ZINEDINE ZIDANE: I 50 ANNI DEL FRANCESE (FORSE) PIÙ GRANDE DI SEMPRE

Submitted by Anonymous on Thu, 06/23/2022 - 12:08
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Redazione
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Mezzo secolo di magie, veroniche e colpi di genio (e di testa). Mezzo secolo di amore sconfinato per il football, partendo dalle strade di Marsiglia fino ad arrivare a toccare il cielo con un dito, ad alzare i trofei più ambiti ai quali un giocatore o un allenatore può ambire.

Dopotutto già nel nome c’è una sorta di segno premonitore che in qualche modo avrebbe dovuto suggerire che si sarebbe trattato di una storia fuori dall’ordinario: perché Zinedine in arabo si traduce con “bellezza della religione”, e a pensarci bene Zidane ha incarnato una sorta di nuova religione applicata al calcio, idolatrato da stuoli di appassionati in ogni angolo del pianeta.

Un giocatore che ha fatto nuovamente innamorare una Francia che era uscita con le ossa rotte dopo la fine dell’epoca dei Platini, dei Giresse e dei Tigana, la generazione d’oro del calcio d’Oltralpe che aveva conquistato l’europeo di casa nel 1984, ma che si era fermata due volte in semifinale al mondiale (1982 e 1986) prima di mancare per due edizioni di fila la fase finale della Coppa del Mondo (1990 e 1994).

Serviva un nuovo leader attorno al quale ricompattarsi e Zizou avrebbe risposto ai desideri del popolo Blues, la maglia per la quale decise di giocare, anche se avrebbe potuto benissimo farlo con la nazionale algerina, essendo la sua famiglia di origini berbera, proveniente dalla regione della Cabilia.

CANNES, BORDEAUX E LA CHIAMATA DELLA JUVE

A far innamorare il giovane Zinedine del calcio, anziché Platini, fu un talento sudamericano che di nome faceva Enzo (chiamerà così anche il primogenito) e di cognome Francescoli, transitato per l’Olympique Marsiglia verso la fine degli anni ’80. Zidane all’OM c’era già passato qualche anno prima dopo aver mosso i primi passi in diverse società dell’hinterland marsigliese, prima che Jean Varraud, osservatore del Cannes, non lo convinse all’età di 15 anni a trasferirsi in Costa Azzurra.

È qui che Zizou comincia a farsi conoscere al grande pubblico: debutta in prima squadra appena 16enne, poi a 18 anni ne diventa titolare, contribuendo a portare il club in Coppa UEFA (stagione 1990-91). Siccome però l’anno dopo le cose vanno male, col Cannes che retrocede addirittura in seconda divisione, a dargli una chance arriva il Bordeaux, dove trova diversi futuri compagni di nazionale come Dugarry e Lizarazu, rivelandosi come uno dei giocatori più forti e continui del calcio transalpino della prima metà degli anni ’90.

Quando nel 1996 contribuisce a buttar fuori dalla Coppa UEFA il Milan, la sua fama cresce a dismisura e le sirene della Serie A cominciano a risuonare forti. Alla fine a spuntarla è la Juventus, che lo porta alla corte di Marcello Lippi per “soli” 7,5 miliardi di lire. A quelle cifre, quasi un “furto”.

LIPPI NEL DESTINO, POI LA MAGICA ESTATE 1998

Invero l’avventura juventina di Zidane non parte col piede giusto: fatica ad adattarsi ai ritmi del calcio italiano e viene messo seriamente in discussione dagli addetti ai lavori. Ma Lippi ne intuisce il talento sconfinato e decide di aspettarlo: il 20 ottobre 1996 Zizou si sblocca segnando su punizione nel 2-0 sull’Inter e da quel momento la sua stella comincia a brillare.

La Juve, plasmata sino a quel momento su un collaudato 4-3-3, passa al 4-3-1-2 affidando a Zidane le chiavi della fantasia (e della trequarti) e la stagione diventa una cavalcata in Italia e pure in Europa, interrotta solo dalla sfortunata finale di Champions persa col Borussia Dortmund.

L’anno dopo il copione si ripete: Zinedine è il faro dei bianconeri che la spuntano in campionato dopo un duello serrato con l’Inter di Ronaldo, ma in finale di Champions è il Real a negare al francese la prima gioia europea. Si rifarà con gli interessi nel mese successivo, trascinando la Francia alla vittoria nel mondiale di casa, che invero per lui comincia malissimo: nel finale del match giocato contro l’Arabia Saudita, a gara già abbondantemente in cassaforte (finirà 4-0), un fallo di reazione gli costa il rosso diretto e due giornate di squalifica.

Torna disponibile per il quarto di finale con l’Italia, dove segna uno dei 5 rigori della serie che consente ai Blues di avanzare in semifinale. Contro la Croazia non brilla, ma è in finale che esplode tutto il suo talento, risvegliando tutto il fuoco che sentiva ardere dentro: segna due reti nel primo tempo, entrambe di testa (una mezza rarità) ed entrambe decisive per affossare un Brasile che si smarrisce in fretta nella notte di Saint-Denis.

Dove non riuscì Platinì, arrivò Zizou: il rosso rimediato a inizio torneo era stato già condonato, la Francia era ai suoi piedi. E pure l’universo del calcio, tanto da mettere in bacheca il Pallone d’Oro a fine anno. A 26 anni, Zizou era davvero in cima al mondo.

IL TRIONFO A EURO 2000 E L’ADDIO ALLA SIGNORA

Il biennio successivo, però, non gli riserverà tante altre gioie. Il ciclo della Juve arriva a naturale conclusione, e sebbene l’arrivo di Ancelotti serva a Zidane per rilanciarsi dopo un infortunio e a migliorare anche sotto certi aspetti tattici, i trofei se li spartiscono altrove, tanto in Italia quanto in Europa.

Il 14 maggio 2000 subisce l’onta di uno scudetto perso all’ultima giornata nel naufragio (in senso letterale) di Perugia, ma come ancora di salvataggio arriva di nuovo la nazionale francese, che guida verso Euro 2000 con la voglia di vincere nuovamente un trofeo a due anni dal mondiale.

Superato abbastanza agevolmente il primo turno, nei quarti Zizou sale in cattedra firmando una delle due reti nel 2-1 sulla Spagna e poi ripetendosi siglando su rigore ai supplementari il golden gol che decide la sfida di semifinale con il Portogallo. In finale a Rotterdam il 2 luglio 2000 sulla strada dei Blues c’è di nuovo l’Italia: Delvecchio porta avanti di Azzurri, Wiltord li riprende a tempo scaduto mandando la partita ai supplementari, dove Trezeguet (di lì a poco suo compagno alla Juve) regala alla Francia il titolo continentale a 16 anni da quello vinto in piena era Platini.

È l’ennesimo trionfo internazionale di Zizou, che seppur in mezzo a qualche intemperanza di troppo (il carattere è pur sempre fumantino, specie quando parte la trebisonda…) rimane uno dei giocatori più forti del pianeta. Il ciclo con la Juve terminerà l’anno seguente con un altro scudetto mancato e la cessione a suon di miliardi (oltre 140) al Real Madrid.

Su quella cifra la Juve pone le basi per un nuovo ciclo, acquistando Buffon, Thuram e Nedved. Ma Zinedine grazie a quel trasferimento potrà colmare l’ultima casella mancante alla sua collezione.

NEL REAL DEI GALACTICOS ARRIVA ANCHE LA CHAMPIONS

A Madrid, in piena era “Galacticos”, a Zidane non resta che prendere la maglia numero… 5, dato il grande affollamento. Ma l’unica cosa che insegue è la Champions: in quegli anni il Real primeggia in Europa e puntualmente nel 2001-02 manda a referto il nono titolo europeo della sua storia, con Zizou che firma un gol meraviglioso che illumina la notte di Glasgow nel 2-1 sul Bayer Leverkusen.

È un cerchio che si chiude: conquistata anche la Champions, cui faranno seguito Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale, al talento marsigliese non resta che mettere le mani su una Liga, puntualmente centrata l’anno successivo. Ma quel Real, benché pieno di fuoriclasse (arriverà anche Ronaldo, dopo Beckham, Figo e Raul), non riuscirà a restare al vertice tanto a lungo, anche perché la carta d’identità comincia a pesare.

E anche la parabola in nazionale di Zizou di colpo si rivelerà assai più nefasta rispetto a quanto aveva raccontato precedentemente. Il flop ai mondiali nippocoreani è tremendo, ma Zidane salta le prime due gare per infortunio e nella terza è visibilmente indietro di condizione.

Nel 2004 parte forte firmando due gol con l’Inghilterra e uno con la Svizzera, ma nei quarti la sorprendente Grecia (che vincerà il torneo) spariglia le carte e butta fuori i campioni in carica. Resta il mondiale del 2006 come ultimo palcoscenico di una carriera comunque inimitabile, con tanto di annuncio ufficiale dell’intenzione di ritirarsi dal calcio giocato a fine torneo che arriva prima ancora del debutto.

L’ULTIMO ATTO: UN MONDIALE PERFETTO… FINO ALLA TESTATA…

Quel mondiale è una sorta di passerella d’addio, ma Zizou non è in vena di regali: fatica un po’ nella prima fase, poi sale in cattedra nel 3-1 sulla Spagna agli ottavi (dove va a segno), nel successo per 1-0 sul Brasile ai quarti (suo l’assist per il gol partita di Henry) e nella vittoria di misura sul Portogallo in semifinale, firmata da una sua marcatura su rigore.

In finale, 6 anni dopo, ritrova l’Italia e mezza Juventus: è lui ad aprire le danze, sempre dagli undici metri, dopo 7’, è lui che nei supplementari costringe Buffon alla parata più importante della sua vita su un colpo di testa che grida ancora vendetta. Poi però, con i rigori ormai alle porte e la possibilità di chiudere in gloria la propria carriera, arriva il momento in cui la luce si spegne: Materazzi fa trash talking, insultando la sorella di Zizou, che reagisce con una testata che sfugge all’occhio dell’arbitro, ma non alle telecamere che sugli schermi dello stadio fanno vedere inavvertitamente la scena al replay.

È il primo caso di var nella storia del calcio, anche se all’epoca il var era ancora… fuorilegge: tutti vedono il gesto compiuto da Zidane e sull’onda emotiva del momento il rosso dell’arbitro argentino Helizondo ne è la diretta conseguenza. Blatter lo accompagnerà negli spogliatoi e rinuncerà persino a tornare per la cerimonia di premiazione che vedrà l’Italia alzare la Coppa del Mondo disegnata più di 30 anni prima dall’artista Silvio Cazzaniga.

Il piano della FIFA e dello sponsor della manifestazione, quello di chiudere il torneo portando Zidane in gloria, fallì per colpa dello stesso giocatore. Fu quella la sua ultima immagine da calciatore, un modo assai inusuale per uscire di scena.

UN PREDESTINATO ANCHE DA ALLENATORE

Inusuale sarà anche la sua ascesa dal campo alla panchina, peraltro avvenuta a distanza di diversi anni da quella notte di Berlino. Per tre stagioni Zinedine rimane fuori dal calcio, poi il Real gli affida il ruolo di direttore sportivo (2009), poi di vice allenatore (2013), quindi nel 2014 direttamente la panchina del Castilla, la squadra B che milita in terza serie.

Ma nel 2016, dopo l’esonero di Rafa Benitez, il presidente Florentino Perez lo promuove su due piedi in prima squadra, dando una scossa a un gruppo che pareva essersi seduto dopo aver conquistato la decima Champions un anno e mezzo prima sotto la guida di Carlo Ancelotti (con Zizou a fargli da secondo).

Il piano di Perez funziona a meraviglia: cinque mesi dopo l’avvento di Zidane il Real torna a vincere la Champions, superando in finale i cugini dell’Atletico. E l’anno dopo va ancora meglio grazie al doblete Liga-Champions (in finale sulla Juve) che in casa merengues mancava da quasi 60 anni.

La terza Champions di fila, quella vinta nel 2018 contro il Liverpool, chiude un ciclo irripetibile e convince il tecnico a dimettersi dall’incarico. In realtà Zidane tornerà pochi mesi dopo per aprire un altro triennio scarso nel quale però fa in tempo a vincere “solo” una Liga, senza ripetersi in campo europeo. Alla fine del 2021 arriva la seconda separazione dal Real, in attesa che l’amico Deschamps dopo Qatar 2022 gli lascia la panchina della nazionale di Francia: dovesse vincere con i Blues anche da CT, allora bisognerebbe aggiornare una volta di più il libro dei record.

(Credits: Getty Images)

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