RAFA NADAL DA CAMPIONE A LEGGENDA: ESEMPIO DI CORRETTEZZA, MAI UNA MASCHERA

Submitted by Anonymous on Tue, 06/07/2022 - 08:24
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Redazione
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Non si chiamasse Rafael Nadal Parera, probabilmente sarebbe già a casa da un pezzo, ben contento di godersi il caldo e il sole di Manacor e i tanti quattrini guadagnati strada facendo nel corso di una carriera che dopo 4-5 anni poteva già essere definita di altissimo livello. Invece no, a Rafa l’idea di stare a bordo spiaggia a prendere il sole ancora non sembra piacere tanto. Non che la cosa non gli garbi affatto: prima o poi un po’ di riposo ci vuole per tutti, e benedette sono le giornate in cui di tempo ce n’è per starsene per i fatti propri.

Ma non è quella la pace di cui va in cerca l’animo di Nadal, che ha da poco compiuto 36 anni, benché si senta imprigionato in un corpo che per quanto ha spinto al limite probabilmente gliene fa contare qualcuno in più. Come riesca poi a vincere l’erosione della fatica, quasi a far sembrare tutto così normale e naturale anche dopo mesi di lontananza dal campo e dalla racchetta, questo rientra in una dimensione che di terrestre o di umano non ha nulla.

Perché Rafa non è uno sportivo come gli altri: ha alzato costantemente l’asticella della prestazione, talvolta anche del dolore, ed è arrivato sempre più in là di dove tutti pensavano che si sarebbe fermato. Di esempi come il suo in giro non se ne vedono. Resilienza? Ostinazione? Fame e determinazione? Qualunque aggettivo rischia di impallidire al confronto con la grandezza di un atleta che ha fermato l’orologio biologico, divenendo una volta di più fonte di ispirazione per le generazioni future.

GRANDE TRA I GRANDI, SENZA MAI INDOSSARE UNA MASCHERA

Il mondo ama Nadal perché Nadal ha sempre fatto qualcosa per cui valesse la pena essere amato. Il tennis è uno sport dove classe ed eleganza si fondo con rispetto e ammirazione, ma non tutti i tennisti sono trattati allo stesso modo (Djokovic vi dice qualcosa?). Rafa ha vissuto peraltro in un’epoca dove una divinità terrestre applicata alla racchetta già esisteva e rispondeva al nome di Roger Federer, cui è accomunato da una carriera straordinaria, benché gli stili di gioco siano quanto di più all’opposto possa esistere.

Avrebbe potuto restare schiacciato da una rivalità che per anni è stata benzina per un mondo che chiedeva sempre più spazio, e che se oggi è diventato uno dei più seguiti dell’universo sportivo è anche e soprattutto per merito loro. Ma non solo di ciò che hanno saputo fare in campo: Nadal, tanto quanto lo è stato Federer, è un esempio di correttezza come pochi ce ne sono nello sport. Uno che avrebbe avuto milioni di motivi per arrabbiarsi o rispondere male a qualche giornalista, anche a chi ha insinuato a più riprese frequentazioni poco ortodosse a inizio carriera. Lui però non ha mai abboccato al tranello: sempre sincero e schietto nelle risposte, sempre pronto a guardare al bene della collettività (intesa come sistema professionistico, e quindi con un occhio di riguardo verso i colleghi meno ricchi e famosi) piuttosto che a sguazzare nella sua superiorità.

Uno che non ha mai risparmiato un plauso e un complimento sincero a un rivale, senza accampare scuse anche quando di motivi ne avrebbe avuti a iosa. Nadal piace ed è quello che è agli occhi della gente perché è semplicemente se stesso: non recita, non indossa una maschera, fa quello che deve fare e lo fa (spesso) meglio degli altri. E facendolo apparire quasi “normale”. Ma di normale in questa lunga storia non c’è nulla.

DIRE BASTA ADESSO SAREBBE COME DARLA VINTA AL TEMPO

Alla vigilia della finale contro Ruud, più che la sfida in sé contro il giovane norvegese, a fare rumore è stata la presunta conferenza stampa che avrebbe tenuto il giorno successivo alla sfida, presa a pretesto da molti come il momento in cui avrebbe annunciato il ritiro. Ma perché dovrebbe ritirarsi un atleta che a 36 anni è ancora all’apice della carriera, passato per 6 mesi di stop nell’ultimo anno (da giugno a dicembre 2021), una lunga e fatica riabilitazione, tre tornei vinti su tre disputati nei primi due mesi dell’anno (e il quarto perso in finale con una costola fratturata…) e il 14esimo titolo al Roland Garros conquistato dopo appena un mese di partite e allenamenti nelle gambe? A ben vedere, di motivi per dire basta non sembrerebbero proprio essercene.

Anche se i dolori al piede sinistro, quello che lo obbliga spesso a giocare con le infiltrazioni, e gli acciacchi dell’età che avanza li avverte e come, bravo si (in questo caso) a mascherarli agli occhi spesso invadenti del mondo. Ha ammesso candidamente che avrebbe preferito barattare una vittoria in finale con Ruud per avere un piede nuovo, che potesse dargli sollievo anziché tormento e consentirgli di tornare a vivere una vita normale. Perché oltre il campo c’è una quotidianità che Nadal sente gli stia sfuggendo di mano, nella quale il rimorso per non essersi fermato in tempo potrebbe accompagnarlo in modo scomodo per il resto di tutti i suoi giorni.

Forse è per questo che subito dopo aver vinto la 14esima coppa dei moschettieri di Francia ha detto di voler continuare a lottare per inseguire altre vittorie, spazzando via i timori di chi temeva un annuncio shock che includesse l’addio alle competizioni. Quel desiderio di andare avanti è un po’ il suo modo per anestetizzare il dolore: nessuno gli ridarà indietro un piede sano, ma tanto vale continuare a vivere pensando che ci sia solo un oggi e un altro titolo da inseguire, e non un domani di cui avere timore. Wimbledon e gli US Open sono le chiamate per la leggenda: difficile che Rafa sarà al Championship, più facile che torni a Flushing Meadows, ma qualunque cosa gli riserverà il futuro sarà sempre un giorno guadagnato. E chi ama il tennis non potrà che essergliene grato.

(Credits: Getty Images)

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