LA ROMA, MOURINHO E UN POSTO NELLA STORIA

Submitted by Anonymous on Thu, 05/26/2022 - 19:36
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Redazione
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Ci voleva un tecnico speciale per riportare in auge una piazza “speciale”. Perché non ce ne voglia nessuno, ma Roma non è e non potrà mai essere una società come le altre. La “Maggica” si ama o si odia, su questo non si discute. Alimenta la passione di milioni di tifosi confinati soprattutto nella Capitale, ma spesso attira le antipatie anche di quelli delle squadre del Nord o del Sud (vedi Napoli) perché di tanto in tanto si ricorda di essere grande, e quando accade per gli avversari sono sempre dolori.

Non vinceva un titolo europeo da 61 anni (a meno che non vogliate considerare come tale la Coppa Anglo-Italiana del 1972…), addirittura non alzava un trofeo da 14 anni, da quell’ultima Coppa Italia finita in bacheca con Totti capitano, cui avrebbero fatto seguito anni di promesse mai mantenute.

E per capire quanto possa valere una Conference League per una piazza come Roma, beh, bisognerebbe chiedersi se le scene viste sin dai primi minuti successivi al triplice fischio di Kovacs sarebbero state le stesse se a vincere il trofeo fosse stata un’altra squadra italiana. Perché il tifoso giallorosso ha qualcosa in più che sprigiona un’empatia e un legame con la squadra, con il tecnico (facile, in questo caso) e con l’ambiente che li circonda che probabilmente non ha eguali nel mondo.

E lo si capirà meglio stasera, quando al Circo Massimo andrà in scena una festa attesa da più di 20 anni. Perché a Roma, se devi far baldoria, la fai e basta. E senza mezze misure.

L’ARTE NEL SAPER CREARE LEGAMI INDISSOLUBILI

Dall’annuncio dell’avvento in panchina di Jose Mourinho è trascorso un anno e tre settimane. E in questi 386 giorni in mezzo c’è stato un po’ di tutto: dallo stupore iniziale per un ingaggio che nessuno avrebbe osato immaginare (gran colpo dei Friedkin) alla consapevolezza di non poter competere sul mercato con le big della Serie A, dalle solite schermagli dialettiche con stampa e soprattutto mondo arbitrale agli exploit buttati là di tanto in tanto sul campo, fino alla presa d’atto che una via d’uscita per rendere speciale questa stagione ci sarebbe stata, e avrebbe fatto rima con Conference League.

Dove pure non sono state solo gioie: il ko. per 6-1 in casa del Bodo, poi prontamente cancellato dalla rivincita presa nei quarti di finale, è stato forse il punto più basso della stagione romanista. Quello nel quale anche il più inguaribile degli ottimisti ha cominciato a vacillare, chiedendosi se davvero Mou fosse tanto speciale da meritare di sedere su quella panchina. Il tempo, galantuomo, ha dato ragione alla dirigenza, oltre che al tecnico di Setubal.

Che ha perfettamente capito come insinuarsi nella mente dei tifoso romanista, riuscendo a calarsi in una parte che pure parte non è, perché Josè non è una maschera, semmai un uomo che quando sposa un progetto e una filosofia diventa tutt’uno con esso. Un professionista unico nel suo genere, e non solo per quel che dicono i numeri (5 finali europee, altrettante vittorie: ad eccezione della Supercoppa, è l’unico allenatore ad aver vinto tutte le competizioni continentali, inclusa la Coppa delle Coppe del 1996-97 conquistata come vice di Robson al Barcellona): Mourinho sa andare oltre il lato sportivo, e il segreto del successo della Roma fonda le radici proprio su questo aspetto.

Mourinho è quello che il 31 dicembre passa il capodanno alla Caritas della Capitale, ed è anche quello che passeggia per le vie del centro storico come un normale cittadino (finché qualcuno non se ne accorge). O quello che, all’arrivo a Napoli prima del match di campionato, va nei quartieri Spagnoli a omaggiare Maradona. Mou crea legami, e Roma aveva tremendamente bisogno di uno come lui.

BASE SOLIDA, E I FRIEDKIN ORA VOGLIONO FARE MERCATO

Va detto che quanto raccolto in stagione dai giallorossi è probabilmente anche più di quanto avrebbero potuto fare, al netto di una rosa buona ma non eccelsa. Il sesto posto in campionato, un punto dietro la Lazio, è figlio anche della fatica spesa per arrivare in fondo alla Conference League, come giustamente ricordato più volte dall’allenatore negli ultimi tempi.

Le basi per costruire qualcosa di solido ci sono, perché giovani buoni non mancano: Zaniolo ha dimostrato di essere pronto a farsi carico di certe responsabilità, e non a caso è stato suo il gol che ha regalato il trofeo nella notte di Tirana. Abraham è un centravanti che può incidere anche in un torneo esigente come la Serie A (dove la vita per gli attaccanti non è mai facile…), come dimostrano le 27 reti stagionali segnate all’esordio sul palcoscenico italiano, e i vari Ibanez, Zalewski e Kumbulla sono elementi futuribili.

Senza dimenticare Mancini, Cristante e Pellegrini, colonne portanti che di tanto in tanto (anche spesso) tornano buone anche in nazionale. Qualche aggiustamento andrà fatto, ma l’idea dei Friedkin è di allentare i cordoni e provare a rendere la squadra ancora più competitiva (il sogno è Dybala), così da accontentare Mou e assecondarlo nel suo percorso, che pure già è partito col botto.

La prima annata dello Special One ha raccontato di 55 partite totali, con 29 vittorie, 12 pareggi e 14 sconfitte e un bottino di 95 reti segnate e 62 subite. Ma più dei numeri sono state le emozioni, le suggestioni e la grande capacità di coinvolgere sempre e comunque il popolo giallorosso a trovare posto nella storia. E quelle lacrime versate a fine partita nella notte di Tirana erano vere, proprie di chi sapeva di aver fatto ancora una volta qualcosa di unico e irripetibile. La città eterna lo ha accolto e Josè s’è dato con tutto se stesso. Core de sta città. Altro che zeru tituli.

(Credits: Getty Images)

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