40 ANNI DI SPAGNA '82: LA VIGILIA DI ITALIA-POLONIA

Submitted by Anonymous on Thu, 07/07/2022 - 13:07
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Redazione
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Fatta l’Italia, bisognava fare gli italiani. Camillo Benso, conte di Cavour, questa frase la pronunciò 80 anni prima di quella torrida estate 1982
nella quale il caldo non era che un fedele alleato, perché almeno invogliava più persone a tuffarsi nelle fontane e festeggiare lo splendido percorso della nazionale di Enzo Bearzot nel mondiale di Spagna.

Quell’Italia che in verità s’era fatta da sola, nata nella testa (cocciuta?) del commissario tecnico, benché avversata in ogni modo e forma possibile da quasi tutta la stampa specializzata (sigh!), aveva però fatto qualcosa che nemmeno nei giorni in cui venne sancita la nascita dello Stato apparve realmente possibile agli occhi dei politici del tempo.

Perché qui non c’era bisogno di “fare gli italiani”, in quanto per farli sentire tale erano bastati i gol di Rossi e le parate di Zoff, unitamente al lavoro di tutti i protagonisti delle due gare del girone di Barcellona. Dove la nazionale era entrata per il rotto della cuffia, con la prospettiva di restare a guardare ciò che avrebbero fatto le due sudamericane, ma con la scusa buona di poter dire di essere uscita dalla rassegna al cospetto delle due squadre più forti e temute.

Invece i voli per il Sudamerica avevano già acceso i motori mentre l’Italia del “Vecio” si rilassava a bordo vasca nel cortile con piscina dell’hotel “El Castillo” di Sant Boi de Llobregat, quello scelto dalla FIGC per alloggiare anche in vista della semifinale con la Polonia. Che si sarebbe giocata ancora a Barcellona, ma stavolta nel più capiente Camp Nou.

L’ITALIA, LA POLONIA E IL LORO MONDIALE VERSIONE DIESEL

Se fino a una settimana prima il problema era rappresentato da come convincere gli italiani ad essere positivi (il Covid ancora non era un problema… bei tempi…), dopo il 3-2 sul Brasile la vera sfida era riuscire a smorzare i facili entusiasmi che quel successo aveva generato.

Chi voleva tuffarsi nelle fontane delle principali città della penisola poteva farlo tranquillamente, ma chi andava in tv o scriveva sui giornali magari avrebbe fatto bene a non esagerare con i toni trionfanti. Vero è che in quel momento esatto tutti ebbero la percezione che qualcosa stava per succedere, e che a fatica si comprendeva chi e cosa avrebbe potuto impedire agli Azzurri di arrivare fino in fondo a quella competizione.

Non di certo la Polonia, affrontata dall’Italia nella gara d’esordio del mundial appena tre settimane prima, temuta alla vigilia ma poi rivelatasi ben poca cosa, con tanto di vivi rimpianti per non essere riusciti a vincere una gara dominata per un tempo e controllata nella ripresa.

Polonia che peraltro, proprio come l’Italia, avrebbe cominciato ad aumentare i giri del motore strada facendo: il 5-1 sul Perù era servito per evitare il girone di ferro del Sarrìa, dove furono spediti Zoff e compagni, ma il netto 3-0 sul Belgio vice campione d’Europa (tripletta di Boniek), buono per ipotecare il passaggio alle semifinali, cui fece seguito il pari a reti bianche contro l’URSS in una sfida dai risvolti certamente politici (in Polonia a quel tempo era appena stata sospesa l’attività di Solidarnosc), convinse più d’uno a dare credito ai polacchi. Che però avevano una brutta gatta da pelare, di sicuro più di quanto non l’avessero gli Azzurri.

BONIEK E GENTILE SQUALIFICATI: CHI CI GUADAGNAVA?

Il secondo cartellino giallo rimediato nel corso del torneo proprio nel match contro l’URSS costò a Zibì Boniek la possibilità di affrontare l’Italia e molti dei suoi futuri nuovi compagni, dal momento che di lì a poco si sarebbe trasferito alla Juventus. Una Polonia senza Boniek faceva meno paura e questo alimentava le ambizioni degli italiani, quelli rimasti a casa o al più destinati a prendere posto in tribuna. Ma alimentava anche le voci dei bastian contrari all’indirizzo del “solito” Bearzot.

Il concetto era semplice: se prima era sostanzialmente inadatto a fare il commissario tecnico, al netto delle scelte decisamente non convenzionali adottate già a partire dalla scelta dei 22 per il mondiale, adesso si ritrovava di fronte a una strada talmente spianata che anche un bambino avrebbe portato a casa la coppa. Il “Vecio” al solito non si lasciò trasportare dalle voci di popolo: battendo il Brasile aveva appena dimostrato di aver avuto ragione con le sue scelte al limite della testardaggine, vedi la perseveranza nel voler attendere Paolo Rossi, esploso nella partita dove non c’era più una via d’uscita. Ma non se la sentiva affatto di definire i suoi alla stregua di favoriti per la vittoria finale.

Restava ligio al suo ruolo e al modo col quale gli piaceva affrontare le vigilie: parlava con i suoi ragazzi, dettava la linea da seguire, poi sostanzialmente si metteva in attesa della partita, fiducioso che tutto sarebbe andato nel verso sperato. Ma sotto sotto aveva paura di dilapidare una dote tanto cospicua: in semifinale avrebbe dovuto fare a meno di Claudio Gentile, l’uomo che aveva fermato prima Maradona e poi Zico (o quantomeno quest’ultimo lo aveva limitato assai), poiché squalificato proprio come Boniek.

Al suo posto avrebbe giocato Beppe Bergomi, imperturbabile al netto dei suoi 18 anni nel debutto mundial contro il Brasile. E in Italia erano convinti che Marini avrebbe rilevato l’acciaccato Collovati, così come il giovane Dossena sarebbe stato preferito a Tardelli, uscito malconcio dalla sfida con la Seleçao.

Ma pur cambiando gli addendi, il risultato non sarebbe dovuto cambiare. Con buona pace del più illustre inquilino delle stanze vaticane: Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II, a sua volta incollato alla tv a partire dalle 17 come milioni di italiani anche nei dintorni di San Pietro.

(Credit: Getty Images)

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