40 ANNI DI SPAGNA '82: POST ITALIA-ARGENTINA... E TUTTI SALIRONO SUL CARRO

Submitted by Anonymous on Sat, 07/02/2022 - 16:04
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Redazione
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Volavamo a un metro da terra, dopo che fino a una manciata di ore prima in tutta Italia c’erano fosse scavate ovunque, complice il desiderio di nascondersi da un disastro annunciato. Era bastata una prova gagliarda e di grande impatto contro i campioni in carica dell’Argentina per risvegliare speranze sopite e tornare a credere che quell’Italia di Enzo Bearzot, così tanto vituperata e piena di dubbi e incongruenze, avesse davvero una seppur minima chance di centrare un piazzamento finale di assoluto prestigio.

Da qui a pensare di alzare la coppa nel cielo di Madrid ancora ce ne passava, ma qualcosa lentamente cominciava a muoversi. Anche e soprattutto nella stampa, quella che fino al debutto nel girone della seconda fase, salvo rare eccezioni, era allineata e decisamente in aperta polemica con la squadra e la gestione tecnica del commissario tecnico.

Che poi a tutto quell’astio non aveva certo contribuito a stemperare gli animi il silenzio stampa imposto dai giocatori, e accettato (seppur non proprio a cuor leggero) dallo stesso Bearzot, inizialmente contrario alla misura. Ma quel 2-1 sugli argentini contribuì a spazzare via dubbi e perplessità, richiamando una sorta di “formula magica” che aveva avuto effetti benefici e tali da rimettere la nazionale sui binari desiderati. Non era dunque solo una questione di scaramanzia: il silenzio aveva funzionato e profanarlo sarebbe stato un delitto.

CUCCI E IL GUERIN SPORTIVO, GLI UNICI AD AVERCI SEMPRE CREDUTO

 “Viva l’Italia” è il titolo scelto dal Guerin Sportivo per celebrare il primo successo nel mundial spagnolo. Curioso che a fare le veci di quell’ondata di ritrovato ottimismo fosse un settimanale, anziché i consueti quotidiani sportivi. Tutta colpa di uno sciopero di tre giorni proclamato dai sindacati dal 1° al 3 luglio, normale amministrazione in un periodo di forti tensioni sociali.

Così tocca al Guerin Sportivo e alla sua firma per eccellenza, quella di Italo Cucci, interpretare i sentimenti degli italiani in quel primo scorcio di luglio. Cucci, va detto, fu uno dei pochissimi a dirsi convinto che le scelte di Bearzot fossero buone. Non seguì la corrente generalista che vedeva il marcio dappertutto, aveva dato credito a quella nazionale, ma per sua stessa ammissione dopo la gara con l’Argentina disse che quanto fatto dagli Azzurri andò persino al di là delle sue più rosee aspettative.

Sottolineando però quanto fosse scorretto il fatto che tutti coloro che per mesi avevano criticato apertamente il “Vecio” adesso fossero i primi a voler salire sul carro, lodando non solo la vittoria in sé, ma anche la maniera con la quale venne raggiunta. Una vittoria “all’italiana”, figlia delle convinzioni del commissario tecnico, delle sue scelte e del suo pragmatismo. Il Guerino era stato il primo a credere che tutto quello potesse prendere forma e vita, ma adesso tutti volevano accaparrarsi un pezzettino di paternità di quella benvenuta rivoluzione. Anche se a qualcuno tutto quell’entusiasmo sembrava esagerato, pensando che per poter davvero cantare vittoria ci sarebbe stato da abbattere anche l’altro gigante sudamericano, peraltro quello considerato il vero favorito per la vittoria finale.

L’ALTRO PROBLEMA: IL BRASILE, UNA SQUADRA FUORI PORTATA

Dopo aver lodato la marcatura di Gentile su Maradona, la forza bruta sulla fascia di Cabrini, l’intelligenza tattica di Tardelli e le spaventosi doti di accelerazione di Conti, il 2 luglio 1982 l’Italia intera venne riportata ad altezza terra dalla lezione di calcio e di gioco che il Brasile seppe offrire al cospetto dell’Argentina. Che era condannata a vincere per tenere vive le speranze di accedere alle semifinali, ma che di fatto non riuscì mai davvero a entrare in partita. Quel Brasile era fuori portata per l’albiceleste, per giunta stanca e sfibrata dopo la battaglia di 72 ore nel catino bollente del Sarrìa, teatro anche del derby del Sudamerica.

Dopo soli 12’ una punizione bomba di Eder, appena sporcata da Fillol sulla traversa, divenne terreno di caccia di Zico, che anticipò persino Serginho scaraventando la palla in rete. Il fatto che nessun difensore argentino pensò di andare nei pressi della palla, letteralmente bruciati dallo scatto del tandem verdeoro, testimonia quanto quella partita fosse segnata in partenza, con l’undici di Menotti già con la testa sulla scaletta dell’aereo che l’avrebbe riportati in patria. Il Brasile per un’ora sembrò quasi accontentarsi: sapeva di dover vincere con due reti di scarto per garantirsi la possibilità di far leva anche su un pari nell’ultima sfida del girone contro l’Italia.

Ma quando Falcao scodellò per la testa di Serginho un pallone al bacio, con su scritto “appoggiami in rete”, il programma venne rispettato alla lettera. Il terzo gol di giornata fu ancora più bello: triangolo tra Junior e Zico, con filtrante meraviglioso di quest’ultimo per il compagno e diagonale imparabile che vale il 3-0. La sventola mancina di Diaz a tempo scaduto, con Maradona già sotto la doccia (rosso diretto per un fallaccio su Batista in risposta all’ennesimo fallo subito per mano dei brasiliani, che evidentemente avevano studiato da Gentile…) e Zico a sua volta costretto a uscire per i postumi di un colpo un po’ troppo duro subito da Passarella, serve solo a rendere meno amaro il passivo. All’Italia appena risorta dalle proprie ceneri sarebbe servita un’impresa ancora più grande, perché quel Brasile pareva oggettivamente fuori portata, per chiunque.

(Credits. Getty Images)

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