40 ANNI DI SPAGNA '82: LA VIGILIA DELL'ITALIA E LE CRITICHE A BEARZOT TRA INSULTI E PENTIMENTI

Submitted by Anonymous on Mon, 06/13/2022 - 15:17
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Redazione
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Di tutti i modi che poteva scegliere per vivere i suoi 15’ di fama, quelli che a detta di Andy Warhol ogni essere umano merita e può ambire ad avere nel corso della sua esistenza terrena, Anna Ceci decise di sceglierne uno abbastanza improbabile. Dopotutto una ragazza che parla di calcio nell’Italia del 1982 è di per sé già una cosa abbastanza inconsueta: tifosissima dell’Inter, appassionata di pallone sin dalla tenera età, Anna è a Roma per “salutare” la partenza della nazionale italiana impegnata di lì a poco nel campionato mondiale di calcio che la FIFA ha assegnato alla Spagna. Mettere “salutare” fra virgolette è un modo che rende bene l’idea riguardo alle sue intenzioni: la tifosa nerazzurra è accecata d’ira nei confronti di Enzo Bearzot, il quale ha avuto l’ardire di escludere dall’elenco dei 22 convocati per la spedizione iberica il fantasista dell’Inter Evaristo Beccalossi.

Quando il commissario tecnico arriva nei pressi della porta principale dell’albergo di Villa Pamphili, sede del ritiro premondiale, la ragazza non perde occasione per rivolgergli di persona una serie di epiteti piuttosto coloriti, e certamente offensivi.

Scemo, scimmione, bastardo

gli urla l’Anna furiosa, arrivando a toccare corde che al “Vecio” non erano mai state toccate prima, almeno non in quei termini e tantomeno in pubblico. Così Bearzot perde il solito aplomb e una volta tanto reagisce, schiaffeggiando la tifosa interista e rispondendo anche a parole:

Potrei essere tuo padre, come ti permetti?

La stampa italiana ci ricama sopra, anche perché in quelle settimane Bearzot è un bersaglio facile, anzi, forse il più tartassato dell’intera nazione. Alla fine tutto si risolverà con una salomonica pace: Anna raggiungerà la squadra a Fiumicino, appena prima della partenza per la Spagna, e chiederà umilmente scusa.

Sono la figlia ribelle di una famiglia perfetta

dirà al CT. Che la perdonerà all’istante, chiudendo il misfatto. Fosse successo oggi, non avrebbe più visto la panchina per il resto dei suoi giorni.

LA RINUNCIA A BECCALOSSI E PRUZZO, LE AMICHEVOLI STENTATE

Quel che la giovane Ceci avrebbe voluto urlare a Bearzot, però, era opinione diffusa un po’ in tutta la penisola: perché lasciare a casa Beccalossi, e così anche Roberto Pruzzo, optando per portare un Antognoni non al meglio della condizione e un Paolo Rossi fermo da due anni, vittima di uno strano giro di scommesse legate al calcio? Nell’Italia perbenista e un po’ bacchettona dell’epoca, in preda alla paura per l’ennesima stagione del terrorismo di matrice politica e per una crisi economica che non ne voleva sapere ancora di mordere il freno, quelle scelte apparivano come anticonformiste e dannose.

Tutti volevano saperne più del “Vecio”: la sua nazionale aveva fatto bene in Argentina quattro anni prima, non impressionato più di tanto nell’edizione degli europei disputati in casa nel 1980 e tutt’altro che brillato durante le qualificazioni ai mondiali di Spagna ’82. E anche le amichevoli in preparazione al torneo non diedero molti motivi per sperare in una repentina inversione di tendenza: dopo la sconfitta in Francia a febbraio e quella in casa della Germania Est a fine aprile, l’1-1 di Ginevra con la Svizzera del 28 maggio fu piuttosto deludente, con Cabrini che nel finale evitò una sconfitta che nessuno aveva messo in conto. La stampa applicata al pallone, quella intellettuale che veniva vista come un oracolo, non le mandò certo a dire:

Se l’Italia vince il mondiale mi ritiro in convento

arrivò a dire Gianni Brera, senza poi naturalmente dare seguito a quell’annuncio una volta che la coppa tornò sull’aereo Alitalia che riportò la squadra a Roma. Anche l’ultimo test amichevole a Braga, ospiti della formazione locale dello Sporting, seminò più di un dubbio: vittoria stentata di misura, segna Graziani (e in sospetto fuorigioco). Bearzot derubrica tutto a semplice allenamento, ma i titoli dei giornali il giorno dopo non sono dello stesso avviso: “Putiferio azzurro”, “Baraonda Italia”, “Nazionale, un inferno”. Parrebbe l’incipit di una disfatta imminente, o comunque di una fine già segnata prima ancora di giocare.

ANCHE LA FEDERAZIONE “SCARICA” IL CT PRIMA DI GIOCARE

Alla “Casa del Baron”, sede del ritiro azzurro di Vigo, l’aria è piuttosto testa. Oltre 100 uomini armati presidiano la struttura, temendo attentati di qualche gruppo separatista (specie basco) in cerca di una vetrina mondiale. Un sondaggio svolto in Italia in quei giorni arriva a sostenere che appena l’1% degli italiani crede nella possibilità che la nazionale sia in grado di vincere il titolo. La coppa, a detta loro, è già nelle mani del Brasile. Anche il presidente federale Federico Sordillo non si mostra per nulla compiacente con staff tecnico e giocatori:

Se questa è l’Italia, allora torneremo subito a casa.

Sparare contro Bearzot e i suoi ragazzi sembrava essere diventato lo sport nazionale: in tv si sente di tutto, col il “Processo del Lunedì” che attacca persino sui premi qualificazione riservati ai giocatori, definiti alla stregua soldi pubblici (due deputati innescano la polemica: il solo Italo Cucci “difende” i calciatori, e di questo Bearzot gliene renderà giustamente merito).

C’è un senso di diffuso scetticismo squarciato solo da qualche voce estemporanea, vedi Gianni Rivera che predica calma e dice di aspettare le partite che contano. Il “Vecio” sussurra che il gruppo sta nascendo, e che nelle difficoltà si sta cementando. Ha una sola arma da utilizzare: renderlo quanto più estraneo dalle critiche e dal vociare che si sente in giro, aspettando che sia il campo a parlare per loro. Il debutto con la Polonia è alle porte e l’Italia ci arriva con le gambe a pezzi (in tutti i sensi).

(Credits: Getty Images)

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