ALEJANDRO VALVERDE, “EL BALA” A 42 ANNI È ANCORA UN VINCENTE

Submitted by Anonymous on Tue, 04/26/2022 - 12:43
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Redazione
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Che volete che siano 42 primavere per uno che di nome fa Alejandro e di cognome Valverde? Per lui, in fondo, il tempo e l’età sono meri dettagli. Perché ce lo sapreste vedere voi un corridore di 42 anni che arriva con il gruppo dei migliori alla Freccia Vallone e alla Liegi-Bastogne-Liegi?

Nel ciclismo moderno, quello fatto di computer e calcolo dei watt in tempo reale, di selle ammortizzate per rispondere alle sollecitazioni di un pavé o di una piccola sconnessione a centro strada, di freni a disco e ruote lenticolari o di dimensioni ridotte, tutto si potrebbe immaginare, meno che un “vecchietto” terribile capace di tenere il passo dei big su alcuni degli arrivi più esigenti e al tempo stesso massacranti del circuito internazionale. E invece “El Bala” va ancora che è un piacere: avrebbe tutto il diritto di starsene seduto sul divano, comodo e rilassato a godersi quello spettacolo che fino a pochi anni fa lo vedeva attore protagonista. E se ne sta ancora lì in sella, pronto a dare battaglia, a incutere timore negli avversari che magari si fermano a riflettere sul fatto che potrebbe essere tranquillamente un padre per molti di loro, ma che invece è ancora adesso un rivale da non prendere per nessuna ragione al mondo sottogamba.

A HUY L’ENNESIMA DIMOSTRAZIONE DI GRANDEZZA

L’Embatido, come lo chiamano nella “sua” Spagna, ha compiuto per davvero 42 anni. Ma Valverde in fondo è cittadino del mondo: lo amano allo stesso mondo nella regione di Murcia, quella che gli ha dato in Italia, come in Italia, in Francia, in Vallonia, in Svizzera e via dicendo. Un patrimonio dell’umanità ciclistica che non perde occasione per consegnarsi alla storia, come dimostra lo straordinario secondo posto ottenuto mercoledì scorso alla Freccia Vallone, col solo Dylan Teuns capace di mettere le ruote davanti alle sue dopo aver scollinato con una manciata di metri di vantaggio al termine del muro di Huy.

Dove la fatica è compagna di vita e di viaggio, perché le pendenze proibitive che tolgono il fiato ai comuni mortali così come a fior di professionisti (Pogacar e Alaphilippe, tanto per dire, a metà strappo si sono staccati) mettono alla frusta anche i cuori più forti. Valverde su quel muro ha costruito la propria leggenda, e forse anche la sua eredità. Quella che a 42 anni non sente ancora di voler lasciare ai fenomeni del domani, che magari riusciranno a vincere più edizione della Freccia Vallone (lui ne ha messe 5 in bacheca: i più immediati inseguitori, di cui solo Alaphilippe è ancora in attività, ne hanno messe assieme tre a testa), ma che difficilmente potranno eguagliare quel senso di onnipotenza e al tempo stesso di umana empatia che “El Bala” ha saputo trasmettere nel corso di una carriera inimitabile, che pure non vuol conoscere fine.

LA “SOFFERENZA” IN BICI, ELISIR DI LUNGA VITA

Avrebbe dovuto dire basta un anno fa, poi il Covid l’ha convinto a regalarsi un altro giro di giostra. Troppo brutta l’idea di fermarsi in mezzo a una pandemia, senza il calore del pubblico e con tutta la tristezza che ne consegue. A 41 anni suonati s’è rimesso in gioco e il 2022 gli ha regalato subito gioie e soddisfazioni in abbondanza: al debutto assoluto ha conquistato la Pollenca-Port d’Andratx, corsa inserita all’interno del Challenge di Mallorca, e poi a fine febbraio ha bissato il tutto conquistando una tappa e la classifica generale della Gran Camino, corsa a tappe che si tiene ogni anno in Galizia.

La campagna del Nord non gli ha riservato la ciliegina sulla torta di un successo parziale, ma di certo non lo ha visto gigioneggiare: la piazza d’onore a Huy vale quanto una vittoria, il settimo posto alla Liegi è la riprova che non è andato in Belgio a fare la comparsa. E adesso il prossimo passo è provare a vestire la maglia rosa nel Giro d’Italia, corsa che affronterà per la seconda volta in carriera (nel 2016, alla sua unica apparizione, arrivò sul podio) e dalla quale conta di ricevere un trattamento adeguato alla grandezza di cui si è reso protagonista in oltre 20 anni di carriera. La carta d’identità certamente è un fattore, anche se lui è bravissimo a nascondere l’evidenza.

Ma la strada, che è l’unico giudice supremo, per ora fa capire che quella di andare avanti almeno per un’altra stagione è stata la scelta migliore che potesse prendere.

Soffro in bici, soffro perché in gruppo si fatica e non c’è mai troppo tempo per prendere fiato. Ma sono felice del fatto che il mio livello attuale sia pari alle attese. Sono contento di soffrire per stare al passo con i migliori e sentirmi ancora vivo e competitivo. Soffrirei di più se arrivassi ad ogni corsa a un quarto d’ora dalla testa, ma per ora vedo che non sta succedendo e va bene così.

I TRIONFI IN VALLONIA, IL MONDIALE DI INNSBRUCK

La parabola di Valverde è prossima a conclusione, e magari l’ultima corsa che correrà in carriera sarà quel Giro di Lombardia che gli è sempre sfuggito per un’inerzia, tanto da chiudere tre volte secondo, una volta quarto e un’altra (l’ultima, nel 2021) al quinto posto. Chiudere con una vittoria nella classica delle foglie morte sarebbe come chiedere agli dèi del ciclismo di proiettarlo direttamente nell’olimpo, senza passare per alcuna causa di “beatificazione ciclistica”.

Tanto in quel giro degli dèi in un modo o nell’altro “El Bala” c’è già salito, perché qualsiasi appassionato al mondo bramerebbe all’idea di ripercorrere anche solo in minima parte le sue gesta. I numeri raccontano di un palmares fatto di 133 vittorie, cui spiccano le 4 Liegi, le 5 Freccia Vallone ma anche il titolo mondiale conquistato a Innsbruck nel 2018 e la Vuelta conquistata nel 2009, quando ancora il mondo del pedale si interrogava sul tipo di corridore che Valverde fosse, se un uomo da grandi corse a tappe, se un uomo da classiche, oppure un crono man (e si che ne ha vinte di crono in carriera) o addirittura un velocista puro, di quelli capaci di vincere non solo volate ristrette, ma anche arrivi di gruppo. In fondo don Alejandro è sempre stato tutto e il contrario tutto: completo come nessun altro atleta lo è stato nella sua epoca, vincente come pochi prima, durante e dopo di lui.

IN MEZZO AI NUOVI TALENTI, ALEJANDRO RESTA UNA ICONA

L’embatido è stato uno che ha dovuto passare anche per qualche pena dell’inferno, con quel coinvolgimento nell’Operacion Puerto (in verità mai dimostrato del tutto, al di là dei legami con il dott. Fuentes, che all’epoca praticamente aveva rapporti con tutto il mondo professionistico…) che alle soglie dei 30 anni ha finito per ostacolarne la naturale rincorsa ai vertici del ciclismo mondiale. Da quell’affronto Valverde ne è uscito più forte, pulito come uomo e corridore (i successi ottenuti dal 2012 in poi testimoniano che non c’era nulla da nascondere neppure prima, come lui stesso ha ricordato a giornalisti e detrattori), certamente più saggio nel saper discernere di chi contornarsi e da chi tenersi alla larga.

L’avergli tolto un anno e mezzo di carriera non ha finito per fiaccarne la classe e lo spunto dei giorni migliori, ma anzi lo ha consegnato ancora più forte e affamato, tanto da renderlo unico e inimitabile agli occhi di chi ama il ciclismo. Coloro che confidano in un nuovo “miracolo”, cioè in una dichiarazione che come avvenuto negli ultimi due anni possa allungare ulteriormente il giorno del distacco “terreno” dalla strada e dal pedale. Chissà, magari Alejandro andrà avanti ancora un altro anno, ben contento di continuare a “soffrire” sul muro di Huy e su tanti altri arrivi in giro per il mondo.

Il ciclismo degli anni ’20 è già un bel concentrato di talento e di fuoriclasse destinati a far divertire gli appassionati (Pogacar, Evenepoel, Pidcock, van Aert, van der Poel e Alaphilippe su tutti, aspettando Ayuso, Sosa e magari il rientro di Bernal), ma di uno come Valverde non si vorrebbe mai fare a meno. E allora tanti auguri “Bala”, e 100 di questi giorni ancora in sella.

(Credits: Getty Images)

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