arrivato il gol, ma quella oggi era la cosa meno importante di tutte. Bentornato, “Ciccio”. E complimenti per aver vinto la tua partita con la vita.

(Credits: Getty Image)

Template News
Post
Fonte della news
SN4P
Sport di Riferimento
Calcio