EUROBASKET: L'ITALIA TRA RIMPIANTI, ORGOGLIO E UN FUTURO TUTTO DA VIVERE

Submitted by federico.tireni on Thu, 09/15/2022 - 13:25
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Averci fatto la bocca vuol dire tutto e non vuol dire niente. Essere arrivati a un tiro libero (anzi, due) o a un canestro dalle semifinali significa aumentare soltanto il rimpianto per non esserci andati, il che fa tutta la differenza del mondo in uno sport che a volte sa essere crudele come nessun’altra disciplina nell’universo sportivo. L’Italia del Poz s’è portata via da Berlino un mare di applausi e la sensazione di averci provato, ma forse anche di aver gettato alle ortiche un’occasione che chissà quanto mai ricapiterà.

Perché erano 5 anni che il basket europeo non viveva la sua competizione regina, e quando tra tre anni si tornerà a giocare nell’edizione ospitata dalla Lettonia (Cipro e Finlandia daranno una mano per ciò che riguarda la fase a gironi, e forse anche l’Ucraina) l’orizzonte potrebbe essere stato capovolto nuovamente.

Insomma, c’era un treno e l’Italia c’è saltata sopra con tutta la buona volontà, salvo poi vedersi costretta a scendere quando la destinazione già cominciava a intravedersi sullo sfondo. E checché ne dica la gente, adesso è il momento dello sconforto e del dispiacere. Seppur di motivi per guardare al futuro con rinnovato ottimismo ce ne dovrebbero essere abbastanza.

 

FONTECCHIO COME BAGGIO, MA IL FUTURO È TUTTO SUO

Più di tutti, stanotte a prendere sonno ha faticato Simone Fontecchio. Che è un po’ quello che Roberto Baggio ha rappresentato per l’Italia calcistica del 1994, quella che si fermò ai rigori a Pasadena al cospetto del Brasile. Baggio si prese carico di una squadra che già stava fotografando nella propria testa l’immagine della scaletta dell’aereo che l’avrebbe riportata in Italia (per stessa ammissione del CT Arrigo Sacchi).

Poi arrivò la stoccata nel finale dell’ottavo con la Nigeria e da quel momento il mondiale degli azzurri prese tutta un’altra direzione, fino alla finalissima contro i verdeoro, brutta e tirata tanto quanto il flessore della coscia di Roby, che scese in campo più per riconoscenza che per reale condizione atletica. Quel rigore calciato sopra la traversa è rimasto impresso come la cartolina di una spedizione iniziata sotto i peggiori indizi, ma poi rivelatasi quasi trionfale.

Fontecchio il suo “rigore” l’ha sbagliato due volte, entrambe dalla lunetta, e forse anche una terza, perché ha avuto la palla per vincere comunque la partita nei 40’, col ferro che l’ha rispedito al mittente. Fontecchio però, come Baggio, è stato l’uomo che ha condotto l’Italia fino a giocarsi il passaggio alle semifinali punto a punto contro i vice campioni olimpici, che poi sarebbero i primi degli “umani”, avendo perso contro la versione 2021 di Team USA (non è Dream Team, ma non ne è nemmeno così distante). Quei due liberi grideranno vendetta in eterno, ma non potranno mai cancellare quanto fatto prima.

 

UN’OCCASIONE SCIUPATA, UNA LEZIONE PER L’AVVENIRE

Ecco, il concetto chiaro deve essere appunto questo: nello sport il risultato ha una sua valenza, e spesso inghiottisce tutto il bello e il buono che c’è stato prima. Dimenticarsi del cammino fatto dall’Italia sarebbe delittuoso e ingeneroso. Vero, qualcosina è mancato, ma in fondo è un po’ quello che si sapeva: non siamo un paese di “lunghi”, quegli atleti alti e robusti che fanno a cazzotti (se serve) sotto canestro a difesa della propria area, tirando giù ogni pallone passi da quelle parti. E allora ci siamo dovuti arrabattare con le armi che avevamo, conquistando però la miglior statistica del torneo per ciò che riguarda la difesa e i punti concessi.

Ci siamo stretti attorno a un ideale e abbiamo fatto quadrato, in tutti i sensi: Pozzecco ha portato alla massima esaltazione possibile il concetto di gruppo, passando lui stesso per qualche scelta poco felice (vedi l’esclusione di Pajola nei primi tre match) ma intuendo strada facendo come correggere certe sbavature.

Essere arrivati a dover imprecare verso se stessi per aver sciupato l’opportunità di spedire fuori dal torneo la Francia di Gobert, dopo aver dato una lezione di gioco alla Serbia di Jokic, da un lato rende orgogliosi ma dall’altro fa salire ancor di più la rabbia per esserci stati, ma non aver colto appieno l’opportunità. E saranno rimorsi per chissà quanto tempo, perché certe occasioni non capitano tutti i giorni.

 

L’ITALIA CHE VERRÀ: ARRIVANO I GIOVANI (E PURE I CENTRI)

Quando l’infortunio di Gallinari sembrava aver posto già prima di cominciare una pietra tombale sulle ambizioni della nazionale, ecco che invece ha mostrato all’Italbasket una nuova strada da perseguire con ancora più convinzione. Perché il futuro è già cominciato: nel 2023 ci saranno i mondiali nelle Filippine e l’Italia vorrà essere protagonista, magari puntando per davvero a superare quel maledetto scoglio dei quarti di finale che da quattro edizioni degli europei segnano la fine dei sogni azzurri (ed è stato così anche alle olimpiadi di Tokyo).

Il Poz il posto se l’è guadagnato, anche se dovrà affinare un po’ di cose. Di questo gruppo, trascinato da Fontecchio (prossimo a sbarcare in NBA, dovrà potrà studiare ancora meglio da leader), faranno ancora parte i vari Melli, Polonara, Spissu, Mannion, Pajola e Baldasso, con Ricci e Tonut che hanno buone possibilità di restare. Datome dovrà decidere se dire addio o farsi un’altra estate (o forse due) in azzurro, Biligha e Tessitori sono borderline, mentre su Gallinari pesa l’incognita del recupero dall’infortunio al crociato.

Ma c’è già una next gen pronta a prendersi la scena: intanto Paolo Banchero, ruolo (se Dio vuole) centro, prima scelta al Draft NBA. Poi Matteo Spagnolo e Gabriele Procida, con Leonardo Okeke (altro centro) e Giordano Bortolani in anticamera. Insomma, c’è vita sul pianeta Italbasket.

 

(Credits: Getty Images)

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