40 ANNI DI SPAGNA '82: LE CRITICHE POST CAMERUN

Submitted by Anonymous on Mon, 06/27/2022 - 11:27
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Redazione
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Vedi, l’Italia ha la straordinaria capacità di far diventare difficili i gironi facili.

Il Guerin Sportivo quarant’anni fa era una sorta di istituzione nell’affollato elenco di periodici e quotidiani che parlavano h24 di calcio. E quella vignetta, peraltro una delle più “soft” mostrate nella prima parte di quell’incredibile estate 1982, stava a significare che quando c’era da complicarsi la vita gli Azzurri sapevano come rendere le cose più complicate rispetto alle attese.

Il girone di Vigo era andato proprio in quella direzione: tutti temevano la Polonia, che solo nell’ultimo match contro il Perù (vinto 5-1) seppe mandare segnali forti e bellicosi al resto del contingente sbarcato in Spagna, dopo due 0-0 contro Italia e Camerun che avevano seminato tanti dubbi e perplessità. I sudamericani, a dispetto delle parole spesso un po’ altezzose del commissario tecnico Tim, naufragarono dopo essere stati (in parte) sorpresi dal Camerun all’esordio (altro 0-0) e aver fatto soffrire l’Italia nei secondi 45’ di una gara che fino all’intervallo Zoff e compagni avevano controllato senza affanni (1-1). Il Camerun, da tutti considerata la vittima sacrificale, andò invece a un passo da una clamorosa qualificazione alla seconda fase.

Solo il fatto di aver segnato un gol in meno rispetto all’Italia impedì ai Leoni Indomabili di andare oltre. Ma la stampa di mezzo mondo si concentrò piuttosto su un altro aspetto della gara con gli Azzurri, ancora oggi oggetto di discussione e teorie più o meno elaborate.

“MUNDIALGATE”, LA TESI (POSTUMA) DELLA COMBINE

Oliviero Beha, tra le penne più note e considerate del giornalismo italiano (sportivo e non solo), assieme a Roberto Chiodi, di fatto arrivò a “giocarsi” la carriera e venne cacciato da “La Repubblica” di Eugenio Scalfari per aver sbandierato ai quattro venti che quella partita fu sostanzialmente truccata. Tutto questo per aver riportato minuziosamente la ricostruzione dei fatti in un libro che il piccolo editore partenopeo Tullio Pironti decise di pubblicare dopo che la casa editrice Feltrinelli, che aveva già provveduto a stampare oltre 10mila copie, decise di interrompere la produzione, abbandonando il progetto.

Del resto l’argomento era piuttosto scottante: “Mundialgate” gettava un’ombra profonda su un’estate che il popolo italiano ritiene ancora oggi magica, e che pertanto non può e non deve essere sporcata da un “peccato veniale” commesso (parrebbe) alle spalle dei giocatori stessi. Perché ad orchestrare la combine furono direttamente i dirigenti federali, che chiesero aiutato a clan della camorra (tra gli altri venne coinvolto Michele Zazza) per parlare con i giocatori camerunensi e ricondurli a più miti consigli in cambio di denaro.

L’accordo suonava più o meno così: pareggiamo e andiamo via tutti felici e contenti. L’Italia, perché avrebbe passato il turno da seconda del girone (dopo il 5-1 del giorno precedente della Polonia, per passare come prima del gruppo A la nazionale di Bearzot avrebbe dovuto vincere almeno con 4 reti di scarto). Il Camerun, perché sarebbe tornato in patria imbattuto (impensabile una cosa simile alla vigilia) e con tanti bei soldini nelle tasche. Verità o leggenda, di quelle voci la FIFA non ne volle mai davvero sapere, e in generale nella memoria storica italiana il ricordo di quelle accuse s’è dissolto rapidamente. Beha è scomparso nel 2017, portandosi dietro tanti segreti e la stima di chi a quel mondiale “pulito” non ha mai voluto credere.

BEARZOT, MOSSA EXTRA CAMPO: COMINCIA IL SILENZIO STAMPA

Questa storia sarebbe affiorata un paio d’anni dopo il mundial, ma in quei giorni il clima attorno alla nazionale era piuttosto rovente. L’idillio, se mai ci fosse stato, era ormai spezzato: il silenzio stampa imposto dal Bearzot, concordato con i suoi ragazzi, fu uno schiaffo in pieno volto rivolto all’indirizzo di quei giornalisti che ci andavano giù pesanti nei commenti e nelle analisi, ma che adesso si vedevano “sfidati” sul loro stesso terreno.

La prestazione decisamente sottotono offerta contro gli africani, e il sollievo al pensiero che dopo aver subito il pari di M’Bida quasi rinunciarono a giocare per vincere (altro elemento che avvalorò la tesi della combine), convinsero molti che il trasferimento a Barcellona sarebbe stato un inutile sperpero di denaro, o forse solo un modo per avvicinarsi all’Italia risparmiando qualche decina di minuti di viaggio al ritorno (la Catalogna è più vicina rispetto alla Galizia). Argentina e Brasile, le rivali pescate nel calcolo un po’ pazzo degli abbinamenti del secondo turno, apparivano alla stregua di ostacoli insormontabili: l’albiceleste, campione in carica (seppur battuta proprio dall’Italia 4 anni prima, gol di Bettega), aveva un Maradona in più nel motore e sarebbe stata la prima rivale da affrontare.

La Seleçao di Tele Santana era semplicemente fuori portata per chiunque: Zico, Eder, Falcao, Socrates e Juninho, giusto per citare qualche nome, facevano paura solo al pensiero di essere affrontati in campo. Bearzot poi non aveva fatto nulla per dar modo alla stampa di pensare che le cose sarebbero potute cambiare in fretta: continuava a far giocare Rossi lasciando in panca Altobelli, Selvaggi, Serena, Dossena e Massaro, e ormai era rimasto il solo a credere che Paolo (non ancora Pablito) avrebbe potuto riprendere in mano il proprio destino. Il silenzio stampa non aiutò a stemperare la tensione: ogni volta che lo sguardo di un giocatore incrociava quello di un giornalista, il rischio di prendersi a mali parole o venire alle mani era dietro l’angolo. A Barcellona faceva caldo, ma in casa Italia probabilmente anche di più.

(Credits: Getty Images)

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