SINDELAR, DRIBBLING AL REICH

Submitted by greta.torri on Wed, 01/27/2021 - 10:41
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Marco Di Milia
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C’era ancora partita da giocare, nel 1938, prima che tutto venisse trascinato dalla follia degli eventi e dall’orrore della guerra. Una semplice esibizione di capacità atletica organizzata per compiacere i gerarchi nazisti, dal momento che le formazioni di Austria e Germania sarebbero state presto accorpate in un’unica compagine sportiva, sotto la grande bandiera del Reich.

La squadra delle meraviglie, il “wunderteam” austriaco messo su con certosina attenzione dal coach Hugo Meisl, era arrivata così al proprio capolinea, mentre il grande dittatore già pregustava la vittoria della sua incredibile corazzata ai prossimi Mondiali di Francia.

Più una parata che un confronto calcistico, quello che va in scena al Prater di Vienna tra la Germania esaltata dai deliri del Führer e un’Austria che non può più esistere è in realtà una semplice farsa in cui bisogna attenersi a un copione già scritto, senza alcun tipo di fraintendimento. Eppure in occasione dell’“Anschlussspiel”, ovvero la partita della riunificazione, in uno stadio adornato all’inverosimile di aquile imperiali e croci uncinate, in mezzo a una selva di braccia tese, solo due rimangono ferme lungo i fianchi. Appartengono a dei giocatori austriaci, uno è Karl Sestzac detto Sesta, figlio di un operaio ucciso dai nazisti, e l’altro è Matthias Sindelar, per tutti “der Papierene”, cartavelina, ma anche il Mozart del calcio che ha sfidato un’epoca.

Nato in un piccolo villaggio della Moravia occidentale, il giovane campione si innamora presto del pallone e quando le modeste condizioni economiche della famiglia impongono di trasferirsi nella capitale in cerca di migliori fortune, passa gran parte del suo tempo dietro a una palla sgangherata. Tirando calci a quel mucchio informe di stracci riesce però a sfuggire a una sorte che lo voleva garzone nella bottega di un fabbro, siglando un contratto con l’Hertha a soli quindici anni.
In breve, il ragazzo mingherlino e delicato si trasforma, con la casacca dell’Austria Wien, in una delle migliori realtà del campionato austriaco, capace tanto di smarcarsi con abilità e destrezza quanto di mettere a segno 18 reti in 23 partite e diventare l’oggetto del desiderio di numerosi club internazionali. Il Rapid vuole il suo talento, così come l’Arsenal e il Charlton – che mette subito le cose in chiaro con la bellezza di 40.000 sterline – cercano, invano, di portarlo nei tornei d’oltremanica.

Negli anni Trenta la sua fama è pari a quella di Giuseppe Meazza e György Sarósi, con la maglia austriaca vince la coppa Internazionale nel ’32, mentre il sogno di fregiarsi del titolo di Campione del Mondo viene infranto dalla squadra di Vittorio Pozzo. A fermarlo in quei Mondiali di Italia ’34 ci pensano soprattutto i tacchetti di Luisito Monti, che in una storica e combattuta semifinale lo mandano direttamente in ospedale. Lì, a prendersi cura del suo ginocchio malandato, arriva un’infermeria che riesce a capire le sue lamentele, si chiama Camilla Castagnolastudia il tedesco e ha origini ebree…

L’infortunio che ha permesso a Sinderlar di conoscere la sua futura moglie arriva tuttavia proprio quando sul cuore della Vecchia Europa soffiano le nuvole più nere della sua storia. Le truppe di Berlino annientano da lì a poco l’indipendenza dell’Austria, che proclama la resa con l’annessione geografica e politica, come provincia dell’Ostmark, al nuovo ordine germanico. Tutti i dirigenti ebrei vengono estromessi, compreso il suo mentore al Wien Michl Schwarz, imponendo ai tesserati di non rivolgere loro la parola, nonostante Matthias sia del tutto contrario a quel disegno di supremazia che sta sconvolgendo il suo mondo.

Per il canto del cigno della sua nazionale il calciatore arriva quindi animato non solo dal suo solito spirito agonistico, ma anche da un’incontenibile voglia di rivalsa. Chiede e ottiene che la propria rappresentativa giochi con i colori della bandiera, maglia rossa e calzoncini bianchi, malgrado l’ordine imperativo arrivato dai vertici della Gestapo sia chiarissimo: glorificare sul campo la stessa potenza che il regime aveva dimostrato con le armi. E invece, quel giorno il fantasista si fa beffe dei suoi avversari, contrattaccando con maestria e coraggio quella cieca violenza che aveva colpito molti dei suoi amici e conoscenti. Si lancia così in uno dei migliori incontri della sua vita, non solo per siglare la prima delle due reti che consegnano all’Austria la vittoria per 2 a 0, ma anche esultando proprio sotto la tribuna d’onore dei primi ufficiali. Spronato in questo modo dall’ardore del proprio capitano, Sesta chiude poi la sfida con il raddoppio centrato nei minuti conclusivi.

Dopo quell’impresa incontenibile di tecnica e tenacia però, non ci saranno che poche altre partite nel destino di Sindelar. Indossa infatti gli scarpini per l’ultima volta a Berlino, nel dicembre del 1938, sebbene nel rifiutare ufficialmente l’invito di unirsi alla selezione tedesca offerto dal mister Sepp Herberger avesse tirato in ballo la vecchia storia del problema al ginocchio. L’epilogo arriva infine nel gennaio del ’39, quando Karl Sesta era stato già torturato più volte, con la scoperta dei corpi senza vita di Matthias e Camilla nella loro casa di Vienna.

Nei documenti redatti fu indicata come causa del decesso “avvelenamento da monossido di carbonio” e chissà quanti dei quarantamila presenti ai funerali credettero alla frettolosa versione di un banale incidente dovuto a una stufa difettosa.

Di certo, tutti si convinsero di quanto il loro campione fosse il simbolo di un orgoglio e di un coraggio ancora oggi impossibili da piegare. Smarcandosi con un estremo, spettacolare, dribbling dalla prepotenza nazista.

(Credits: Getty Images)

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