UN 2022 DA RICORDARE: MARZO, L'ITALIA FUORI DAL MONDIALE

Submitted by federico.tireni on Thu, 12/22/2022 - 15:36
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A Mondiale finito, fa ancora più male tornare con la mente a quel giorno di marzo, quando per la seconda volta consecutiva, gli Azzurri Campioni d'Europa in carica, furono sconfitti in quel di Palermo dalla Macedonia. Un'eliminazione che nasce mesi prima, con i pareggi contro Svizzera e Irlanda del Nord. Rileggiamo a distanza di nove mesi, l'analisi di una delle pagine più dolorose della storia del calcio italiano.

 

Di tutti gli incubi più ricorrenti, quello di saltare il secondo mondiale di fila era forse il peggiore. Eppure nessuno gli dava credito: sette mesi fa, con negli occhi ancora i bagordi del trionfo di Wembley, la nazionale era perfettamente padrona del proprio destino. Sapeva di dover battere la Svizzera in una delle due sfide del girone di qualificazione per mettersi al riparo da brutte sorprese, quella stessa Svizzera regolata senza troppi fronzoli nella seconda parte di Euro 2020.

Per una squadra che non perdeva da 34 gare ufficiali, appena salita sul trono d’Europa dopo aver battuto Belgio, Spagna e Inghilterra, tutto questo non poteva che apparire alla stregua di una pura formalità. Anche perché, tolto Spinazzola, il contingente era quello che aveva condotto la nazionale verso l’impresa. Con un paio di innesti in più, i romanisti Pellegrini e Zaniolo, che certo non guastavano, ma anzi offrivano ulteriori soluzioni al Mancio. Insomma, cielo azzurro e limpido, testa già rivolta a Qatar 2022. Tanto per staccare il pass sarebbe stata solo una questione di tempo. E nessuno aveva paura degli incubi.

LA PALLA CHE NON ENTRA, IL GIOCO INGOLFATO

Il giorno dopo l’ecatombe del “Barbera”, materializzata da destro col quale Trajkowski ha fulminato Donnarumma e condannato l’Italia prima ancora che l’Italia potesse condannare se stessa (magari uscendo ai rigori…), è inevitabile riavvolgere il nastro a inizio settembre, quando cioè è cominciato il ciclo di appuntamenti post europeo della nazionale di Mancini. Che dal match del “Franchi” con la Bulgaria in poi ha smarrito completamente ogni sua certezza.

E lentamente ma inesorabilmente s’è allontanata da quella macchina perfetta che l’aveva rimesso al centro della scena continentale, fin tanto da spingersi a mettere le mani su un’edizione dell’europeo dove le favorite erano altre. Da allora è come se la nazionale abbia avviato un processo di involuzione tale da spingerla sull’orlo del precipizio, dal quale a spedirla di sotto ha contribuito appunto la stoccata di Trajkovski. Otto partite nelle quali la magia s’è dissolta: due vittorie fine a se stesse, la prima contro la Lituania (dovere), la seconda nella finalina di Nations League con il Belgio (amabile vezzo).

Quattro pari, due contro la Svizzera, uno con la Bulgaria e uno a Belfast, nella gara decisiva per evitare i play-off, quella in cui serviva vincere e farlo con quanti più gol per evitare il sorpasso degli elvetici (obiettivo miseramente fallito). E poi due sconfitte, quella con la Spagna in Nations League che ha fermato a 37 la striscia di risultati utili, e soprattutto quella con la Macedonia del Nord, tanto assurda quanto inevitabile. Gol fatti 10, di cui 5 nella sola gara con la Lituania, gol subiti 6, ovvero lo stesso quantitativo incassato nelle 18 gare precedenti, quelle disputate a cavallo tra il settembre 2020 e il luglio 2021. Già i numeri raccontano il perché della disfatta.

60 TENTATIVI PER UN MISERO GOL: ATTACCO SPUNTATO

Un simile tracollo si spiega da un lato con i numeri, che pure da soli non sono sufficienti a dare piena contezza di quanto accaduto. Contro Bulgaria (27) e Macedonia (32) l’Italia ha messo assieme quasi 60 occasioni da gol, trovandone uno soltanto (con Chiesa). E nelle stesse due gare i tiri subiti sono stati un paio a partita, eppure hanno prodotto due reti avversarie.

Se per segnare un gol servono 60 occasioni, chiaro che Mancini può dannarsi l’anima quanto gli pare: si potrà discutere delle scelte e degli uomini, ma poi in campo vanno sempre e comunque i giocatori. L’assenza di Chiesa, forse l’unico vero top player del fronte avanzato, ha creato un ulteriore problema al Mancio, che non ha avuto le risposte invocate da Berardi, tanto mobile, versatile e attivo quanto evanescente negli ultimi 16 metri, come dimostra incredibile l’errore a porta praticamente vuota dopo l’inopinato assist del portiere macedone (ma è impossibile dimenticare gli errori a tu per tu con Sommer nella gara giocata in Svizzera).

Insigne ha esalato l’ultimo respiro a livello internazionale contro il Belgio, tanto che già contro Spagna e Inghilterra era scomparso dal radar. E Immobile, l’uomo al quale il CT ha affidato sempre e comunque il peso dell’attacco, pur sapendo che il 4-3-3 è il modulo che meno si addice alle sue caratteristiche, alla prova dei fatti ha nuovamente dimostrato i suoi limiti: non segna in nazionale da 7 partite, tutte giocate da titolare (aveva saltato gli impegni di ottobre e novembre per infortunio), ed è diventato una volta di più il simbolo della disfatta dopo che aveva già disputato da titolare il play-off con la Svezia nel 2017, senza incidere. A 32 anni, benché resti il miglior marcatore italiano in circolazione, probabilmente la sua parabola azzurra è giunta a naturale conclusione.

LA MEDIANA HA PERSO IL TOCCO MAGICO

Che l’attacco abbia fallito è fin troppo evidente: Belotti si è perso tra infortuni e problemi vari, Scamacca è il nuovo che avanza ma Mancini non se l’è sentita di affidargli il peso del fronte avanzato, complice anche un problema muscolare. Raspadori è un jolly, ma non è un fuoriclasse. La scelta di puntare su Joao Pedro, poi, testimonia la confusione che ha pervaso Mancini, tanto che la decisione di gettarlo nella mischia a 2’ dalla fine gli si è pura ritorta contro (sinceramente: c’era tutto questo bisogno di convocare un 32enne senza alcuna esperienza internazionale?).

Fosse tornato Balotelli, poi, sarebbero state polemiche e risate (amare), mentre Kean non fa della continuità il suo punto forte. A mancare però è stato anche l’apporto dei centrocampisti: Jorginho a luglio veniva dato come papabile Pallone d’Oro ma la sua stella s’è offuscata in un amen, e quei due rigori falliti contro la Svizzera resteranno scolpiti a memoria futura come i veri errori marchiani che hanno spedito l’Italia fuori dal mondiale. Barella a sua volta ha pagato dazio alla fatica: un anno fa di questi tempi era un moto perpetuo, da settembre non è mai riuscito a reggere quei ritmi, tanto che anche con l’Inter le cose non sono andate meglio.

Solo Verratti ha alzato il livello: agli europei aveva fatto un miracolo, recuperando in tempi record da un infortunio, nell’ultima parte del ciclo azzurro è stato sempre l’ultimo ad arrendersi. E comunque i gol dei centrocampisti sono mancati, tanto che nelle 5 gare (tolta la Lituania) disputate, oltre a Chiesa, a segnare è stato il solo Di Lorenzo. E senza gol nel calcio non si va da nessuna parte.

IL MODULO NON FUNZIONA, MA NESSUNO L’HA CAMBIATO

Quali colpe imputare a Mancini per uno scollamento tanto evidente, quanto (apparentemente) difficile da spiegare? L’aver voluto insistere solo e soltanto sul 4-3-3 è il peccato originale: quel modulo l’Italia l’ha fatto funzionare grazie alle qualità di impostazione dal basso di Bonucci e Chiellini, all’abilità di Spinazzola nel portare sempre la superiorità numerica in avanti, all’efficacia del doppio play in mezzo al campo e alla capacità di inserimento di vari Barella, Insigne e Chiesa (o Berardi).

In mancanza della dorsale centrale, tutto il castello è crollato e l’Italia ha finito per offrire una brutta copia di ciò che voleva essere, ma non poteva essere. Il Mancio ha perseverato, credendo ciecamente nel modulo prima ancora che negli interpreti, e ha pagato dazio con un’eliminazione meritata per quanto detto dal campo. Al netto dei tanti errori singoli e dello scorso feeling con la porta avversaria, l’imborghesimento è stato palese. E apre una profonda riflessione: con quali mezzi e quali uomini si può pensare di ricostruire dalle nuove macerie prodotte?

FUTURO INCERTO: POCHI RICAMBI E MENO IDEE

Mancini per il momento ha preso tempo: fino a un giorno fa era impensabile solo ipotizzare un suo addio prima del 2024 (addirittura i più ottimisti parlavano di 2026), ora però le conseguenze della mancata qualificazione potrebbero travolgerlo e consigliarli di cambiare aria. L’accoppiata Cannavaro-Lippi per l’eventuale successione testimonia la mancanza di alternative concrete e reali: Ancelotti, Conte e Allegri sono tutti impegnati altrove e di prendere in mano questa nazionale oggi non ne avrebbero alcun motivo. Alla fine probabile che il Mancio resterà al suo posto, anche se con un credito molto risicato agli occhi degli italiani.

Quanto alla rosa che dovrà pensare a qualificarsi a Euro 2024, le novità maggiori riguarderanno il pacchetto arretrato: Chiellini è a fine corsa e magari chiuderà il cerchio il 1° giugno a Wembley con la “Finalissima”, cioè la sfida che metterà di fronte i campioni d’Europa opposti ai campioni del Sudamerica, cioè l’Argentina. Bonucci un altro biennio lo farà e il nuovo titolare sarà Bastoni, già oggi affidabile quanto basta. Innesti sicuri saranno Davide Calabria e Luca Pellegrini, sperando che Spinazzola torni a fare il dirimpettaio, mentre Lovato del Verona potrebbe crescere in fretta. In mezzo al campo per ora il ricambio può attendere: Verratti e Jorginho hanno un altro ciclo davanti a loro, e a maggior ragione Barella.

Tonali, Frattesi e Samuele Ricci sono i volti nuovi da inglobare strada facendo, auspicando che possano fare esperienza in Europa con i rispettivi club (Tonali è più avanti di tutti). E in avanti? Detto di Scamacca, unico reale candidato al ruolo di prima punta per i prossimi anni, bisognerebbe auspicare la crescita di Zaniolo, frenata sin qui da infortuni e vita extra campo non propriamente da atleta, e pure un upgrade da parte di Raspadori. Altre soluzioni (Lucca, Cancellieri, Pellegri) per vari motivi non sono da considerare praticabili nel breve periodo. Il problema però, prima ancora che di interpreti, sarà psicologico: se nel 2017 il ciclo di quella nazionale era agli sgoccioli, questa pare essersi smarrita proprio nel bel mezzo del cammino. E di strade alternative per il momento non se ne vede traccia. Brutto guaio, cara vecchia nazionale.

 

(Credits: Getty Images)

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