IL CALCIO? UN GIOCO DA GENTLEMAN

Submitted by greta.torri on Thu, 02/11/2021 - 14:21
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Marco Di Milia
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Probabilmente, come ha avuto modo di dire più volte Michel Platini, le sfide calcistiche una volta erano davvero molto più violente rispetto a quelle di oggi. Un messaggio, il suo, lanciato per far intendere quanto fossero state competitive le partite di quegli anni, ma dall’altro anche per mettere l’accento sul fatto che lui, tre volte pallone d’oro, in mezzo a tanti eccessi, ne sia sempre uscito a testa alta. Altissima.

Platini infatti, insieme a pochi altri giocatori può vantare il record di non aver mai subito un cartellino rosso. Chiusa la carriera in campo con l’onorevole traguardo di 655 partite, tra club e nazionale, il numero 10 francese più celebre però, in questo club di gentiluomini sportivi, ha dei rivali di tutto rispetto. Il terzino tedesco Philipp Lahm, ad esempio.

Difficile pensare a un difensore tanto corretto, quando il proprio ruolo richiede determinazione e anche una certa propensione al corpo a corpo per fermare le incursioni avversarie prima che sia troppo tardi. Eppure “il piccolo grande capitano” del Bayern Monaco in quasi 15 anni di carriera ha maturato delle statistiche che altri non possono nemmeno sognare nelle fantasie più sfrenate. Nessuna espulsione, ça va sans dire, ma da settembre 2014 a ottobre 2015, non ha commesso nemmeno un fallo in Bundesliga. Un intervallo di quasi 14 mesi senza commettere infrazioni di gioco, nemmeno una.

Proprio per questo suo eccezionale fairplay, il calciatore è stato uno dei principali punti di riferimento di più di una generazione di atleti, oltre ad essere uno dei capitani più carismatici che la squadra bavarese abbia mai avuto tra le sue fila. Un ascendente che ha permesso al proprio team di raggiungere dei risultati eccezionali, trovando anche nella sconfitta più cocente, la spinta necessaria per rimboccarsi le maniche e guardare avanti.

Così, se nella stagione 2011-2012, le soddisfazioni sembrano prendere le distanze dal Bayern con un deludente secondo posto in campionato e soprattutto una sconfitta in finale di Champions League che ha portato la Coppa tra le braccia del Chelsea, Lahm si è speso per motivare al meglio i propri compagni. “Dopo quella partita potevamo crollare” ha infatti dichiarato il giocatore, per poi proseguire con una dichiarazione di intenti che non lasciava intendere altri errori: “Si poteva morire definitivamente oppure crescere ancora. Ho parlato con i miei compagni, ci siamo guardati e tutti insieme abbiamo scelto la seconda”. Una decisione di cuore e di orgoglio che alla fine ha premiato la compagine tutta, portando a dei risultati da capogiro.

Ribaltando le prospettive dell’annata precedente, il Bayern Monaco spronato dal suo capitano si laurea nella competizione 2012-13 campione di Germania, vincendo lo scudetto in Bundesliga (il ventitreesimo titolo dei bavaresi) con ben 6 giornate di anticipo rispetto alla fine del campionato. E poi, ancora, il 25 maggio dello stesso anno vince finalmente la sua prima Champions League, grazie alla vittoria per 2-1 nella finale contro gli eterni rivali del Borussia Dortmund. Il 1º giugno seguente conquista anche la Coppa di Germania, ottenendo un personale “triplett” – come dicono da quelle parti – senza precedenti.


I successi per Lahm arrivano anche in apertura della nuova stagione con la vittoria il 30 agosto 2013 della Supercoppa UEFA, ottenuta sconfiggendo ai rigori in finale proprio quel Chelsea che pochi anni prima lo aveva battuto, e collezionando pure, nel corso dei mesi successivi altri tre titoli, la Coppa del mondo per club, la Bundesliga e la Coppa di Germania.

Il Bayern, ormai inarrestabile, sembra quindi costretto ad allargare di misura la propria bacheca di trofei, quando arrivano di fila altri tre scudetti e, nel 2016, una Coppa di Germania e l’ennesima Supercoppa Tedesca.

Ma non è ancora finita, perché Philipp Lahm ha toccato uno dei vertici più alti di una carriera già stellare con la propria nazionale, al Mondiale brasileiro del 2014. Era lì, a Belo Horizonte, con la fascia di capitano, quando la corazzata tedesca ha affondato i padroni di casa che già sentivano di avere in tasca la Coppa del Mondo con uno storico 1-7 passato agli annali come “Mineirazo”, calco linguistico del più celebre “Maracanazo”, in cui la nazionale brasiliana perse inaspettatamente 1-2 contro l’Uruguay mancando la conquista della sua prima Coppa Rimet. Ed era sempre lì in terra carioca quando ha alzato al cielo quel titolo che la Germania si portava a casa per la quarta volta.

Subito dopo quell’impossibile indigestione di trionfi, Lahm ha annunciato di ritirarsi dal calcio giocato, lasciando un vuoto non solo nel Bayern, nel campionato tedesco e nella propria nazionale, ma nel calcio tutto, che vedeva così allontanarsi dai campi uno dei giocatori più rappresentativi di tutti i tempi. Una bandiera assoluta del pallone che ha vinto tutto ciò che c’era da vincere, senza prendere mai un cartellino rosso.

E in Italia? Un gentleman simile c’è stato eccome, signorile dentro e fuori il campo: Gaetano Scirea, campione del mondo del 1982 con gli azzurri, nonché icona di correttezza senza tempo. Ma questa è un’altra storia.

(Credits: Getty Images)

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