NBA FINALI DI CONFERENCE: DALLAS DA URLO, ORA SOTTO COI WARRIORS

Submitted by Anonymous on Mon, 05/16/2022 - 15:44
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Redazione
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Tre invitati e un… infiltrato. Che poi dire che Luka Magic sia davvero un infiltrato è un tantino fuori luogo: lui in questa NBA ci calza a pennello ed è bello sapere che per la prima volta in carriera avrà l’opportunità di centrare un clamoroso assalto alle Finals, dopo che un paio di mesi fa scarsi nessuno avrebbe scommesso un euro su una possibile corsa di queste fattezze di Dallas nella post season. Invece sulle ali di Doncic i Mavericks hanno sbancato Phoenix ribaltando completamente il pronostico in una serie che definire pazza è poco, utile però per offrire una volta per tutte al mondo la grandezza di un giocatore destinato a finire negli annali della storia del gioco.

Certo i Suns hanno scelto la serata peggiore per sbagliare partita: una mattanza ben più netta di quanto non dica il 123-90 finale, tanto che i vicecampioni in carica sono stati persino sotto di 50 punti nel corso di una partita in pratica già conclusa all’intervallo. Una dimostrazione di forza spaventosa da parte di Doncic, primo giocatore di sempre a segnare almeno 81 punti nelle prime due gare 7 disputate in carriera (la prima lo scorso anno contro i Clippers, in quel caso però persa da Dallas) e secondo più giovane di sempre a realizzare 35 punti e 10 assist sempre in una gara 7.

E per la terza, chissà, magari basterà attendere un paio di settimane, il tempo di far sviluppare la serie con Golden State, che già si preannuncia bella densa di significati. Mentre a Est Boston, come da copione, s’è mangiata Milwaukee in una gara 7 condizionata dalla assenze di casa Bucks, costretti ad abdicare dopo un solo anno di regno.

MIAMI-BOSTON, LA FINALE PIÙ LOGICA (E PIÙ INCERTA)

Miami-Boston è la finale più attesa dell’Est, quantomeno per il fatto che già al termine della stagione regolare i valori emersi strada facendo le avevano indicate come le papabili finaliste. E se Miami ha avuto vita relativamente facile contro Phila (decisiva soprattutto l’assenza di Embiid nelle prime due gare della serie, puntualmente sfruttate dagli Heat per scappare  sul 2-0), Boston contro i Bucks ha superato un enorme esame di maturità, al netto di un paio di scivoloni rovinosi e di una sconfitta in gara 5 che era arrivata più per demeriti propri che non per meriti altrui.

Alla fine però Tatum, Brown e Smart hanno rimesso le cose a posto nelle ultime due gare della serie, dove pure è stata la classe operaia a spedire i Celtics in orbita: Grant Williams (7 triple a segno e 27 punti totali) e Payton Pritchard (14 punti con 4 triple a bersaglio) hanno fatto tutta la differenza del mondo, alzando notevolmente il proprio livello proprio nel momento in cui Udoka ne ha avuto più bisogno. Una Boston meno dipendente da Tatum, che pure era stato celestiale in gara 6 (46 punti e 9 rimbalzi) e che continua a essere il faro in grado di illuminare il cammino dei suoi.

Che contro Miami dovranno per forza di cose andare a vincere una partita in Florida, cosa che tutto sommato non rappresenta nemmeno un ostacolo insormontabile. Ma gli Heat a loro volta fanno del collettivo la loro miglior virtù, con Jimmy Butler a dirigere l’orchestra e un manipolo di ragazzotti di primo peli (Max Strus, Caleb Martin e Gaby Vincent) capaci di andare al di là di qualsiasi aspettativa. Butler sta giocando play-off da leader conclamato: 28.7 punti di media a partita nei play-off, con 7.6 rimbalzi, 5.4 assist e una percentuale dal campo superiore al 53% ne testimoniano lo stato di grazia.

S’è preso una signora rivincita sui Sixers, che tre anni fa gli preferì Tobias Harris lasciandolo andare a Miami (Phila non volle dargli il massimo salariale, optando per la cessione a favore di una permanenza di Harris e di… Ben Simmons), e adesso ambisce a conquistare la seconda finale in carriera con Miami dopo quella persa nella bolla contro i Lakers nel 2020. Duelli chiave della sfida: Adebayo contro Horford (stoico, per non dire eroico contro Giannis) sotto canestro, PJ Tucker contro Smart in difesa. E poi occhio alle panchine: Herro quando è caldo fa paura, Oladipo ha un impiego limitato ma non di secondaria importanza, di Williams e Pritchard ormai s’è già detto in abbondanza.

GOLDEN STATE-DALLAS, LA VARIANTE DONCIC (MA NON SOLO)

Dire che Dallas sia solo Doncic è un affronto per chi, come coach Kidd, ha saputo modellare una squadra in grado di sopperire anche all’assenza dello sloveno (è successo ad esempio a inizio play-off). Brunson e Dinwiddie hanno punti (tanti) nelle mani, Bullock e Finney-Smith difendono sui lato come degli ossessi. E Dwight Powell sotto canestro è un cagnaccio, di quelli che potrebbe far penare eccome un centro come Looney. Certo Golden State nel corso dei play-off ha fatto vedere di essere tornata grande: Curry quando s’accende sa essere devastante (quasi 27 punti di media), Thompson è un po’ discontinuo ma in gara 6 contro i Grizzlies ha dimenticato le turbolenze degli ultimi due anni, Poole è ormai stabilmente il terzo violino e Draymond Green è tornato l’orso ballerino che ha fatto le fortune di Kerr a metà del decennio passato. Insomma, i Warriors sono tornati da corsa, ma attenzione a darli per sicuri vincenti contro una versione di Dallas che si è fatta intrigante come non mai, pronta a ribaltare un altro pronostico come già fatto nelle due serie contro Utah e Phoenix.

Dove Chris Paul ha detto di voler andare avanti, irremovibile nel suo proposito di conquistare un anello ma abbattuto dopo aver buttato via per il secondo anno di fila una serie nella quale era avanti 2-0. Le finali di conference, però, dovrà guardarle sedute sul divano. Ammirando Doncic e Curry, saliti sul proscenio quando contava di più.

(Credits: Getty Images)

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