CARLO ANCELOTTI, L'ALLENATORE PIU' GRANDE DI TUTTI?

Submitted by Anonymous on Mon, 05/30/2022 - 11:21
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Redazione
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Italians do it better. Peccato che ce ne ricordiamo solo quando si vince, spesso fuori dai confini nazionali. E dopotutto Carlo Ancelotti sa perfettamente che solo quando compie qualche impresa viene esaltato alla stregua di un salvatore della patria. Perché nell’anno in cui un’italiana è tornata a vincere una coppa europea, c’è comunque di che esser fieri nel vedere che l’allenatore più vincente della competizione continentale per eccellenza ha conquistato un altro trionfo.

E come lui, nessuno mai: quattro Champions in bacheca sono roba che non si può solo raccontare, e tantomeno celebrare. Quattro Champions testimoniano la grandezza di un uomo che esattamente 19 anni fa, minuto più minuto meno, veniva considerato un allenatore perdente e per giunta persino sopravvalutato.

Non piaceva quasi a nessuno, come se il fatto che avesse la possibilità di allenare fosse dovuto unicamente alla simbiosi con Arrigo Sacchi, l’uomo che per primo l’ha preso sotto la sua ala una volta appesi gli scarpini al chiodo. Ancelotti era l’uomo del naufragio juventino di Perugia, quello che a inizio terzo millennio con Zidane e Del Piero non era riuscito a riportare i bianconeri davanti alle romane.

Ancelotti era il responsabile dell’addio di Zola dal Parma nell’autunno del 1996 (in realtà anni dopo il giocatore dirà che non fu quella la causa del suo passaggio al Chelsea, ma per l’opinione pubblica il colpevole era stato individuato). Ancelotti agli occhi dei media era un perdente che non faceva molto per rendersi simpatico ai loro occhi, e molti tifosi caddero nel tranello della vulgata popolare.

QUELLA CHIAMATA DI GALLIANI, LA SLIDING DOOR PERFETTA

Ancelotti soprattutto il 5 novembre del 2001 era già pronto a incontrare i Tanzi negli uffici di Parmalat, con la dirigenza pronta a ingaggiarlo assieme ad Arrigo Sacchi, che avrebbe ricoperto il ruolo di direttore tecnico. La coppia stava per ricomporsi, ma leggenda vuole che l’avviso di posticipare quella riunione arrivò proprio nel momento in cui Adriano Galliani gli chiese di chiudersi in casa e attendere l’arrivo suo e di Ariedo Braida, col Milan pronto a offrirgli la panchina che fino a quel momento era stata di Fatih Terim.

Ancelotti eseguì l’ordine e nel pomeriggio di un lunedì di inizio novembre decise che quello sarebbe stato il momento giusto per mettere una volta per tutte a tacere le malelingue. A Parma, dove Sacchi andò ugualmente, ci rimasero di stucco, ma il tempismo di Galliani contribuì a gettare il seme della leggenda del futuro Re Carlo, imperatore del calcio europeo.

Quello che non aveva vinto ancora nulla, ma che nei successivi vent’anni sarebbe arrivato a mettere assieme un titolo nazionale in ognuno dei cinque maggiori campionati europei (nessuno come lui), 4 Champions League con due squadre diverse (nessuno come lui), 3 Supercoppe Europee (solo Guardiola ne conta altrettante) e due Mondiali per Club, più svariate altre competizioni nazionali.

QUEL MAGICO 28 MAGICO: 19 ANNI DOPO, IL CERCHIO S’È CHIUSO

Ancelotti il 28 maggio 2003 a detta di molti era l’allenatore più sopravvalutato della storia recente del calcio italiano. Ma battendo la Juventus ai rigori nella finale di Manchester, di colpo la sua carriera prese come il volo. E il 28 maggio 2022, 19 anni esatti più tardi, regalando al Real Madrid la 14esima Champions League (lui che già nel 2014 gli aveva portato in dote l’agognata decima) è come se avesse chiuso un cerchio.

E dire che Florentino Perez, il primo che è andato a congratularsi con lui al termine della finale di Saint-Denis, nel 2015 lo cacciò via da Madrid senza usare troppe mezze parole. Carlo al primo colpo gli aveva portato in bacheca quella decima che inseguiva da 12 anni, poi però dopo Supercoppa e Mondiale per Club nel 2015 non riuscì a ripetersi e quello zero alla casella titoli conquistati tra Liga, Champions e Copa del Rey convinsero il patron madrileno a disfarsene.

Un po’ la stessa cosa fatta due anni e mezzo fa da Aurelio De Laurentiis a Napoli, col quale all’inizio furono tutte rose e fiori, fino all’inopinato esonero del dicembre 2019 con la squadra qualificata agli ottavi di Champions dopo il secondo posto in campionato dell’anno precedente. Perez nel giugno del 2021, in piena crisi presidenziale e con una squadra ridotta a pezzi (neppure Zidane riuscì a rimettere assieme i cocci), lo chiamò quasi pentito, convinto che solo Ancelotti avrebbe potuto assemblare nuovamente un puzzle divenuto assai spinoso.

A fari spenti, con una squadra nemmeno così giovane, Carlo s’è messo giù ad attaccare pezzo per pezzo un mosaico che ha sorpreso per resilienza e capacità di spingersi oltre i propri limiti. Perché il Real non era la squadra più forte d’Europa, ma ha battuto le più forti: PSG, Chelsea, City e Liverpool sono cadute una dietro l’altra, a volte beneficiando di un po’ di buona sorte, ma dimostrando sempre di saper affrontare le difficoltà con straordinaria calma e forza di volontà.

A una doppietta Liga-Champions non pensava nessuno dalle parti di Valdebebas, eppure Re Carlo ha reso possibile ciò che apparentemente sembrava impossibile. Aggiungendo una Supercoppa di Spagna e “lasciando” al resto dei commensali solamente la Copa del Rey per mano di un Athletic Club in serata di grazia in una notte di gennaio a Bilbao, di quelle che di solito non lasciano scampo nemmeno ai più grandi. Piccolo inciampo, già dimenticato: l’antipatico perdente è oggi osannato anche da chi lo criticava senza ritegno. E magari si chiuderà ancora una volta in cantina con gli amici nella sua Emilia per due giorni a mangiare salame e bere vino: la sua celebrazione prediletta.

(Credits: Getty Images)

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