NBA PLAY OFF, CORSA ALL’ANELLO: DA PASQUA LE SFIDE CHE VALGONO UNA STAGIONE

Submitted by Anonymous on Sat, 04/16/2022 - 12:43
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Redazione
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Metà aprile in NBA significa mettere la testa a posto. Ma anche allacciare le scarpe, alzare il livello, sgombrare via la testa da qualsivoglia pensiero che non abbia a che fare con ciò che accade sul parquet. Non che fino ad oggi sia stato tutto uno scherzo, ma le partite che contano, quelle da dentro fuori, cominciano adesso.

E la magia dei play-off è pronta a monopolizzare l’attenzione di milioni di appassionati sparsi in tutto il mondo, desiderosi solo di conoscere il nome della squadra che succederà nell’albo d’oro delle Finals ai Milwaukee Bucks. Che magari saranno gli stessi Bucks, tra le formazioni più in vista di una post season che si preannuncia combattuta ed equilibrata come da tempo non la si ricordava.

Senza un vero favorito e con almeno 5-6 pretendenti credibili per conquistare l’anello e consegnare il proprio nome nella storia del gioco. I play-off però sono soprattutto il momento di massima esaltazione del talento dei singoli, che spesso fa risplendere di vera luce quello dell’intero roster. Insomma, si comincia a fare davvero sul serio, quasi senza più margini d’errore.

E passato lo “sconforto” di chi non vedrà al via i Lakers di LeBron, Davis e Westbrook, di certo non ci sarà da annoiarsi troppo. Fare pronostici non è mai semplice, ma è lecito provarci: ecco allora in rassegna tutte le 8 sfide del primo turno, con la griglia completata nella notte dai successi esterni di Hawks (a Cleveland) e Pelicans (a LA con i Clippers) nelle due gare decisive del play-in.

MIAMI-ATLANTA, YOUNG SFIDA LA REGINA DELL’EST

Miami s’è preso la vetta dell’Est dopo un confronto piuttosto serrato che ha coinvolto almeno altre tre formazioni. E avere il vantaggio del campo in tutte e tre le serie che si giocheranno a Est (lo avrebbero anche se dovessero arrivare alle Finals contro avversario che non fossero Suns o Grizzlies) è comunque qualcosa di cui far tesoro.

Il primo accoppiamento però non è scevro da preoccupazioni, perché Atlanta è entrata nei play-off dalla porta di servizio grazie a un mirabolante Trae Young (38 punti, di cui 32 nella ripresa, nel golpe di Cleveland della notte scorsa) e grazie alla ritrovata coralità di un roster che nonostante sia falcidiato dai problemi (Capela ha un problema a un ginocchio, Collins spera di rientrare almeno per gara 3, e pure Lou Williams salterà almeno le prime due partite) non vale certo la nona posizione a Est.

Atlanta chiederà tanto a Danilo Gallinari, che diventa fondamentale pensando proprio alle assenze di Capela e Collins, ma che sarebbe ben felice di non doversi ritrovare contro almeno in gara 1 Bam Adebayo, che attende di capire quando riuscirà a negativizzarsi per poter tornare di nuovo in campo.

Miami nell’ultima settimana ha rimesso gli ingranaggi al loro posto: Butler è tirato a lucido, Herro in uscita dalla panchina sa fare molto male alle difese avversarie, Lowry ha l’esperienza per potersi rendere utile alla bisogna. Occhio alle stats: gli Heat tirano male dalla lunetta (76% contro l’82% di Atlanta) ma tirano meglio dal campo (45% contro 42%). Sulla carta è sfida totale tra Butler e Young, ma la differenza la faranno i rimbalzi. E se Adebayo non dovrà scornarsi con Capela o Collins, per gli Hawks sarà durissima.

BOSTON-BROOKLYN, QUESTA VALE GIÀ QUANTO UNA FINALE

In un modo ipotetico, quello che di solito prende forma a inizio stagione, Celtics-Nets poteva benissimo essere una degnissima finale a Est. Invece una delle due dovrà salutare i play-off già a fine aprile, ed è un controsenso vedendo i roster a libro paga. Scontato dire che sia la sfida più attesa: Boston ha chiuso la RS con una crescita esponenziale, trascinata da Jayson Tatum e Jaylen Brown, ma trovando adeguato sostegno da tutte le pedine che ruotano loro attorno.

Brooklyn ha vissuto un’annata complicatissima, ma a differenza di quanto fatto dai Lakers a Ovest almeno si è salvata, arpionando i play-off grazie al play-in. E sebbene sia testa di serie numero 7, è chiaro che i numeri mentono: con Irving pienamente recuperato e Durant di nuovo in missione, Steve Nash può solo sperare di trovare strada facendo anche il contributo di Ben Simmons per avere finalmente in mano un mazzo di carte completo.

Simmons non gioca da un anno, ma se dovesse scendere sul parquet causerebbe un terremoto nella serie. Boston peraltro ha un problema: Robert Williams III è fuori almeno fino alla prossima settimana, il che equivale a sobbarcare Theis di minuti e responsabilità che il lungo tedesco potrebbe accusare. Se le stelle sono note a tutte, occhio allora alla capacità dei gregari di incidere: Smart dovrà prendere in consegna Irving, Bruce Brown dovrà stanare la falle difensive di Boston dando ulteriore spazio di manovra a Kyrie e Durant.

E Patty Mills potrà portare il suo immenso bagaglio di esperienza per guidare la seconda unit dei Nets. Che se manterranno fede alle attese potrebbero realmente fare il colpaccio. Eppure questa ha tutta l’aria di essere una serie con epilogo in gara 7…

MILWAUKEE-CHICAGO, GIANNIS HA RIUNITO I SUOI PRETORIANI

Fino a gennaio Chicago era la vera rivelazione dell’NBA. Una squadra costruita con criterio e raziocinio, capace di superare lo scetticismo iniziale e issarsi con merito al vertice della Eastern Conference. Poi però è arrivata la Buriana, tra infortuni (Caruso, LaVine e soprattutto Lonzo Ball) e problemi vari che hanno fatto scivolare i Bulls addirittura al sesto posto.

Billy Donovan le ha provate tutte per tenere dritta la barra, ma la sensazione è che il solo DeRozan (spesso immarcabile in stagione) potrebbe non bastare al cospetto dei Bucks, che sono partiti lentamente ma che strada facendo hanno trovato ritmo, canestri e quella profondità di roster che già lo scorso anno ha permesso loro di mettersi l’anello al dito.

Giannis è bello carico (55% dal campo in RS, 29.9 punti di media a partita più 11.6 rimbalzi: numeri da MVP), pronto a difendere il trono da eventuali usurpatori. Ma non è affatto da solo: Middleton e Holiday sono pretoriani affidabili, e in più è tornato Brook Lopez a dare una mano sotto canestro, oltre a Bobby Portis e a Serge Ibaka.

Chi dovrà prendere in consegna i lunghi di Milwaukee è Nikola Vucevic, che pure rischia di finire nel tritacarne, a meno che Tristan Thompson non alzi il livello come gli era riuscito di fare 6 anni fa a Cleveland. Ci fosse stato Ball sarebbe stata un’altra storia: i Bucks si sono persino permessi il lusso di “scegliere” chi affrontare al primo turno, perdendo l’ultima gara di RS a Cleveland pur di evitare Durant al primo turno. Evidentemente hanno fatto i loro calcoli, e a prima vista nemmeno così sbagliati.

PHILADELPHIA-TORONTO, ATTACCO CONTRO DIFESA

Attacco contro difesa. Un po’ banale come dissertazione, ma in fondo non c’è nulla di più esplicativo nel provare a presentare la sfida tra Phila e Toronto. Due squadre agli antipodi: la prima totalmente votata a fare la differenza nella metà campo avversaria, con Embiid che più di Harden (che spera almeno di redimersi nei play-off dopo un’annata sin qui decisamente sottotono) chiamato a far muovere la retina, più Maxey a rimpolpare lo score.

La seconda decisamente più votata a difendere, con Siakam tornato a esprimersi su livelli eccelsi e quel furetto di VanVleet che quando è in giornata fa vedere i sorci verdi ai diretti avversari. E poi ci sono Anunoby (che quando è mancato s’è visto, eccome: dal suo ritorno, cioè da fine marzo, viaggia con oltre il 60% da tre punti) e Scottie Barnes, che più che una rivelazione sembra ormai una certezza. Soprattutto, però, hanno Gary Trent jr., spesso determinante tanto in difesa, quanto in attacco.

Magari Doc Rivers ha un roster qualitativamente più eccelso, ma non per questo superiore ai Raptors, che sono giovani ma sanno già cosa significhi fare strada nella post season. E che avranno minore pressione addosso, perché in fondo la scelta dei Sixers di andare all in con l’aggiunta a roster di Harden li obbliga a non poter concedersi la benché minima sbavatura. Fondamentali saranno le prime gare della serie: dovessero ribaltare il fattore campo, contro Siakam e compagni poi sarebbe dura scendere a patti…

PHOENIX-NEW ORLEANS, I SUNS VOGLIONO ACCECARE I RIVALI

Sono belli, carichi, riposati e lucidati come si conviene quando si va a un evento davvero speciale. Che per i Phoenix Suns è rappresentato dalla corsa all’anello 2022: la delusione per la rimonta subita lo scorso ad opera dei Bucks è stata smaltita in buona parte, ma mancherebbe ancora un gradino per cancellarne il ricordo dalla mente.

E Chris Paul e compagni lo hanno fatto capire durante tutta la RS, dominata al punto da potersi permettere di entrare in gestione delle risorse a disposizione già a partire dalla pausa per l’ASG. Phoenix è una squadra conscia dei propri mezzi, capace di tirare fuori più soluzioni in corso d’opera e certa di aver imparato la lezione dell’anno passato.

Paul a 37 anni vuole prendersi quell’anello che ha inseguito una vita e ha fatto davvero le cose perbene: al netto dell’infortunio subito a fine febbraio, dal quale s’è ripreso egregiamente, ha guidato la squadra verso il miglior record della lega mettendo tutti nelle condizioni di rendere al meglio. Ayton sotto canestro è una certezza, benché ha saltato un terzo delle partite stagionali (ma ora è ok), Booker è lo scorer che tutti i coach vorrebbero allenare (26.8 punti e quasi il 47% dal campo).

E poi ci sono Bridges, Crowder e Payne, gente abituata a sgomitare in ogni zona del campo. Di contro c’è da dire che i Pelicans si sono presi i play-off con grande ostinazione, risalendo la corrente in un finale di RS vissuto decisamente a rotta di collo. Hanno saputo cancellare lo spettro del mancato ritorno di Williamson (che si diverte a schiacciare negli allenamenti, ma in campo nessuno lo vede…) e si sono compattati intorno al talento di Brandon Ingram e alla consistenza di CJ McCullom, che da quando è sbarcato a NOLA ha fatto decollare le ambizioni dei Pels. Che chiederanno gli straordinari a Valanciunas, chiamato a limitare Ayton sotto le pance, e magari pure a Larry Nance jr., decisivo nel successo sui Clippers con ben 16 rimbalzi a referto. Suns strafavoriti, ma le insidie non mancheranno.

MEMPHIS-MINNESOTA, LA NUOVA GIOVENTÙ AL POTERE

Di tutti i pronostici che si potevano azzeccare prima del via della stagione, questo oggettivamente era il meno probabile. Perché Memphis alla numero 2 a Ovest è già una sorpresona, così come Minnesota alla 7 non era per nulla scontato. Squadre giovani, smaliziate e senza nulla da perdere. O forse i Grizzlies qualcosina ce l’hanno da perdere, perché adesso che si ritrovano così ben piazzati sanno di non poter sciupare l’opportunità che il destino ha loro concesso.

Ja Morant è un fuoriclasse assoluto, destinato a prendersi la scena per i prossimi 10 anni, ma intorno a lui coach Jenkins (che piace ai Lakers…) ha trovato la quadra costruendo un gruppo giovane, ma che sa il fatto suo: Desmon Bane è salito di livello (18 punti abbondanti a partita), Jaren Jackson jr. ha fatto altrettanto, Dillon Brooks non è stato da meno.

E poi c’è Steven Adams che sotto canestro è un ossesso: toccherà a lui prendere in consegna Karl Anthony Towns in quello che si preannuncia come un duello rusticano degno dell’NBA dei padri nostri. I Wolves però hanno le loro belle carte da giocare: intanto D’Angelo Russell, che ha vissuto la sua miglior annata da quando è sbarcato a Minnesota in termini di assist (7.1) e di palle perse (appena 2.5).

E poi Anthony Edwards, che ha dimostrato strada facendo che il front office ha pescato bene quando l’ha voluto prendere alla numero 1 nel draft del 2020. Un fattore nella serie però potrà esserlo Pat Beverly: l’ex Clippers ha portato un po’ di sfacciataggine in uno spogliatoio altrimenti un po’ timidino, e quando scende in campo si fa sentire per personalità e carisma. Serie atipica ma aperta a più soluzioni: Memphis leggermente favorita, ma non così tanto come la classifica vorrebbe far credere.

GOLDEN STATE-DENVER, IN PRATICA JOKIC CONTRO TUTTI

Senza Steph Curry i Warriors sono una franchigia come un’altra. E anche senza Klay Thompson la musica è sostanzialmente la stessa, e l’hanno scoperto sulla loro pelle nell’ultimo biennio. Cosa può augurarsi Steve Kerr prima del via dei play-off? Che tutti i big stiano bene, e a quanto pare l’infermeria ha deciso di rilasciarli tutti assieme.

Torna Curry, assente da un mese, e ci sono sia Klay che Green, tirati a lucido per la post season. E poi Wiggins, che quando è servito ha tirato la carretta, e Looney che dovrà cercare di limitare (una parola!) quel mostro di bravura, tecnica e imprevedibilità (e centimetri) che risponde al nome di Nikola Jokic.

Però il serbo ha i suoi bei problemi: intanto è piuttosto solo, in quanto Jamal Murray e Otto Porter jr. sono fuori per il resto della stagione e il loro apporto avrebbe fatto non comodo, piuttosto la differenza. Chiaro che con queste premesse (Jokic contro tutti) a Golden State basterà fare bene le cose di casa (quindi tenere percentuali adeguate dal campo e poi raddoppiare sistematicamente il joker) per garantirsi il passaggio del turno.

A meno che Curry non abbia affrettato i tempi del rientro, e Thompson dimostri che dopo due anni e mezzo di stop il ritmo dei play-off potrebbe rivelarsi indigesto, oppure Green ne combini qualcun’altra delle sue. Insomma, i Warriors hanno molto da perdere, ma sono comunque al posto di guida.

DALLAS-UTAH, IL POLPACCIO DI DONCIC È L’AGO DELLA BILANCIA

Più che sul parquet, gli occhi del popolo di Dallas sono rivolti verso la porta dell’infermeria. Quella dove è passato Luka Doncic a inizio settimana, e da dove non si sa ancora quando lo sloveno uscirà. Mavs-Jazz non solo comincia, ma forse addirittura finisce anche qui: perché se Doncic non potrà essere della serie (gara 1 sicuramente lo vedrà out, poi chi vivrà vedrà: ha uno stiramento al polpaccio, ma l’entità la conoscono solo quelli dello staff medico della franchigia texana) Utah si ritroverebbe servita su un piatto d’argento la chance di accedere senza grossi problemi al secondo turno.

Perché Dallas non avrebbe modo di compensare l’assenza del suo leader nella metà campo offensiva, e di conseguenza la vita per i vari Mitchell, Bogdanovic e Conley risulterebbe molto più agevole. Chiaro poi che in difesa uno come Rudy Gobert fa comodo: toccherà a Dwight Powell cercare di arginarne lo strapotere sotto canestro (in entrambi i lati del campo), ma senza Doncic tutto quel lavoro rischierebbe di andare perso.

Vero è che i Mavs da gennaio in poi hanno cambiato marcia, facendo registrare un 35-12 di record che li ha posti appena sotto ai Suns per rendimento. Ma c’era Luka Magic, senza il quale questa squadra perde molto del suo valore. Realisticamente lo sloveno rientrerà nel corso della serie: magari in gara 2 (forzando la mano), più verosimilmente da gara 3, quando si comincerà a giocare a Salt Lake City. Magari però giocherà anche gara 1, con tutti i rischi del caso.

Dallas ha fatto tanto per arrivare fino a questo punto e pensare di doversi separare anche solo per una sera dalla sua guida potrebbe risultare decisivo ai fini dell’esito finale. Anche perché i Jazz sono una brutta gatta da pelare, ma col vizio di andare spesso a corrente alternata…

Questo il programma completo di gara 1, tutto spalmato nel week-end di Pasqua:

Sabato 15 Aprile

Dallas-Utah (ore 19), Memphis-Minnesota (ore 21,30), Philadelphia-Toronto (ore 24), Golden State-Denver (ore 2,30)

Domenica 16 Aprile

Miami-Atlanta (ore 19), Boston-Brooklyn (ore 21,30), Milwaukee-Chicago (ore 0,30), Phoenix-New Orleans (ore 3)

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