NBA DISASTRO LAKERS, FORSE LA PEGGIORE STAGIONE DI SEMPRE

Submitted by Anonymous on Fri, 04/08/2022 - 12:40
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Redazione
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Riavvolgete il nastro e tornate a metà ottobre. È quello il periodo dei pronostici e delle previsioni da tavolo, delle sessioni di esperti (o presunti tali) in cui si prova a delineare ciò che accadrà da lì ai prossimi 8 mesi, convinti che in fondo basti guardare nel roster di una squadra per cercare di comprenderne il destino. Le variabili impazzite fanno parte del gioco, a cominciare da infortuni e possibili botti di mercato in grado di riequilibrare le forze in campo. Sbagliare, insomma, è nell’ordine delle cose, ma nessuno in quei giorni pensa ragionevolmente di poter considerare i Los Angeles Lakers fuori dal discorso per l’anello. La stagione precedente, quella in cui si erano presentati da campioni in carica, li aveva visti uscire al primo turno dei playoff contro i Suns ma al netto di un’annata disgraziata in cui infortuni e problemi di ogni tipo avevano minato certezze e ostacolato il cammino, acuita proprio nella serie contro Phoenix dall’infortunio di Anthony Davis. E fu allora che la franchigia decise di voler aggiungere una terza stella al tandem LeBron-Davis, individuata nel californiano doc Russell Westbrook, tanto da far esclamare a molti addetti ai lavori che con quei tre il 18esimo titolo di casa Lakers avrebbe potuto prendere decisamente le sembianze di un qualcosa di assai probabile.

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C’era invero chi manifestava qualche dubbio e perplessità, immaginando che trovare la chimica tra quei tre non sarebbe stato così semplice e scontato. E poi le cessioni di Harrell, Caldwell-Pope e Kuzma, considerati tutti superflui ai fini del risultato finale (ma forse con poca lungimiranza), unita a quella dolorosa di Caruso per motivi di spazio salariale, finirono per aumentare la diffidenza da parte di molti. Che pure mai si sarebbero sognati di prevedere per i Lakers una stagione senza playoff: era irragionevole pensarlo, a meno che LeBron, Davis e RW non avessero passato più tempo in infermeria che sul parquet. Cosa che a ben vedere è in parte successa, se è vero che assieme hanno giocato appena 21 partite (bilancio negativo: 10 vinte e 11 perse), ma non tale da spiegare e giustificare un flop di proporzioni bibliche. Perché mancare anche un posto al play-in, quella formula di ripescaggio che James tanto detesta che ma almeno lo scorso anno gli servì per riprendersi un posticino tra le prime 8, equivale a qualcosa in più di un fallimento sportivo. È un’ecatombe dirigenziale, anche se poi è risaputo che il mercato dei Lakers non è gestito in prima linea dalla franchigia, quanto piuttosto dall’agenzia Klutch Sports, che fa capo (strano ma vero) a LeBron. E le mosse per la costruzione del roster, inutile girarci intorno, sono state tutte sbagliate.

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Giusto allora partire proprio da qui nel tentativo di indagare sulle cause del clamoroso tonfo. Il mercato è stato da tragedia, con Westbrook che è andato a intasare il salary cap (e se accetterà la player option per il 2022-23 sarà anche peggio) e in generale sole tre conferme (James, Davis e Horton-Tucker) che hanno costretto il front office a reperire sul mercato veterani a basso costo (tra gli altri Carmelo Anthony, Trevor Ariza, Dwight Howard e Rajon Rondo) e altre pedine non all’altezza del compito loro assegnato, vedi Avery Bradley, Kendrick Nunn e DeAndre Jordan. Tolti Austin Reaves e Malik Monk, forse le uniche note liete della disastrosa annata purple and gold, il resto è quasi tutto da buttare. E coach Vogel ha faticato da matti a trovare una quadra, tanto da aver cambiato qualcosa come 39 quintetti titolari su 80 partite stagionali. Senza un’identità di gioco e di squadra e vistosi impossibilitato a trovare le giuste contromisure, il coach ha navigato a vista, cercando di estrarre dal cilindro soluzioni che pure non sono mai arrivate concretamente. Tolto LeBron, che ha chiuso la stagione a oltre 30 punti di media a partita (in 37’ di gioco: un minuto per ogni anno che porta sulle spalle…), per il resto nessuno ha saputo offrire un rendimento degno di tal nome: Davis perché spesso infortunato (appena 40 le gare giocate), Westbrook perché subito bersagliato dalla critica, tanto da lamentarsi anche per qualche minaccia ricevuta dal figlio a scuola, e finito prima in panca e in alcune gare anche fuori dalle rotazioni nei finali di partita. E gli altri big hanno fatto tutti una fatica immane. Le 8 sconfitte di fila incassate nell’ultimo mese dimostrano appieno il fallimento tecnico e sportivo cui i Lakers sono andati incontro.

LAKERS, DAVIS FRAGILE COME UN CRISTALLO, MA ANCHE LEBRON FATICA

Gli infortuni, certo, hanno avuto il loro peso: se Davis ha giocato appena 40 partite, LeBron s’è dovuto fermare a 56, e molte delle 24 sin qui saltate sono arrivate in momenti chiave della stagione. Del resto che Davis fosse piuttosto fragile non era una novità, tanto che c’è chi ha consigliato vivamente ai Pelinka di lasciarlo andare (NY farebbe carte false per averlo) risparmiando soldi e cercando prospetti più giovani e affidabili. James ha 37 anni, anche se a leggere i numeri stagionali non si direbbe. E non può pensare di essere eterno: la smisurata classe di cui dispone l’ha portato spesso a tirare la carretta per tutti, ma con uno del suo calibro dovrebbe essere piuttosto il contrario, almeno in regular season, per preservarlo poi in vista delle gare che contano. Chiaro che la pietra tombale sulle ambizioni dei Lakers sia coincisa col secondo infortunio di Davis, quello rimediato alla caviglia destra contro Phoenix a inizio febbraio. E dato che la trade deadline non ha portato nulla in dote, a quel punto l’andazzo s’era già capito da un pezzo. Anche se da qui a pensare di finire fuori anche dalla zona play-in ce ne passava.

LAKERS, LE PRESSIONI E IL SALARY CAP INTASATO: FUTURO A TINTE FOSCHE

Alla fine la colpa del disastro se l’è presa quasi tutta Westbrook. Almeno durante il cammino, e questa è stata oggettivamente un’accusa ingenerosa ed esagerata verso Brodie. Che ha le sue responsabilità, ma tante quante ne hanno i compagni (James incluso). Va da sé che la piazza di Los Angeles è da sempre esigente e tale da non perdonare il minimo errore: i fischi piovuti anche addosso al Prescelto a partire da fine febbraio in poi dimostrano che nessuno è esente dall’essere preso di mira, neppure se fa registrare numeri da MVP. Il problema dei Lakers è dunque anche l’ambiente che li circonda: dai tanti agenti che ronzano intorno, dalle uscite spesso sopra le righe dei Pelinka, dalle esternazioni di gente come Magic Johnson o Phil Jackson che con le loro parole fanno rotolare valanghe nei pressi della Crypto.com Arena. E tutta questa pressione non ha aiutato, specie quando c’è stato da forzare alcune situazioni (vedi il recupero affrettato di Davis) che hanno portato solo maggiori grane. Gli errori dell’estate scorsa, la mancata conferma di Caruso (al quale era stato offerto un contratto al ribasso: a Chicago guadagna più del doppio di quanto avrebbe guadagnato se fosse rimasto), addirittura la partenza di Rondo a febbraio hanno generato solo malcontento. E anche la gestione di Westbrook ha prodotto turbolenze: molti già prima di Natale si erano convinti che a febbraio avrebbe salutato tramite trade, poi però non se n’è fatto più nulla. E oggi il rischio è che il numero 0 potrebbe esercitare l’opzione di rinnovo per un’altra stagione, ingessando definitivamente il salary cap. Tanto che c’è chi è pronto a giurare che in quel caso in estate a fare le valigie potrebbe essere LeBron, anche se ad oggi appare una soluzione assai improbabile. Di sicuro il futuro resta nebuloso, perché senza una cessione eccellente è dura modellare un roster che costerà già 149 milioni per soli 7 giocatori. La smania di andare all in un’ultima volta, assecondando i desideri di James, rischia di aver generato un nuovo deserto dopo il decennio nefasto seguito alla vittoria nelle Finals 2010 contro Boston. Vogel pagherà per tutti, ma non è detto che sia l’unico. Anzi, così fosse sarebbe un’altra condanna, sportivamente parlando. Per giunta in un’epoca in cui a Ovest i valori si sono livellati, e dove con uno come LeBron non si può minimamente pensare di restare a guardare gli altri giocarsi il titolo.

(Credit: Getty Images)

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