BARCELLONA-NAPOLI, IL DERBY DI MARADONA: SFIDA SEMPRE SPECIALE

Submitted by Anonymous on Thu, 02/17/2022 - 13:07
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Redazione
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Nel segno del Diez. E forse anche qualcosa di più. Perché Barcellona e Napoli sono davvero i luoghi del cuore di Diego, nel bene e nel male. Piazze che l’hanno adorato come si fa davanti a una divinità, specie nella terra partenopea, dove più del Vesuvio è stata la classe e l’inarrivabile grandezza di Maradona a incendiare lo spirito dei napoletani. Barcellona però è stata il degno prologo di ciò che sarebbe stato: un mondo latino nel quale Diego seppe identificarsi a meraviglia, opposto al potere franchista rappresentato dal Real, incarnando perfettamente il ruolo di capopopolo in una Catalogna rimasta orfana di Cruyff.

E in quell’ambiente è cresciuto un po’ del Maradona che sarebbe poi arrivato a Napoli, con la sfrontatezza e l’avversione al potere, con quella faccia da moderno Robin Hood che ruba ai ricchi (del Nord) per dare ai poveri (del Sud). Il campo, questo ha raccontato. Ma una volta spenti i riflettori del “Camp Nou” o del “San Paolo”, il buio avrebbe comunque presentato il conto.

Perché Barcellona e Napoli sono state anche le piazze che hanno portato Diego fuori strada, tra frequentazioni sbagliate e tentazioni di ogni tipo. Fatti utili per alimentarne il mito, anche se agli appassionati di calcio non è mai interessato più di tanto cosa facesse El Diez fuori dal rettangolo verde. A loro bastava innamorarsene ogni domenica dagli spalti. E questa, in fono, è l’eredità più bella.

LA CATALOGNA DI DIEGO, UN BIENNIO TEMPESTOSO

Quando Diego nel 1982 sbarcò a Barcellona, quella città da poco gli aveva dato un enorme dispiacere: l’eliminazione dell’Argentina nel girone di quarti di finale del mondiale di Spagna avvenne proprio nella città catalana, con Italia e Brasile carnefici dell’albiceleste. Il trasferimento si rese necessario per via dei guai finanziari del Boca Juniors e il Barça fu scaltro nell’approfittarne.

Invero in Europa da tempo gli avevano messo gli occhi addosso: lo voleva lo Juve, ma la famiglia Agnelli decise di non affondare il colpo per non rischiare di generare malumore all’interno della Fiat, che all’epoca aveva problemi sindacali importanti e avrebbe faticato a giustificare un grosso esborso economico per un simile giocatore. Il biennio in blaugrana regalerà poche gioie e tanti dolori.

Comincia sotto la guida del tedesco Udo Lattek, che come logica vuole predilige una squadra di “soldatini” nella quale estro e fantasia, se non proprio assenti, sono comunque ritenuti non essenziali. Maradona parte bene, il “Camp Nou” è ben presto ai suoi piedi, poi però un’epatite lo costringe a star fuori nel momento cruciale della stagione e la Liga prende una via diversa da quella che conduce in Catalogna. Gli resta come palcoscenico la Copa del Rey, che il Barça vince superando in finale il Real Madrid.

Nel frattempo in panchina è arrivato Luis Cesar Menotti, che naturalmente affida le chiavi della squadra a Diego: la seconda stagione comincia con rinnovate ambizioni, ma il 24 settembre 1983 nella gara contro l’Athletic un terribile intervento di Andoni Goikoextea gli manda in frantumi la caviglia sinistra.

Maradona si fa operare ma pretende che nella riabilitazione si faccia seguire da Ruben Oliva, un guru argentino che non piace al presidente del Barça Nunez, che acconsente ma imponendo a Diego di rinunciare allo stipendio finché non sarebbe tornato in campo. El Diez fa di testa sua e dopo 106 giorni torna in campo, portando di nuovo i compagni in finale di coppa. Ma stavolta è l’Athletic a imporsi per 1-0 e la rissa che scatta nel finale di partita è l’ultima immagine di Maradona in maglia blaugrana. Si becca tre mesi di squalifica, ma non la sconterà mai perché nel frattempo salperà verso Napoli, portandosi dietro un talento smisurato e una vita fuori dal campo con qualche vizio di troppo.

L’EPOPEA AZZURRA, LA RIVINCITA DEL SUD

Per uno come Diego, nel 1984 Napoli rappresenta un approdo ideale. È una città libertina, forse la più spregiudicata d’Italia. E la sua investitura a re è immediata: al “San Paolo” in un caldo pomeriggio di luglio lo accolgono in 60mila. La società di Ferlaino si mostra ambiziosa, ma il percorso per arrivare a colmare il gap con le grandi del nord non è breve. Nelle prime due stagioni Maradona regala perle di ineffabile bellezza e avvicina sensibilmente il Napoli ai piani alti della classifica.

E i frutti della semina li raccoglie nel 1986-87, quando i partenopei confezionano un meraviglioso double vincendo campionato e Coppa Italia, cancellando decenni di delusioni del calcio del sud ed entrando di diritto nella leggenda. La città impazzisce, Maradona (che nel frattempo aveva condotto l’Argentina al titolo mondiale) è come un dio sceso in terra. Si spendono milioni di parole per un’impresa epica, non ripetuta l’anno successivo solo perché arriva il Milan di Sacchi e di Gullit a riprendersi il trono, e poi toccherà all’Inter dei record del Trap.

Il Napoli però vincerà una Coppa UEFA e poi, nel 1989-90, il secondo scudetto, stavolta in rimonta sul Milan, che ha il sapore di una vendetta. L’idillio con Napoli, intesa come città, è però in dirittura d’arrivo: Maradona è sempre più schiavo dei suoi eccessi e della sua smisurata fama, che in un luogo come quello partenopeo fatica a trovare un suo equilibrio.

La droga, i legami con le famiglie della malavita e le incomprensioni con Ferlaino lo portano sull’orlo del precipizio: fino alla squalifica per doping e all’addio di soppiatto in una notte di marzo del 1991 è una lenta agonia. Maradona tornerà anni dopo a Napoli e verrà comunque trattato da re. Anche nel giorno della sua scomparsa, nessuna città saprà rendergli un tributo migliore, neppure Buenos Aires. Perché il tempo cancella i brutti ricordi, e di Diego oggi si tengono a mente solo quelli belli.

SPALLETTI SI GIOCA SUBITO LA CARTA OSIMHEN

Barcellona-Napoli è anche e soprattutto la partita di Diego. Che verrà ricordato, com’è giusto che sia, di fronte a una platea che non mancherà di rendergli il giusto tributo. A Napoli sognano di rendergli omaggio con una grande partita, e perché no, continuando a cullare fino all’ultimo il sogno di uno scudetto che manca proprio dai tempi di Diego.

Lo vorrebbe Lorenzo Insigne, che non ha il 10 sulla schiena (non se n’è mai sentito degno) ma in una certa misura ne è oggi l’erede naturale (con le dovute proporzioni), che pure ha già deciso di salutare a fine stagione. Comunque vada, per il Napoli questa non sarà una notte come le altre, e l’incrocio col Barça mai alla stregua di uno come tanti. E poco importa se Xavi, che ha “festeggiato” i primi 100 giorni da allenatore blaugrana, non ha a disposizione quello sconfinato stuolo di fuoriclasse che nel decennio scorso hanno terrorizzato l’Europa e il mondo (Messi del resto è a Parigi…).

Stasera alle 18,45 (diretta SkySport e Dazn) sarà comunque una notte grandi firme: Spalletti se la giocherà con Osimhen davanti, seppur non al meglio (ha saltato la rifinitura, ma sarà in campo dall’inizio), Xavi forse con Luuk De Jong prima punta, rimandando Ferran Torres sulla fascia (a quel punto in panchina scivolerebbe Traorè, con Gavi a completare il tridente). Non sarà una serata Champions ma ci va molto, molto vicino. Naturalmente, nel nome del Diez.

BARCELLONA-NAPOLI, LE PROBABILI FORMAZIONI

BARCELLONA (4-3-3): Ter Stegen; Dest, Piqué, Garcia, Jordi Alba; Pedri, Busquets, F. De Jong; Traoré, Ferran Torres, Gavi. All.: Xavi.

NAPOLI (4-2-3-1): Meret; Di Lorenzo, Rrahmani, Koulibaly, Ghoulam; Anguissa, Fabian Ruiz; Elmas, Zielinski, Insigne; Osimhen. All.: Spalletti.

ARBITRO: Kovacs (Romania).

(Credits: Getty Image)

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