LA ROMA DI MOURINHO SI REGALA TIRANA TRA LE LACRIME DI RANIERI

Submitted by Anonymous on Fri, 05/06/2022 - 15:33
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Redazione
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Ci voleva uno Special One per rimettere l’Italia sulla cartina geografica del calcio europeo. Perché una finale continentale è sempre una finale, e poco importa se la stragrande maggioranza dei calciofili non proprio di primo pelo non sanno nemmeno cosa sia la Conference League. Molti la scambiano per l’Europa League, che chiamano ancora Coppa UEFA, forse perché fino a che non si è estinta (era il 1999) era una sorta di feudo europeo di esclusiva proprietà delle formazioni italiane.

Dolce amarcord, insomma, ma la qualificazione della Roma all’atto conclusivo della neonata competizione europea è davvero qualcosa di cui poter andar fieri e orgogliosi, perché se è vero che in Champions il divario con la concorrenza è abissale (questo ha detto anche la stagione corrente), è altrettanto vero che nelle restanti due competizioni la bagarre è stata tanta e nulla s’è rivelato così banale e scontato.

Brava la Roma, insomma, che dà una spolverata a un po’ di sano orgoglio italiano, per giunta nella serata in cui il mondo del pallone ha assistito al commosso saluto rivolto all’indirizzo di Sir Claudio Ranieri, con annessa standing ovation a omaggiare una figura che ha dato tanto sia alla causa giallorossa, sia a quella delle Foxes. Leicester che però per la Roma rappresenta ormai il passato, o se preferite un esame superato a pieni voti.

Il prossimo step fa rima con Feyenoord, squadra dal passato nobile che proprio come quella della Capitale guarda alla vetrina europea come un’opportunità di crescita senza precedenti. Perché quando c’è un trofeo da alzare nessuno guarda davvero quello che è il suo valore. E le finali sono fatte non per essere giocate, ma per essere vinte.

UN DIGIUNO LUNGO 14 ANNI: È ORA DI TORNARE A VINCERE

Cos’abbia davvero di speciale questa Roma è difficile da dire. Mourinho l’ha plasmata a sua immagine e somiglianza: sa perfettamente, lo Special One, di non avere un collettivo in grado di reggere il passo delle migliori, tanto in Italia quanto in un’ipotetica Europa dei grandi. Ma in Conference League il tecnico di Setubal ha spinto i suoi ragazzi oltre i propri limiti, spesso caricando le sfide di significati anche simbolici che hanno riportato le lancette indietro di qualche decennio.

Mou ha fatto leva sulle sue doti di grande motivatore (e comunicatore) per ricompattare un ambiente che a un certo punto della stagione era uscito sfibrato e sfiduciato dall’ennesima annata incompiuta, con la squadra mai in grado di lottare per lo scudetto e costretta ad accontentarsi di una vetrina europea che senza l’approdo in finale avrebbe avuto poco lustro e scarsa considerazione.

Eppure per il calcio italiano portare una squadra in finale di una competizione continentale non è cosa da poco: l’ultima volta c’era andata l’Inter in Europa League nel 2020, battuta dal Siviglia nel post lockdwon. E prima, nel decennio appena trascorso, c’era riuscita soltanto la Juventus di Allegri, battuta da Barcellona (2015) e Real Madrid (2017) in Champions. Altrimenti bisogna spolverare l’album dei ricordi e tornare alla notte del “Bernabeu” del 2010, con Mou in panchina e l’Inter a confezionare il Triplete, per vedere il nome di un’italiana nell’albo d’oro di una coppa europea.

La Conference League è la nostra Champions

ha ribadito a chiare lettere lo Special One. Che ha saputo portare nuovamente dalla sua parte il popolo romanista, e che adesso sa di essere a 90’ (o 120’) dal mettere nero su bianco la propria firma in calce nella storia del calcio giallorosso. Dove una finale continentale mancava dal 1991 (la UEFA persa con l’Inter nel confronto di andata e ritorno, come da regolamento dell’epoca), e dove l’ultimo trofeo vinto risale alla Coppa Italia conquistata nel 2008. Da allora, 14 anni di digiuno e amarezze, su tutte lo scudetto perso proprio contro l’Inter do Mou nel 2010. Storia vecchia, ormai caduta in prescrizione.

IL FEYENOORD IN EUROPA SA IL FATTO SUO

Per arrivare a Tirana, per stessa ammissione di Mou, la Roma ha perso qualche punto pesante in campionato. Perché la Conference si gioca di giovedì e mal si sposa con le esigenze del torneo nazionale. Vale per i giallorossi come per tante altre formazioni sparse in giro per l’Europa. Il Feyenoord ha più o meno pagato dazio alla stessa maniera nell’Eredivisie, dove non è mai stato in lotta con Ajax e PSV per la conquista del titolo. La squadra allenata da Arne Slot ha fatto bottino pieno nei 14 incontri disputati in Conference League, conquistando 9 vittorie e 5 pareggi.

E ha in Cyriel Dessers, 28enne attaccante nigeriano, il suo ariete cardine: 10 reti in 12 apparizioni europee in stagione, decisivo con una doppietta nella gara d’andata contro il Marsiglia. In difesa l’argentino Marcos Senesi ha dimostrato di essere uno dei prospetti più interessanti anche in ottica mercato (tra gli altri piace anche alla Roma), mentre l’ala sinistra colombiana Luis Sinisterra e il trequartista Guss Til hanno fatto capire di essere giocatori in grado di poter dire la loro contro qualunque avversaria.

Una squadra giovane ma non certo sprovveduta, che dovrà cercare di far meglio rispetto a quella che nel 2015 affrontò la Roma, all’epoca allenata da Rudi Garcia, pareggiando per 1-1 all’Olimpico (ma di quel giorno restano soprattutto gli scempi perpetrati dagli hooligans olandesi su alcuni monumenti romani, vedi la Barcaccia) e cedendo per 2-1 al De Kuip (la vasca) di Rotterdam, piegati dai gol di Ljajic e Gervinho. In quella Roma giocava ancora Totti, titolare in entrambe le sfide. E in panca c’era Davide Astori: vincere a Tirana pensando di dedicargli il successo non sarebbe davvero una cattiva idea.

(Credits: Getty Images)

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