2 AGOSTO 1998, IL GIORNO IN CUI PANTANI DIVENNE IL NUOVO RE DI FRANCIA

Submitted by Anonymous on Tue, 08/02/2022 - 13:55
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Redazione
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”Perché vado così forte in salita? Per abbreviare l’agonia”.
Quella frase, Marco Pantani l’ha ripetuta chissà quante volte in vita sua a chi gli chiedeva come fosse possibile che sui pedali andasse tanto forte non appena la strada cominciava a salire. Di quella leggerezza e sfrontatezza in montagna, Marco da Cesenatico ne ha fatto più di un semplice biglietto da visita. Un modo di correre come forse mai si era visto prima, perché di bravi scalatori ne è piena la storia del ciclismo, ma quel che faceva Pantani e il modo col quale arringava le folle con un semplice battito di pedale è qualcosa che nessuno aveva fatto prima, e che in fondo nessuno ha mai fatto dopo. E se c’è un manifesto dell’essere Pantani, tanto in salita quanto nella vita, niente di meglio del Tour 1998, l’edizione più tribolata di sempre, quella che per qualcuno non sarebbe nemmeno potuta esistere, soprattutto quella che avrebbe potuto portare alla fine della Grand Boucle, gettando un’ombra oscura su decenni di storia. Se il Tour salvò la faccia, e in parte anche la sua eredità nel mondo dello sport, molto del merito fu certamente di Marco Pantani. Il salvatore del Tour de France 1998, la sua vittoria più bella e memorabile tramandata ai posteri.

L’ULTIMA DOPPIETTA GIRO-TOUR DELLA STORIA
Il 2 agosto 1998 a Parigi veniva incoronato il nuovo Re di Francia. Il mondo quel giorno era tutti attorno al podio, non ancora con i Champs Elysees sullo sfondo: Pantani sul gradino più alto, di giallo vestito, Jan Ullrich alla sua destra, spodestato un anno dopo aver conquistato la corsa gialla. La rivalità più atipica di quegli anni, che erano terreno fertile per gente che andava come un siluro a cronometro, ma che raramente vedeva gli scalatori chiudere un grande giro davanti a tutti. Pantani era più che mai l’uomo del momento: un mese e mezzo prima aveva conquistato la vittoria al Giro d’Italia, complice da un lato il crollo inatteso e perentorio di Alex Zulle (che a cronometro aveva creato una voragine tra se e i rivali) e dall’altro la grande strategia della Mercatone Uno, perfetta nel mettere le ali al Pirata all’inizio dell’ultima settimana grazie alla fuga decisiva (con Beppe Guerini) nel tappone dolomitico, e poi brava a coprire il capitano dal ritorno del russo Pavel Tonkov. Un canovaccio che tornó utile anche per il Tour, dove Ullrich fece il vuoto grazie alla sua abilità nelle corse contro il tempo, obbligando Pantani a tentare l’azzardo della vita nella tappa che apriva la terza settimana.

IL DUELLO CON ULLRICH, DUE MONDI AGLI ANTIPODI
Prima della frazione che avrebbe portato la carovana gialla da Grenoble a Les Deux Alpes il ritardo dalla testa della classifica era di tre minuti abbondanti. Marco a un certo punto era sprofondato a cinque e passa minuti dal tedesco, che aveva sfruttato a meraviglia le prime sue crono, poi però sulle montagne la risposta del campione di Cesenatico non s’era fatt attendere, con un paio di minuti prontamente recuperati. Quel 27 luglio 1998 però c’era bisogno di qualcosa in più di una semplice impresa: Pantani partí a oltre 50 chilometri dall’arrivo, mise in crisi Ullrich che patì enormemente il freddo e scollinò sul Galibier con oltre tre minuti di ritardo. Tra discesa e asperità finale il distacco andò aumentando e alla fine per il Kaiser fu un massacro, con quasi 9’ di ritardo. Pantani vestì la prima maglia gialla in carriera, firmando un’impresa d’altri tempi.

LA FORZA DI METTERCI SEMPRE LA FACCIA
Ullrich non si sarebbe più fatto staccare nelle successive tappe, ma di terreno per recuperare ormai ce n’era poco. Nemmeno la crono del penultimo giorno, dove recuperò un paio di minuti e mezzo, servì per ribaltare le cose. In mezzo però c’era stata anche la protesta dei corridori, che a tre giorni dall’arrivo a Parigi decisero di scioperare per le condizioni estreme a cui venivano sottoposti, con continui controlli da parte della gendarmeria alle ore più inattese della notte dopo che a inizio Tour era scattato lo scandalo Festina, con la squadra costretta e ritirarsi per via del ritrovamento di sostanze proibite dopo un controllo effettuato su persone riconducibili alla squadra. Il ciclismo fu sul punto di non ritorno: Pantani stava per “perdere” il Tour, ma si mise a capo della protesta. Ci mise la faccia perché sapeva quanto ciò avrebbe significato per i suoi colleghi, molti dei quali sconosciuti ai più. Seppe cioè mettere davanti gli interessi altrui a quelli propri, come un vero leader sapeva e doveva fare. Ciò che non avrebbero fatto con lui un anno dopo, quando a Campiglio la (ormai conclamata) congiura nei suoi confronti gli costò Giro e carriera.

IL GIORNO DI GLORIA CHE RIPAGAVA UNA VITA DI SACRIFICI
Quel 2 agosto a Parigi arrivó vestito di giallo un uomo che il ciclismo moderno non aveva mai visto prima. L’ultimo in grado di fare la doppietta Giro-Tour nello stesso anno, l’ultimo ad aver davvero scaldato i cuori della gente, senza distinzione di etnia o provenienza. Perché Pantani quando scattava metteva d’accordo tutti, talmente bello e folgorante era lo spettacolo che offriva. Quel giorno l’Italia era davvero un popolo unito e compiaciuto nel suo nuovo simbolo, capace di rinverdire i fasti di un tempo e di rendere orgogliosa un’intera nazione. Quel giorno Marco Pantani era un uomo felice, perché dopo aver penato a lungo stava finalmente assaporando il dolce sapore della vittoria. Sarebbe stata una gioia travolgente ma altrettanto breve, spazzata via un anno dopo da fatti che col ciclismo poco avevano a che vedere. Ma quel giorno era soltanto il suo. E 24 anni dopo la lacrimuccia ancora scende al pensiero.

Credits Getty Images

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