MARGARET PEGGY ABBOTT, CAMPIONESSA SENZA MEDAGLIE

Submitted by greta.torri on Fri, 02/19/2021 - 13:19
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Marco Di Milia
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A vederla in qualche sgranato bianco e nero d’altri tempi, ricorda più una delle dame di Monet che una campionessa olimpica. E in effetti, Margaret Abbott non appare poi tanto diversa, con il suo cappellino scuro calcato in testa e un abito bianco fasciato mollemente in vita, alle signore francesi ritratte durante le celebri colazioni sull’erba.

Figlia della scrittrice americana Mary Yves Perkins, Margaret, detta Peggy, ha però, sebbene inconsapevolmente, avviato una prima significativa rivoluzione nello sport femminile. In tempi in cui praticare golf, tennis e croquet era considerata un’occupazione ideale per le donne un po’ annoiate dell’alta società, le sfide somigliavano a dei piacevoli ricevimenti all’aria aperta, poco impegnativi a livello fisico e nulla più di un innocuo svago per trascorrere in compagnia qualche spensierato pomeriggio d’estate.

Sul campo da gioco poi, le dame non erano affatto costrette a rinunciare allo stile e alla propria femminilità per una banale partita di golf, anzi. Si trattava così di un’occasione di leggera mondanità come tante altre, buona non solo per sfoggiare nuovi stivaletti col tacco, tessuti preziosi e accessori all’ultima moda, ma anche per condividere qualche pettegolezzo e magari scambiarsi un paio di audaci frecciatine. Per Margaret, invece, il golf non era un semplice strumento di corteggiamento, ma una disciplina in cui riusciva ad essere sempre protagonista, vincente e imbattibile.

Aveva già dato prova di abilità e precisione fuori dall’ordinario nella sua Chicago e in diverse competizioni nazionali, tanto da destare la curiosità dei cronisti dell’epoca, che l’avevano definita “avversaria feroce, ma affascinante”. Era stata la popolarità di romanziera della genitrice a introdurla alla nuova disciplina, soprattutto grazie alle conoscenze acquisite nel jet-set americano e al contatto importante con Charles Blair MacDonald, il padre del golf amatoriale statunitense. Quando poco più che ventenne, Margaret arrivò a Parigi con la madre per trascorrere un soggiorno di formazione, non perse quindi l’opportunità di attirare più di un paio di sguardi compiaciuti e di dilettarsi nel suo sport preferito. In città si divise tra gli studi d’arte e i party dei salotti raffinati, fece la conoscenza di Rodin e Degas e dimostrò alla buona élite parigina la propria bravura.

Quando venne a sapere che nella cittadina di Compiègne, poco più a nord della capitale francese, era in programma, in concomitanza con l’Esposizione del 1900, un torneo di golf a nove buche decise di farsi avanti, iscrivendosi, senza saperlo, a quella che sarebbe passata agli annali come la prima Olimpiade dell’era contemporanea dopo il rinnovato interesse con le gare di Atene del 1896. Ufficialmente nota come “Prix de la ville de Compiègne”, la manifestazione seguiva a ruota il programma fortemente voluto dal Barone Pierre de Coubertin desideroso di restaurare l’antica tradizione dei Giochi come momento di educazione fisica e morale, nonostante una certa diffidenza dell’amministrazione pubblica e un’organizzazione alquanto confusionaria. Si preferì il termine “Concours Internationaux” a quello piuttosto vetusto di Giochi Olimpici e per la prima volta in assoluto fu consentito alle donne di partecipare.

Margaret prese così parte alla sfida, spingendo nell’impresa anche sua mamma: unico caso di un’Olimpiade in cui abbiano partecipato, insieme, madre e figlia. Eppure nessuno dei presenti era davvero consapevole di quanto stesse succedendo grazie alle loro gesta, perché solo in un secondo tempo l’intero programma di quelle giornate verrà preso in considerazione, come il primo fondamentale passo in avanti per l’evoluzione non solo dell’atletica moderna, ma anche del costume e della società. Per la golfista si trattava di semplice divertimento e come tale prese l’intera competizione. Ad ogni modo, conoscendo bene la natura del gioco si presentò sul terreno con un abbigliamento più consono rispetto a quello delle altre sette donne in gara, preferendo uno svolazzante abito candido e un cappellino dalle falde strette in perfetto stile Belle Époque, al contrario delle sue concorrenti che, seguendo le tendenze del momento, optarono per stivali alti e gonne strette. In campo Margaret Abbott si trovò perciò pronta a svettare in mezzo a gentiluomini baffuti in monocolo e cilindro che la osservavano battere in buca con una sicurezza e un’energia tale da ribaltare tutti i canoni della cultura vittoriana vigenti ai tempi.

Chiuse infine la gara con un punteggio di 47 colpi, classificandosi al gradino più alto del podio, nonché prima cittadina americana a vincere alle Olimpiadi. Dietro di lei, Miss Pauline Whittier appartenente al St. Moritz Golf Club e terza un’altra americana, Mrs. Daria Huger Pratt. Sua madre invece si piazzò inesorabilmente all’ultimo posto. Tuttavia per la giovane campionessa non ci furono né grandi onori né medaglie da appuntare, perché per le donne il regolamento stabiliva riconoscimenti legati alla loro funzione principale di custodi del focolare domestico. Margaret conquistò così il suo complemento d’arredo da vittoria: una ciotola di porcellana sassone finemente cesellata.

Per tutto il resto della sua esistenza, Miss Abbott, pur continuando a praticare il golf secondo le dovute disposizioni di bon-ton, non ha mai saputo di aver vinto un titolo olimpico, non conoscendo affatto la portata di un’impresa che di fatto lanciò un guanto di sfida di straordinario progresso nelle competizioni sportive. Quasi cento anni dopo, arrivò in ultimo il riconoscimento che avrebbe meritato sul campo, quando, nel 1990, ai nipoti fu comunicata l’assegnazione postuma della medaglia d’oro e la collocazione con onore del nome della Abbott tra le prime vincitrici dei Giochi Olimpici.

Una campionessa uscita direttamente da un quadro di Monet, in grado di offrire non solo grazia aristocratica ma anche un talento agonistico impensabile per l’epoca. Andando più avanti dei suoi stessi tempi.

(Credits: Getty Images)

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