DAMIANO TOMMASI, DA SINDACALISTA A SINDACO: POCHE PAROLE, MAI BANALI

Submitted by Anonymous on Mon, 06/27/2022 - 16:42
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Redazione
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Di tutte le vie che avrebbero potuto condurlo a guidare uno dei comuni più importanti del Nord, Damiano Tommasi ha scelto forse la più impervia. Perché ogni promessa è un debito e adesso ad attenderlo ci sarà nientemeno che… lo Stelvio. Tutta “colpa” di una battuta fatta in campagna elettorale, alla quale ora dovrà dare compimento per dimostrare che l’uomo nuovo della politica veronese sa essere eccome di parola.

Datemi solo un po’ di tempo per rimettere a posto le gambe ed entrare in condizione, poi sullo Stelvio ci andiamo e ci facciamo una bella ascesa

ha sentenziato a pochi minuti dall’annuncio ufficiale della sua vittoria nella città scaligera, nella quale ha superato il sindaco uscente Sboarina. Tommasi ha saputo bucare lo schermo e convincere i veronesi a dargli fiducia al di là di qualsiasi appartenenza politica, benché si fosse presentato nelle liste del centrosinistra: a vincere è stato l’uomo, prima ancora che il politico, che peraltro sino a pochi giorni fa si era cimentato unicamente nell’agorà del mondo del pallone, cercando sempre e comunque di tutelare gli interessi dei più deboli e delle categorie maggiormente sfruttate (vedi quelle dei calciatori, e non necessariamente di primo piano).

UNA VITA DA MEDIANO, NEL VERO SENSO DELLA PAROLA

Se lo chiamavano il “sindacalista” della Roma di Totti un motivo doveva pur esserci: l’indole a tenere bene a mente i diritti suoi e dei compagni di squadra ha sempre rappresentato una sorta di vocazione per Damiano, sin dai tempi in cui in mezzo al campo portava legna al servizio dell’allenatore di turno.

Una sorta di mediano 2.0, sbarcato sul suolo della Serie A una quindicina d’anni dopo l’altra generazione di mediani, quella incarnava alla perfezione di Lele Oriali e resa celebre nei versi di una canzone di Ligabue. Tommasi, nato a Negrar in piena Valpolicella il 17 maggio 1974, di quella vocazione da gregario ne ha fatto una sorta di stile di vita, dentro e fuori dal campo.

Carattere schivo e introverso, ma guai a confonderlo con timoroso e privo di personalità: parlerà poco, Damiano, ma quando apre bocca l’eco delle sue parole riecheggia nell’aria. Perché non è il tipo che si nasconde dietro a un dito: ogni volta che c’è stato da discutere, lui non s’è tirato mai indietro. Così come indietro non ha mai tirato la gamba quando c’è stato da battagliare in mezzo al campo: nel boom dei fantasisti e del gioco offensivo, Tommasi era amato dai suoi allenatori proprio per la sua semplicità di manovra, che era un vero e proprio trade union tra il modo di fare calcio del passato e l’interpretazione dei moderni schemi tattici.

Nel Verona conosce la prima ribalta, guadagnandosi sul campo la promozione in Serie A, ma è a Roma che diventa il giocatore che tutta Italia impara a conoscere: arriva nell’estate che porta in giallorosso Carlos Bianchi, allenatore argentino che litigherà un po’ con tutti, ma che non si priverà mai del suo Damiano in mezzo al campo. E così faranno Liedholm, Zeman, Capello e Spalletti. Nella Capitale Tommasi resterà 10 anni, collezionando 351 presenze e andando a segno 21 volte.

Le ultime stagioni saranno le più tribolate, complici infortuni gravi che ne rallentano la carriera. Lui anche in questo caso dimostra la persona che è decidendo di ringraziare la Roma per averlo aspettato un anno (quello 2004-05, interamente passato ai box) sottoscrivendo un contratto al minimo sindacale (1.500 euro al mese). Nel 2006 saluta la Roma regalandosi un biennio al Levante in Spagna, poi una comparsata al QPR in Inghilterra, infine un anno in Cina, aprendo una nuova frontiera (è il primo italiano a militare nella serie locale).

Poi chiuderà nei dilettanti, tornando a giocare vicino casa al Ant’Anna di Alfaedo (Seconda Categoria), quindi con i sammarinesi de La Fiorita, tentando l’accesso in Champions dai preliminari. In mezzo a tutto questo trova pure il modo di raccogliere 25 gettoni in azzurro: esordisce con Zoff nel 1998, poi però è Trapattoni (uno che di mediani se ne intende…) a portarlo stabilmente nel giro della nazionale, tanto che nella sfortunata spedizione mondiale 2002 Tommasi è uno dei pochi a disputare per intero tutte e 4 le gare dell’Italia, che saluterà a fine 2003 con un gol all’attivo (in amichevole contro il Marocco). La gioia più grande rimane il titolo europeo conquistato nel 1996 con l’Under 21, con la quale prenderà poi parte alla fallimentare spedizione olimpica di Atlanta.

DAL CAMPO ALLA SCRIVANIA, UN DECENNIO DI “PASSIONE”

Dal 2011 la carriera di Tommasi si sposta anche dietro la scrivania: diventa il nuovo presidente dell’Asso Calciatori, succedendo allo storico predecessore Campana, e fino al 2020 cercherà in ogni modo di far valere i diritti dei calciatori, con particolare attenzione a quelli che militano dalla terza serie in giù. Nel 2018 Gravina lo vorrà con sé nel consiglio federale della FIGC (erano stati avversari nella tornata elettorale), ma un vincolo di ineleggibilità di componenti AIC farà decadere l’incarico.

La fine del rapporto con il sindacato dei calciatori, arrivata a giugno del 2020, certifica la volontà di Damiano di staccare col mondo del calcio, preferendo volgere il proprio sguardo altrove. E quando a inizio 2022 si presenta l’opportunità di correre per la carica di sindaco di Verona, l’ex beniamino del pubblico scaligero accetta la sfida. Il resto è storia delle ultime ore, con l’ex mediano eletto primo cittadino di una città tornata a competere a livelli importanti anche nel mondo del calcio, dopo che l’estate scorsa la mancata iscrizione del Chievo aveva disperso un grande patrimonio calcistico nazionale (ma non è detta l’ultima parola). Tommasi ha vinto ponendo i propri “valori” davanti a tutto: forse per questo il pallone ormai gli andava stretto.

(Credits: Getty Images)

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