GOLDEN STATE-BOSTON GARA 2: KERR STUDIA LE MOSSE, BOSTON È IN FIDUCIA

Submitted by Anonymous on Sat, 06/04/2022 - 15:22
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Redazione
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Quando nel 2004, appena vinte le Finals da underdog contro i Los Angeles Lakers, Rasheed Wallace pronunciò la fatidica frase

Ball don’t lie

provando a far capire alla gente che in fondo è la palla a decidere il destino di ogni franchigia o singolo giocatore, magari non pensava che quelle tre parole messe assieme avrebbero attecchito così tanto nell’universo deputato alla palla a spicchi.

In fondo però in quella semplice frase (“la palla non mente”) sta tutta la verità che si nasconde dietro il gioco (forse) più bello del mondo: puoi allenarti, provare e riprovare tiri e non dormirci sopra la notte, ma tanto la verità la conosce solo e soltanto la palla. Che quando parla non ammette repliche.

Lo hanno scoperto sulla loro pelle anche i Golden State Warriors, che a 5’ dalla fine di gara 1 delle Finals 2022 stavano tutto sommato controllando le operazioni, seppure Boston avesse già dimostrato in corso d’opera di essere in grado di risalire la corrente, anche quando questa distava 15 punti dai rivali.

Gara 1 sembrava comunque destinata al suo epilogo più scontato e naturale: vittoria Warriors e fattore campo rispettato nella partita d’esordio di una delle serie più attese e (in parte) incerte degli ultimi anni. Fino a che Al Horford  e Derrick White hanno deciso di voler cambiare le carte in tavola, cominciando a muovere la retine da ogni angolo del campo, proprio mentre dalla parte opposto i giocatori in maglia verde rispedivano al mittente con perdite ogni avversario che provasse ad avvicinarsi al ferro.

Risultato? Un parziale di 17-0 in poco più di due minuti, con tanti saluti a quelli della Baia e l’inerzia della serie sorprendentemente ribaltata. Com’è che diceva Wallace?

LA PANCHINA DEI CELTICS HA DISTRUTTO QUELLA DEI WARRIORS

La faccia attonita di Steph Curry, favoloso nel primo quarto (21 punti!) quanto terrificante nei successivi tre (specie nel secondo, chiuso a zero punti), racconta più di tutte cosa sia passato nella testa dei Warriors dopo quei due minuti nei quali i Celtics si sono presi con merito gara 1.

Due minuti che rischiano di pesare enormemente nell’economia di una serie che tra poco più di 24 ore vivrà un secondo atto nel quale Golden State dovrà necessariamente trovare la vittoria per non vedersi costretta poi ad andare dall’altra parte dell’America spalle al muro, costretta a vincere 4 delle successive (eventuali) 5 gare rimaste.

Cosa ha sparigliato le carte per arrivare a un epilogo così bruciante? Al di là delle percentuali bulgare di Boston nel quarto quarto, di sicuro l’impatto avuto dalla panchina dei Celtics è stato di ben altro tenore rispetto a quello dei californiani. E questo è un fattore che potrebbe seriamente spingere la serie sulla via desiderata da Udoka: la seconda unit di Boston ha rimesso a posto le cose dopo che Curry e Thompson avevano mandato i Warriors avanti in doppia cifra. E tutto ciò nonostante i giocatori dei Celtics fossero debuttanti assoluti in una serie di finale (le presenze dei Warriors, sommando tutto il roster, diceva 123).

White più di Pritchard, Grant Williams e Theis ha saputo riportare a contatto una squadra che non s’è mai disunita, anche quando è finita a -15 contro un avversario che sulla carta era certamente più avvezzo a simili contesti. Nemmeno il ritorno in campo di Otto Porter jr. ha permesso a Kerr di sistemare le cose: il suo -18 di plus/minus, combinato al -19 di Jordan Poole, testimoniano le difficoltà incontrate dal coaching staff di Golden State nel provare ad arginare l’operazione di cucitura fatta egregiamente dagli avversari. E se la panchina di Boston fa questo effetto, alla lunga la fatica dei titolari di GSW potrebbe diventare un altro fattore decisamente importante nella serie.

IL CONFRONTO TRA “ANOMALIE”: DETTAGLI CHE FANNO LA DIFFERENZA

A far ben sperare Udoka c’è pure un altro dato: Jayson Tatum è più di tutti il leader naturale di Boston, che pure poggia la sua forza sul collettivo. Tatum in gara 1 ha tirato malissimo (3/17), ma ha fornito 13 assist ai compagni, a riprova del fatto che la sua partita “oscura” è stata una signora partita (miglior score per un debuttante alle Finals).

Quando ritroverà le sue ottime percentuali dal campo, Tatum obbligherà i Warriors a fare delle scelte ben precise: andare a raddoppiarlo, col rischio di “battezzare” tiratori che quando sollecitati in gara 1 hanno risposto presente (vedi Horford e White, ma anche Brown e Smart) o sfidarlo in uno contro uno, con tutti i rischi del caso (e come fatto da Udoka contro Curry, pagando dazio nel primo quarto ma poi trovando ricompensa)?

Per Kerr questo sarà il primo vero rompicapo, unito alla necessità di trovare un antidoto contro il quintetto piccolo messo in campo da Udoka nel quarto quarto. Perché finché Looney ha potuto far valere la sua stazza sotto canestro è stato una sorta di “garante” nel mantenere i compagni in linea di galleggiamento, ma se la scelta dei Celtics sarà di aprire il campo (quindi punire i Warriors con la loro stessa moneta) allora di guai potrebbero sopraggiungerne altri.

In California si dicono certi che quanto fatto da Boston negli ultimi 12’ (40-16 è record per un quarto quarto nelle Finals, con quasi il 70% dal campo: nessuno era passato da -12 a +12 nello stesso periodo) sia stata un’eccezione, una “anomalia” per dirla con le parole di Draymond Green. Ma è stata una “anomalia” anche l’aver concesso 108 punti per quella che fino a prova contraria da gennaio in qua è la miglior difesa della lega. Gara 2 sarà tutta un’altra storia. Ma se si dovesse arrivare in volata, occhio a quanta energia avranno ancora da spendere i Warriors: Boston ha capito che la freschezza può davvero fare la differenza.

(Credits: Getty Images)

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