ELOGIO DI WOUT VAN AERT, L'UOMO CHE HA PORTATO IL CICLISMO NEL FUTURO

Submitted by federico.tireni on Tue, 07/26/2022 - 10:47
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Redazione
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Come può un ragazzo di 191 centimetri essere dominante in volata, devastante a cronometro, impetuoso in salita e persino famelico ogni volta che ci sia una fuga o un pertugio in cui andare a cercare gloria? Se cercate una risposta a tutto questo, tre parole soddisferanno la vostra curiosità: Wout Van Aert. Che sta al ciclismo moderno come nessun altro corridore è mai stato al ciclismo del passato, evidentemente perché i tempi cambiano e saperli interpretare e assecondare è l’unica cosa che conta per davvero.

Van Aert c’è riuscito da diverse stagioni a questa parte, ma mai come nell’ultimo Tour de France ha amplificato il concetto, portandolo alla massima potenza. Perché otto volte è finito sul podio di tappa, e in tre di queste occasioni ha messo la sua ruota davanti a quella dei rivali. E non contento, ha persino “deciso” a tavolino chi dovesse essere il vincitore della terzultima frazione del Tour, lasciando andare il compagno di squadra Laporte e rinunciando di fatto a giocarsi la vittoria in volata.

Oscurare quanto fatto da Vingegaard e Pogacar era praticamente impossibile, ma Wout s’è preso ben più di una fetta di gloria. L’MVP della corsa per distacco, il vero deus ex machina di una nuova generazione di ciclisti che non fa rimpiangere quelli delle epoche passate, riconsegnando al pedale un fascino e un’imprevedibilità inseguite per almeno un paio di decenni.

TRASFORMATO DALLA RIVALITÀ CON VAN DER POEL

Van Aert, più che un corridore, è un atleta a 360 gradi. Uno che non conosce soste né sa dare contezza al significato della parola “riposo”, se è vero che 9 mesi all’anno corre sulla bici da strada e nei restanti tre va a caccia di titoli nel ciclocross, quella che era, è e sarà sempre la sua prima passione.

La scintilla per il pedale è scoccata proprio sui sentieri di campagna, quelli infangati e pieni di insidie, la scuola migliore dove poter allenare muscoli e riflessi, l’anticamera di un modo nuovo di essere ciclisti. Il belga ne è uno degli uomini copertina, assieme al rivale di sempre Mathieu van der Poel, quello che l’ha spinto oltre i propri limiti e senza il quale probabilmente l’intera carriera di Wout avrebbe preso altre strade.

Proprio la competizione contro il collega olandese è stata la miccia che ha fatto esplodere un talento inesauribile, divenuto oggi il punto di riferimento di ogni appassionato o giovane corridore. La testa ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo anche tecnico di Van Aert, passato per un infortunio grave rimediato al Tour del 2019 e per qualche sconfitta che a un certo punto della carriera sembrava quasi averne scoraggiato l’intenzione di diventare ciò che è diventato. Per fortuna, senza alcun esito.

ALLA SCUOLA DEL CICLOCROSS, BEN PIÙ DI UN PRIMO AMORE

Herentals, la città dove è nato, era già nota al mondo del ciclismo per aver consegnato un campione del calibro di Rik van Looy. In casa Van Aert però la bici aveva già fatto capolino grazie al cugino olandese Jose, professionista a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. In realtà con Wout non è che si frequentassero fino a che quest’ultimo non abbia cominciato a far parlare di sé.

Nel ciclocross, il primo amore, ha impiegato poco a farse conoscere: un titolo mondiale e uno europeo Under 23 nel 2014, poi tre mondiali elite filati dal 2016 al 2018, in mezzo a una marea di vittorie in Coppa del Mondo (tre coppe in bacheca), Superprestige e altre manifestazioni collegate.

Il duello con MVDP non passa inosservato e si sposta a partire dal 2019 anche su strada, dove dopo tre stagioni di apprendistato il belga comincia a fare sul serio, con la Jumbo Visma che per prima ne intuisce le potenzialità. Nelle classiche del Nord si fa vedere, a cronometro è già un fattore (vince il titolo nazionale), poi va al Tour dove comincia fortissimo e dove indossa la maglia bianca di miglior Under 25.

Proprio a cronometro, però, stringendo troppo una curva si procura una profonda ferita alla coscia destra e un infortunio al ginocchio, con conseguente operazione che peraltro non va neppure troppo bene e che ne mette a repentaglio la carriera. Quando torna, a fine anno, il cross gli serve per riprendere il feeling con il mezzo, con la pandemia che lo aiuta ad avere più tempo per rimettersi in sella anche su strada.

DALLO STERRATO ALLA STRADA, COME SE NULLA FOSSE

L’estate 2020 diventa il punto di non ritorno: pronti via e s’impone alle Strade Bianche, ripetendosi pochi giorni dopo alla Milano-Sanremo di ferragosto quando in volata batte Alaphilippe, che si prenderà la rivincita due mesi dopo a Imola nel campionato mondiale. Allo sprint, contro van der Poel, perderà anche il Fiandre, ma ormai Van Aert è un fattore ad alti livelli e tutti sanno di dover fare i conti con lui.

Comincia a vincere tappe al Tour, dove nel 2021 s’impone sulla vetta mitica del Ventoux, mostrando doti di ottimo scalatore. Piazza qualche acuto nelle classiche del Nord (vedi Gent-Wevelgem e Amstel Gold Race), vince l’argento nella prova in linea ai Giochi Olimpici di Tokyo, deve inchinarsi per due anni di fila a Ganna nelle cronometro iridate e nel 2022 sale sul podio sia alla Roubaix che alla Liegi, senza però riuscire a spuntarla.

Il Tour capolavoro appena concluso lo rimette nuovamente al centro della scena: mai negli ultimi due decenni si era potuto assistere a un simile dominio in una corsa a tappe da parte di un corridore poliedrico come nessun altro. Vederlo correre è uno spasso, perché con lui non sai mai cosa può succedere. Ha portato il ciclismo nel futuro, ma ha ancora tanto da far scoprire.

(Credits: Getty Images)

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