VILLARREAL, FAVOLA CHAMPIONS: IL SOTTOMARINO GIALLO SI FA LARGO NEL MARE DELLE BIG

Submitted by Anonymous on Wed, 04/13/2022 - 14:26
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Redazione
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Tutti gli occhi dello stadio “El Madrigal” sono puntati su quel tracagnotto argentino dotato di un talento sconfinato, spesso un po’ limitato da una “cabeza”
 che come impone il copione sa essere genio e sregolatezza nel medesimo istante.

Ma Juan Roman Riquelme è uno che le responsabilità se l’è sempre prese: viene dal Boca Juniors, dal catino della “Bombonera” che in certi momenti dice di ritrovare nel piccolo gioiello che la proprietà del Villarreal ha voluto ampliare per contenere tutto l’entusiasmo del popolo vestito di giallo.

Non a caso la squadra è stata già ribattezzata il “Sottomarino Giallo”, prendendo spunto naturalmente dall’iconica “Yellow Submarine” che ha reso una volta più onniscienti i Beatles di fine anni ’60. E come un sottomarino il Villarreal si muove nei fondali profondi del mare del calcio continentale, decidendo però di riemergere in superficie in una primavera del 2006 che pare essere uscita dal mondo delle favole.

IL RIGORE DI RIQUELME, L’INCUBO DI UN POPOLO

Per completare la riemersione resta solo una manovra: realizzare il rigore col quale la formazione spagnola spedirebbe ai supplementari la semifinale di ritorno di Champions League contro l’Arsenal. Che all’andata a Londra, nell’ultima gara internazionale disputata ad Highbury, aveva vinto di misura, potendo così contare su due risultati su tre (o su una sconfitta con un solo gol di scarto ma con gol segnati) nella gara di ritorno. Missione compiuta fino al minuto 89, quando un fallo di Clichy ai danni dell’ex milanista Jose Mari consegna a Riquelme il rigore più importante della storia del club.

Quella palla non potrebbe finire in piedi migliori: è uno specialista, Roman, e il peso della pressione sulle spalle nemmeno lo avverte. La sfida con Jens Lehmann lo vede partire favorito, ma certi palloni pesano come macigni e possono contribuire a ribaltare certezze consolidate nel tempo. L’argentino apre il piatto col destro, ma il portiere tedesco si tuffa dalla parte giusta e, complice anche un bel balzo in avanti di almeno un metro (che oggi verrebbe subito smascherato col Var, portando alla ripetizione della conclusione), arriva senza difficoltà a respingere la sfera.

Riquelme, il fuoriclasse in mezzo a una squadra di onesti gregari, quello che gioca con l’8 sulla schiena solo perché la 10 era già sulle spalle del veterano e idolo locale Roger Garcia, ha fallito l’appuntamento con la storia. S’è visto chiudere il portone in faccia, lui come i 23mila che assiepano “El Madrigal”, che in un istante vedono andare in frantumi il sogno di conquistare la prima finale di Champions della loro storia, piombando letteralmente in un incubo. Un incubo che 16 anni più tardi ha offerto un’opportunità per farsi dimenticare.

FERNANDO ROIG, L’UOMO CHE HA RISCRITTO LA STORIA

Invero già lo scorso maggio una sorta di rito di liberazione si è compiuto a Danzica, teatro della finale di Europa League. Di fronte, ancora una volta, una squadra inglese. E siccome la sorte si diverte a fare scherzi, a decidere la contesa ha contribuito una serie infinita di calci di rigore, con un solo errore su 22 esecuzioni, quello del portiere spagnolo (ma di proprietà del Manchester United) David De Gea, ipnotizzato dal collega Geronimo Rulli che pochi secondi prima lo aveva trafitto dagli undici metri.

Quel giorno il mondo del calcio ha incensato la favola di una squadra che solamente 23 anni prima non aveva ancora messo piede neppure nel massimo campionato nazionale. Una squadra che ha bazzicato nei tornei di Segunda e Tercera Division per decenni, fino a che nel maggio del 1997 non finisce nelle mani di Fernando Roig, figlio di Francisco, un imprenditore che all’inizio degli anni ’70 aveva deciso prima di fondare un’azienda di ceramiche (Pamesa), quindi di trasformare le otto macellerie di cui era proprietario in piccoli supermercati (Mercadona), felice intuizione che nel tempo gli ha permesso di arrivare ad aprire oltre 1.600 punti vendita in tutta la Spagna, con un fatturato annuo di oltre 20 miliardi di euro.

Al suo arrivo promise di portare la squadra in Liga (e ci riuscì al primo colpo) e di centrare la qualificazione in Champions entro tre anni. Gliene sarebbero serviti 8, ma ai 50.000 di Vila-Real andava benone anche così. E tolta una disgraziata stagione chiusa con un’inopinata retrocessione (2011-12), subito ribaltata dall’immediata risalita dell’anno dopo, da allora le note del Submarino Amarillo hanno riecheggiato spesso e volentieri anche nelle notti europee.

SOSTENIBILITÀ ECONOMICA, PASSIONE E INGEGNO

Forse è un po’ lunga, ma debita era la premessa. Perché per capire cosa si celi dietro la grande impresa del Villarreal, sorprendente semifinalista di Champions dopo aver eliminato nientemeno che il Bayern di Lewandowski, non si può non ripartire dalle sue origini, dal suo vissuto, dal suo modo di fare calcio che esula un po’ dal metodo utilizzato dalle principali squadre spagnole.

Eppure è un modello vincente, almeno per quel che raccontano i numeri. Certo la concorrenza in patria non manca: Real, Barça e Atletico la fanno da padroni e certe cifre sono fuori dai parametri della piccola realtà valenciana, che il suo scudetto, per dirla alla Roig, lo conquista ogni anno a giugno quando il bilancio chiude in positivo, e senza che nessuno abbia messo un solo euro nelle casse societarie (sostenibilità economica e autofinanziamento sono la regola). Insomma, non vedranno mai certi giocatori con ingaggi a nove zeri a Vila-Real, ma hanno un gioiello da far invidia a tutta Europa, affidato da un paio di stagioni a questa parte alle sapienti mani di Unai Emery.

Che l’ha plasmato, ammodernato, aggiustato e spinto oltre i propri limiti. Non l’ha discostato molto dalla tradizione, perché Villarreal negli anni è stato sinonimo di 4-4-2, sin dai tempi in cui Manuel Pellegrini lo portò a competere con le migliori squadre del continente, e così poi anche con Marcelino negli anni della ripartenza dopo la caduta in Segunda. Un 4-4-2 però moderno, quello disegnato da Emery, che fonda la sua forza sulla solidità difensiva ma anche sulla capacità di ripartire e far male all’avversario sfruttando la velocità dei propri interpreti. Ma che affonda soprattutto le radici sulla capacità del club di scovare giovani talenti e predisporli per diventare grandi in fretta.

GIOVANI, MA NON SOLO: IL GIUSTO MIX

Prendete gli ultimi due esempi: Yeremi Pino e Samuel Chukwueze. Il primo è l’esatta rappresentazione di cosa significhi saper pescare bene nelle categorie inferiori, avendo acquistato a soli 17 anni appena dopo che aveva lasciato le Canarie, la terra nella quale è nato nel 2002. Il secondo magari è più noto, e certo lo sarà ancora di più adesso che con il gol segnato all’Allianz Arena ha estromesso il Bayern dalla Champions: classe 1999, è stato prelevato direttamente in Nigeria in un’accademia locale ad appena 18 anni e in poco tempo ha fatto tutta la trafila dalle giovanili alla prima squadra.

L’area scouting nel tempo ha saputo attingere molti altri talenti, rispettando appieno una filosofia che vede oggi il Villarreal in grado di rigenerare o far sbocciare definitivamente elementi dal talento indiscusso, ma che altrove magari hanno finito per perdersi un po’ e smarrire la via. È il caso di Geronimo Rulli, portiere passato anche dal City a metà del decennio scorso, ma che solo a Castellon ha trovato la sua consacrazione.

Oppure dei difensori Raul Albiol (ex Napoli) e Alfonso Pedraza, perni insostituibili di Emery, che può anche godere dell’eterna giovinezza della bandiera Pau Torres, Se poi cercate un pretoriano convinto, quello non può che rispondere al nome di Dani Parejo: l’ex Valencia s’è unito al Submarino Amarillo nell’estate del 2020, proprio in concomitanza con l’arrivo del tecnico, e da allora è diventato un leader spirituale, emotivo e caratteriale in mezzo al campo.

Ma è sugli esterni che il Villarreal può fare davvero la differenza: Chukwueze, Pino, Albert Moreno, Coquelin e Lo Celso (quest’ultimo un po’ adattato nella posizione, ma sin qui con profitto) sono armi in grado di far male a qualsiasi difesa. Al resto poi pensa l’attacco: Gerard Moreno è il goleador principe, ma quella di Emery somiglia più a una cooperativa del gol, al punto che Arnaut Danjuma (altro gran colpo pagato a costi relativamente bassi, pescato dal Bornemouth e già autore di 14 gol in stagione, due più di Moreno), Manu Trigueros e Boulaye Dia hanno contribuito abbondantemente alla causa.

SARÀ ANCORA EMERY CONTRO KLOPP, COME SEI ANNI FA?

La filosofia del club spagnolo è rimasta costante nel tempo, quasi come segno distintivo che non può essere estrapolato dal suo contesto. La seconda semifinale di Champions della storia, a 16 anni dalla prima, rappresenta un altro mattoncino da consegnare alla leggenda del calcio iberico, che al netto dei soldi in arrivo dal fondo CVC e del dominio comunque collaudato e incontrastato dei tre club principali del paese sa offrire anche racconti che profumano di un calcio antico e non per forza piegato alle logiche del mercato.

Se l’avversario sarà il Liverpool, cosa abbastanza probabile visto il 3-1 col quale gli inglesi hanno vinto all’andata in casa del Benfica, ci sarà l’occasione per vendicare l’eliminazione del 2006 e per cancellare dalla memoria una volta per tutte il rigore fallito da Riquelme. E l’occasione sarebbe buona anche per un’altra vendetta: sei anni fa fu proprio il Liverpool a eliminare il Villarreal in semifinale di Europa League, edizione poi vinta come al solito dal Siviglia guidato in panchina da Unai Emery contro i Reds guidati già allora da Jurgen Klopp.

Un dejavu che potrebbe far piacere al tecnico, ma che soprattutto dovrà andare incontro ai sogni e alle speranze del popolo giallo, che in Liga sta vivendo un’annata avara di soddisfazioni, lontano dalla zona Champions (è settimo a 11 punti dal quarto posto) e dunque condannato ad alzare la coppa dalle grandi orecchie per centrare il proposito di ripresentarsi al via della massima competizione europea anche nella prossima stagione, dopo che proprio in virtù del trionfo in Europa League dell’anno passato è arrivata la qualificazione all’edizione corrente.

Una cenerentola in mezzo a squadra da fatturati monstre, ma che per quanto possano essere intrise di blasone e di storia non potranno mai ambire a quell’aurea di miracolo sportivo di provincia propria del Villarreal, emblema di una cittadina di meno di 50.000 abitanti che sogna di diventare la capitale del calcio continentale.

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